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PRO
D CS
La comunità scientifica è qui ‹‹cortocircuitata›› dall’opinione di un gruppo specifico, in questo caso i biologi
non genetisti, il quale viene visto dall’esterno da parte di altri gruppi specifici (giornalisti, lettori colti, ecc.)
come appartenenti allo stesso insieme dei genetisti. Boudon ha introdotto questo caso perché effetti di
cortocircuito di tipo analogo possono verificarsi anche in assenza di manipolazione, più frequentemente nel
campo delle scienze sociali ed eccezionalmente in quello delle scienze della natura. Un caso tipico molto
semplice, ma frequente, è quello in cui certi gruppi specifici, a causa dell’interesse dei suoi membri per una
data teoria, non aspettano che siano dimostrati la sua validità e i suoi limiti. Questo caso è particolarmente
interessante perché suggerisce che anche le teorie autenticamente scientifiche possono dare origine a
idee false.
Così “L’etica protestante” di Max Weber è un libro molto popolare in quanto l’argomento che tratta è vasto e
‹‹interessante››: affronta le condizioni che hanno favorito la nascita del sistema capitalistico e la sua tesi
implica una dimensione filosofica e metafisica: all’interpretazione “materialistica” delle origini del capitalismo
sviluppata soprattutto da Marx, Weber contrappone una teoria “idealistica”, secondo cui i valori, lungi dal
essere determinati dai rapporti di produzione, possono al contrario contribuire a determinarli. Tuttavia questa
teoria non è che un’ipotesi, scientifica, ma fragile. La tesi de “L’etica protestante” è ben nota: credendo al
dogma della predestinazione, i protestanti – più precisamente i calvinisti – sono spinti a cercare quaggiù i
segni della loro elezione nell’aldilà. Essi cercano il successo nelle attività intrapreso in questo mondo e
tendono a interpretarlo come un segno della loro elezione. Questo atteggiamento li porta a investire piuttosto
che a consumare. Senza dubbio Weber intende sottolineare la congruenza dei valori calvinisti e puritani con
‹‹lo spirito del capitalismo››. Ma come ha riconosciuto lui stesso l’etica protestante presuppone che la
mentalità capitalista abbia effettivamente avuto un’influenza sullo sviluppo del capitalismo. Comunque sia, la
teoria di Weber è stata costruita per spiegare il ruolo notevole svolto dai calvinisti in questo sviluppo. Già
all’epoca di Weber, vennero mosse numerose obiezioni. Sombart, ad esempio, notò che numerosi
imprenditori capitalistici del XVI secolo erano ebrei oppure cattolici. Altri osservarono che gli imprenditori
capitalistici erano stati numerosi a partire dal XV secolo, ancora prima del sorgere del protestantesimo.
Weber avrebbe cercato di anticipare tale obiezione sostenendo che i Fugger, celebri imprenditori cattolici del
XV secolo, sarebbero stati uomini avventurosi. D’altro canto si è subito osservato che il legame stabilito da
Weber tra la credenza nella predestinazione e lo spirito d’impresa era lontano dall’essere comprensibile. Si
sarebbe anzi compreso meglio che il bisogno di successo fosse avvertito da coloro che consideravano la
grazia revocabile mentre si fa fatica a convincersi che la credenza nel carattere irrevocabile della grazia
incoraggiasse maggiormente lo spirito d’impresa. La medesima teoria è ugualmente debole nella misura in
cui i dati che spiega appaiono poco numerosi e vaghi. Essa tuttavia risolve una questione che impressionò
Weber: nella Firenze del XV secolo la dottrina dominante continua a considerare gli affari una vergogna,
anche se alcuni nominalisti cercano di giustificare le attività commerciali ivi fiorenti. Al contrario, nella
Pennsylvania del XVIII secolo, si osserva un’etica favorevole verso l’accumulazione capitalistica, in un
contesto nel quale l’economia rischiava di tornare al baratto per mancanza di denaro. Era allettante dunque
dedurre da questa comparazione che l’etica capitalistica era iscritta nell’ascetismo protestante invece di
essere un risultato dello sviluppo degli affari ma è molto chiaro che essa non può essere considerata un
quasi-esperimento e che non ci sono di conseguenza molte conclusioni da trarre. Ciò nonostante
l’interpretazione di Weber è autenticamente scientifica: essa ha sollevato una questione importante e inedita,
ha aperto e allargato il paradigma materialistico che era stato utilizzato nell’analisi dei processi economici, ha
suggerito che i ‹valori››, i ‹‹fattori culturali›› possono svolgere un ruolo importante nelle trasformazioni
economiche. Oggi, grazie a questa letteratura, cogliamo bene sia i limiti di validità della teoria di Weber, sia i
motivi dell’influenza del protestantesimo nello sviluppo del capitalismo: il calvinismo ha davvero svolto un
ruolo nelle trasformazioni sociali che l’Europa ha conosciuto a partire dal XVI secolo. Ciò avvenne
soprattutto perché il contesto politico dei paesi protestanti era più favorevole a determinati cambiamenti
politici ed economici rispetto a quello dei paesi della Controriforma. Ad esempio dappertutto esistevano
banchieri dinamici, ma mentre nei paesi cattolici le banche rimasero uno strumento posto nelle mani dello
