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Del tutto diversa è la teoria dell'etichettamento; coloro che la seguono sostengono che per capire

la devianza è necessario tenere conto non solo della violazione, ma anche della creazione e

applicazione delle norme; non solo dei criminali, ma anche del sistema giudiziario e delle altre

forme di controllo sociale; il reato non è altro che il prodotto dell'interazione fra coloro che creano e

fanno applicare le norme e coloro invece che le infrangono. Secondo i sostenitori di questa teoria,

fra coloro che commettono atti devianti e gli altri non vi sono differenze profonde né dal punto di

vista dei bisogni né da quello dei valori; ne è prova il fatto che ad un altissimo numero di persone

succede di violare una norma in modo più o meno grave, ma un conto è commettere un atto

violante, un altro conto è suscitare per questo una reazione sociale, venire quindi accusato di

essere deviante. In questo secondo caso, un individuo viene bollato con un marchio, i suoi

comportamenti passati vengono riesaminati e reinterpretati alla luce di quelli presenti e si comincia

a pensare che egli si sia sempre comportato così; di conseguenza lo si guarda e lo si tratta in

modo diverso dagli altri. Cruciale è quindi la distinzione di Lemert fra devianza primaria e

secondaria: con la prima ci si riferisce a quelle violazioni delle norme che hanno agli occhi di colui

che le compie un ruolo marginale e che vengono presto dimenticate; ciò significa che chi fa queste

azioni non considera se stesso un deviante né viene visto come tale dagli altri; si ha invece il

secondo tipo, quando l'atto di una persona suscita una reazione di condanna da parte degli altri,

che lo considerano un deviante e questa persona riorganizza la sua identità e i suoi comportamenti

sulla base delle conseguenze prodotte da suo atto.

La teoria della scelta razionale.

I sostenitori di questa teoria considerano invece i reati come il risultato non di influenze esterne,

ma di un'azione intenzionale adottata attivamente dagli individui; essi sono infatti convinti che

l'individuo è un essere razionale, che agisce seguendo i propri interessi e che è capace di

scegliere liberamente se violare o meno una norma: se egli decide di compiere un reato è di solito

perché si aspetta di ricavarne benefici maggiori di quelli che avrebbe investendo il suo tempo in

attività lecite. Secondo questa teoria, inoltre coloro che si dedicano a un'attività illecita non sono

sostanzialmente diversi dagli altri; i motivi che portano a compierla sono gli stessi che spingono a

quella lecita: la ricerca del guadagno, del potere e del piacere. Molte di queste idee sono state

sostenute alla fine del '700 da Beccaria e da Bentham, esse sono state poi rielaborate nell'ultimo

ventennio soprattutto dagli economisti e da alcuni sociologi; questi ultimi hanno messo in luce che

colui che trasgredisce la legge va incontro a vari tipi di costo: esterni pubblici, esterni privati e

interni; i primi sono dati dalle sanzioni legali inflitte dallo stato e dalle conseguenze negative che

queste hanno sulla reputazione sociale; i secondi sono i cosiddetti costi di attaccamento, che

derivano dalle sanzioni informali degli altri significativi, dalle loro critiche e dalla loro condanna; gli

ultimi nascono invece dalla coscienza che fa provare al trasgressore sensi di colpa e di vergogna.

5. Forme di criminalità.

L'attività predatoria comune.

La fonte principale della paura che i cittadini hanno della criminalità è costituita da quella che molti

studiosi chiamano l'attività predatoria comune; con questa espressione ci si riferisce a

quell'insieme di azioni illecite condotte con la forza o con l'inganno per impadronirsi dei beni mobili

altrui che comportano un contatto fisico diretto fra almeno uno di coloro che compiono l'azione e

una persona o un oggetto. Ne fanno parte dunque due gruppi di reati: quelli compiuti di nascosto,

con il raggiro, evitando la vittima e quelli commessi con la violenza, strappando una cosa di mano

o di dosso ad una persona o prendendogliela con la minaccia.

Gli omicidi.

Con il termine omicidio si indicano reati di natura assai diversa, la più importante distinzione da

fare è tra omicidio colposo e doloso: il primo è quello non voluto dall'agente e che si verifica a

causa di negligenza o inosservanza di leggi; il più tipico è quello che viene commesso quando un

automobilista distratto investe un passante uccidendolo; doloso viene invece chiamato l'omicidio di

chi agisce con la volontà di uccidere. La frequenza con cui vengono commessi omicidi dolosi varia

nello spazio e nel tempo: gli Stati Uniti ha il tasso di omicidio più elevato, ma in generale è nei

paesi in via di sviluppo, caratterizzati da forti disuguaglianze nella distribuzione della ricchezza,

che la frequenza con cui questo reato viene commesso è maggiore.

Mutamenti nel tempo degli omicidi.