stato, nei paesi protestanti poterono diventare autonome con maggiore facilità. D’altra parte i paesi
protestanti attirarono uomini d’affari ai quali il clima della Controfirma non era molto favorevole. Così molti di
loro emigrarono, per esempio da Aversa ad Amsterdam, e tali flussi migratori contribuiscono a spiegare tanto
la vitalità economica dei paesi protestanti quanto il fatto che le élites economiche siano state spesso
calviniste. Infatti gli uomini d’affari venivano sedotti dal calvinismo, sia perché esso conferiva dignità alla loro
professione sia per il suo aspetto ostile verso la Controriforma. Ma qui si osserva l’inversione che questi dati
fanno subire alla teoria di Weber: essi mostrano che gli uomini d’affari avevano affinità con calvinismo ma
non che i calvinisti avessero predilezione per gli affari. In definitiva la relazione tra il protestantesimo e la
modernizzazione economica si spiega più con fattori politici che non con fattori culturali o economici. Ma
l’interesse della teoria di Weber provocò un cortocircuito immediato: essa fu subito vista da numerosi gruppi
specifici come una conferma dell’idea che i ‹‹valori›› svolgono una funzione determinante nelle
trasformazioni economiche, e che si poteva stabilire un legame di causalità diretta tra la cultura protestante e
il dinamismo economico. Un’ipotesi così autenticamente scientifica diede origine ad un pregiudizio, che non
venne molto corretto in seguito, poiché il processo di valutazione della comunità scientifica non solo fu
interminabile ma sfociò in una conclusione particolarmente complessa.
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1 D
PRO
D Conclusione
CS complessa
Questi effetti di cortocircuito possono contribuire ugualmente a conferire autorità scientifica a teorie devianti
rispetto alla ‹‹scienza normale››. Se ne è avuto un esempio nel caso del lyssenkismo. Ma se nel caso delle
scienze delle scienze della natura, la comparsa di tali effetti presuppone condizioni molto particolari, la
stessa cosa non avviene nelle scienze sociali, dove capita spesso che una teoria dubbia venga facilmente
confermata. Il meccanismo è lo stesso in tutti i casi: uno o più gruppi specifici accettano una teoria perché
essa risponde a una loro domanda latente, domanda che è forse dovuta a effetti di posizione, a effetti di
disposizione o a entrambi i tipi di effetti. Per questo motivo tali gruppi mostrano interesse per la teoria. D’altra
parte, se tale teoria è per questi gruppi una scatola parzialmente nera, possono manifestarsi effetti di
autorità. Dei mediatori hanno allora buone probabilità di contribuire alla diffusione della teoria presso altri
uditori. Alcuni perché si sentono del tutto d’accordo con le sue conclusioni, altri perché ritengono loro
compito di mediatori informare il pubblico di un’idea o di una teoria della quale ‹‹si parla››. Se il processo è
sufficientemente veloce, la teoria può essere oggetto di una ‹‹credenza collettiva›› anche prima che essa
possa essere stata esaminata da coloro che sono in grado di trattarla come una scatola bianca. Per illustrare
questo caso Boudon si serve della teoria esposta nel “Sorvegliare e punire” di Foucault, che afferma che
dall’Ancien Régime ai giorni nostri le pene inflitte ai criminali si sono addolcite e si sono ridotte alla prigione.
Dal XIX secolo ad oggi tutti gli osservatori seri giudicano la prigione con severità come una scuola del
crimine, che fa nascere una popolazione di emarginati che, appena rilasciati, pensano solo a minacciare
l’onesto cittadino. Già Tocqueville dava un giudizio di questo tipo al sistema penitenziario americano,
nonostante questo fosse molto “moderno”. Tuttavia la prigione è sopravvissuta a tale condanna da parte dei
specialisti in quanto non s’è trovato nulla di meglio. Grazie ad essa non sono commessi molti crimini e delitti
che altrimenti lo sarebbero. Questa tesi non può essere dimostrata direttamente ma indirettamente facendo
notare per esempio che la frequenza di certi crimini e certi delitti tende a decrescere quando sono puniti più
gravemente. La prigione non è forse la soluzione migliore e comporta costi sociali ma è difficile sostenere
che i suoi inconvenienti siano maggiori dei vantaggi o che gli effetti negativi siano più importanti di quelli
positivi. È in questo passaggio che la teoria di Foucault subisce un primo sbandamento: infatti gli effetti della
prigione sono puramente negativi ed essa non riesce a diminuire il tasso di criminalità. A sostegno di questa
tesi Foucault cita un commentatore del 1842 che evidenziava l’aumento di criminalità ai suoi tempi
nonostante la galera, il patibolo e la prigione. In sostanza per l’autore la prigione è un’istituzione che
presenta solo inconvenienti e nessun vantaggio dal punto di vista sociale. Qui innesca un secondo
sbandamento in quanto se le cose stanno realmente così, si chiede se bisogna rovesciare il problema e
domandarsi a cosa serve lo scacco della prigione. Infatti se questa istituzione sopravvive bisogna supporre
che serva a qualcosa. Foucault propone a questo punto la sua ipotesi: la prigione e in linea generale i
castighi non sono destinati a sopprimere le infrazioni ma piutto