La teoria che oggi appare maggiormente in grado di spiegare la tendenza secolare alla

diminuzione degli omicidi è quella del processo di civilizzazione, proposta sessant'anni fa da Elias;

secondo questa, nel Medioevo la vita quotidiana era caratterizzata dal sopruso perché in Europa vi

era una pluralità di poteri sovrani in concorrenza fra loro; gli uomini vivevano così in uno stato

perenne di paura. La situazione iniziò a cambiare quando un potere territoriale più forte trionfò su

quelli più deboli e a poco a poco si instaurò il monopolio della violenza legale da parte dello stato,

dove le capacità militari lasciarono il posto a quelle verbali di argomentazione e di persuasione,

essendo riservata solo a dei corpi specializzati, la violenza venne esclusa dalla vita degli altri e si

formarono delle zone tranquille, all'interno delle quali si svilupparono le buone maniere. Gli

individui abbandonarono la spontaneità e l'irruenza e impararono a dominare se stessi e a regolare

l'aggressività; così, gradualmente diminuirono le manifestazioni di violenza contro gli altri. Tuttavia

dei bruschi aumenti del numero di omicidi che si verificarono di solito nei periodi postbellici sono

state fornite tre spiegazioni: la prima è che essi sarebbero dovuti alla disorganizzazione sociale

tipica di questi periodi, la seconda privilegia invece i fattori di natura economica; la scarsità dei beni

e la disoccupazione; la terza infine riconduce tutto alla legittimazione della violenza fornita dal

governo durante la guerra. Di queste tre è tuttavia l'ultima la spiegazione che ha trovato maggiore

sostegno nei risultati delle ricerche finora condotte.

I reati dei colletti bianchi.

Utilizzando l'espressione introdotta alla fine degli anni '30 da Sutherland, i sociologi chiamano reati

dei colletti bianchi, molti di quelli scoperti negli ultimi anni dalla magistratura italiana come Mani

Pulite; tradizionalmente i criminologi avevano concentrato il loro interesse solo sulle violazioni delle

norme penali ritenute tipiche delle classi inferiori, fu merito di Sutherland a richiamare l'attenzione

degli studiosi sui reati dei colletti bianchi ( reati commessi da una persona rispettabile e di elevata

condizione sociale nel corso della sua occupazione). Egli condusse una ricerca su 70 imprese

industriali e commerciali americane, mostrando che esse avevano compiuto numerosissimi atti

illeciti, quali la pubblicità fraudolenta, la violazione dei diritti d'autore, la restrizione della

concorrenza e l'aggiotaggio, truffe e frodi. Negli ultimi vent'anni molti studiosi hanno osservato che

nella vasta categoria dei delitti dei colletti bianchi rientrano due gruppi diversi di reati: i reati

nell'occupazione, commessi da individui nello svolgimento del loro lavoro per ricavarne un

vantaggio personale e i reati di organizzazione compiuti in nome e per conto di un'organizzazione.

Della categoria dei reati nell'occupazione fanno parte: l'appropriazione indebita, l'insider trading, la

corruzione e la concussione; commette il primo che si appropria del denaro o di una cosa altrui,

per il secondo si intende invece la speculazione sui titoli di una società attuata da chi dispone di

informazioni riservate; la corruzione di un pubblico ufficiale consiste in un mercanteggiamento della

funzione pubblica, si parla invece di concussione quando un pubblico ufficiale, abusando dei suoi

poteri, induce qualcuno a dare indebitamente del denaro a lui o ad altra persona. Fanno parte

invece dei reati di organizzazione le frodi di vario tipo commesse dalle aziende private o pubbliche

quando nei bilanci riportano fatti non rispondenti al vero sulla costituzione e sulle condizioni

economiche della società.

La criminalità organizzata.

Non vi è un accordo fra gli studiosi riguardo alla definizione di criminalità organizzata; di solito,

tuttavia con questa espressione molti di loro intendono un insieme di imprese che forniscono beni

e servizi illeciti e che si infiltrano nelle attività economiche lecite, esempi di questo tipo sono la

produzione e la vendita di droga, il gioco d'azzardo, l'usura, la prostituzione e il commercio di armi;

il tipo di beni e servizi illeciti forniti varia tuttavia a seconda dei paesi. Le imprese criminali hanno

talvolta carattere polivalente, nel senso che esse mirano all'acquisizione sia di profitti finanziari

che del potere politico e sono in grado di spostarsi dal settore economico a quello economico; in

genere, per agire esse hanno bisogno di consistenti capitali da investire sia nelle attività

economiche illegali che in quelle legali, ma esse devono disporre anche di una forza militare. Le

varie organizzazioni criminali che operano oggi nel mondo hanno strutture interne diverse: la

Yakuza giapponese, della quale fanno parte oltre 100.000 persone, si avvicina al modello

organizzativo formale, con elenchi di aderenti e giornali; invece in Cosa nostra, costituita circa da

500 famiglie, le relazioni di parentela conservano una notevole importanza.

6. Gli autori dei reati e le loro caratteristiche.

La classe sociale.

Per definizione i reati dei colletti bianchi commessi dalle persone delle classi medio alte, ma per

quanto riguarda gli altri, i sociologi hanno a lungo sostenuto che essi vengono compiuti dagli

appartenenti alle classi sociali svantaggiate. Nell'ultimo ventennio, tuttavia alcuni studiosi hanno

sostenuto che fra classe sociale e criminalità non vi è alcuna relazione; le ricerche hanno mostrato

che in Italia ad esempio la relazione fra classe sociale e tendenza a violare una norma è tanto più

forte quanto più grave è il reato: così mentre le rapine vengono commesse soprattutto dalle

persone delle classi sociali più svantaggiate, i furti più lievi vengono compiuti dagli appartenenti a

tutte le classi sociali.

Il genere.

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Publisher
A.A. 2014-2015
75 pagine
1 download
SSD Scienze politiche e sociali SPS/07 Sociologia generale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher ValeriaV19 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Fondamenti di sociologia e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Bergamo o del prof Forno Francesca.