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“DA CASTEL VOLTURNO A ROSARNO. IL LAVORO VIVO DEGLI

IMMIGRATI TRA STARGI, POGROM, RIVOLTE E RAZZISMO DI STATO” di

Biagio Borretti

>> Il Lavoro Nei Campi

Nel settore primario, i piccoli produttori, sempre più soggetti agli ordinativi flessibili

delle grandi aziende della distribuzione (che oltra a fare il prezzo e condizionare il

tipo di coltura, impongono anche ritmi di lavoro e di consegna), sono costretti a

ricercare una forza-lavoro altamente flessibile, che sia messa a lavoro e licenziata

con la stessa velocità e semplicità: allora quale miglior soluzione se non l’immigrato

“clandestino”? << C’è un posto dove ti siedi ad aspettare

che ti pigliano. Se stanno costruendo un

grande palazzo allora passano a prenderti.

Se invece non c’è lavoro, non mangiamo.

Non capita spesso di lavorare di

continuo. >>

Queste sono le parole di una contadina indiana costretta regolarmente a spostarsi

in città alla ricerca di lavoro nei cantieri e che descrivono in pieno il rapporto che c’è

tra l’immigrato in attesa di lavoro e il suo caporale, figura questa divenuta

assolutamente centrale, tanto da diventare anello insostituibile nella catena del

lavoro agricolo. Il capolarato ha natura strutturale nel processo di lavoro nelle

campagne, laddove i margini di profitto dei proprietari di terra tendono a decrescere

relativamente imponendo al minimo la riduzione dei costi di produzione. Nelle

campagne italiane il capolarato ha sin da subito preferito la manodopera femminile,

in quanto più disponibile ad accettare condizioni di lavoro peggiori e peggio pagate,

mentre gli uomini tendono ad assumere sui luoghi di lavoro atteggiamenti più

conflittuali. Sono donne costrette a giornate lavorative di 12-13 ore (mai inferiori

comunque a 10 ore) che cominciano alle 3-4 di notte con spostamenti in furgoni o

pullman, in cambio di paghe misere. La forza-lavoro oltre ad essere controllata

attraverso il ricatto e la figura del caporale, lo è anche attraverso il cottimo, il

particolare rapporto salariale stretto tra braccianti e padroni e che Marx definiva

come la forma di retribuzione più confacente al modo di produzione capitalistico, in

quanto:

Paga solamente il lavoro socialmente necessario a produrre una determinata

o quantità di prodotti

Disciplina il lavoratore, costringendolo indirettamente ad aumentare i livelli di

o produttività e la qualità dei lavori (poiché più lavora meglio e intensamente

più guadagna); in parole povere il lavoratore si autosfrutta.

“SULLA VIOLENZA CONTRO LE IMMIGRATE E GLI IMMIGRATI”

di

Marco Pettenò

La violenza contro gli immigrati di entrambi i sessi, sia che si tratti di violenza fisica,

diretta o violenza senza sangue, indiretta, psicologica, morale, è un meccanismo

sociale che, attraverso l’uso di mezzi coercitivi istituzionali e/o privati comprime i

bisogni fondamentali, la libertà e dignità di quanti/e la subiscano.

Violenza Fisica

o

Si sa, il viaggio in mare all’interno di barconi instabili è il primo rischio in cui incorre

l’emigrante, ma che pur di assicurare un futuro a chi rimane in patria teta il tutto per

tutto. Ora per i pericoli iniziano già prima del viaggio in mare, infatti, l’Italia come

anche Francia e Spagna, oltre ad attuare una politica interna anti-immigrante,

hanno esportato oltre confine la violenza inferta agli immigrati, grazie ad accordi

stretti con le città di partenza degli emigranti: come la Tunisia, che in seguito ad un

accordo con l’Italia, ha costruito una serie di carceri per chi tenta di raggiungere la

costa siciliana; così per gli emigranti non resta che affrontare un’ulteriore viaggio

che li porti prima in Libia e poi da lì in Italia, la quale ha successivamente stretto

anche un accordo con Tripoli (tra il 2008/09) che vedono da un lato l’acquisto di

idrocarburi, il consolidamento degli scambi commerciali, e dall’altro il contrasto

all’immigrazione (ragion per cui vengono inviata alla Libia dal 2003 scorte di visori

notturni e mille sacchi per cadaveri).

I centri di identificazione ed espulsione

o

Secondo Pettenò i Cie si configurano come strumenti di legalizzazione della

violenza verso gli immigrati, che provocano assuefazione e quindi normalizzazione

della violenza stessa.

I centri di permanenza temporanea (ribattezzati Cie dal pacchetto sicurezza) sono

stati introdotti dai governi di centro-sinistra con la legge n.40 del 1998 e

prevedevano inizialmente una detenzione di 20 giorni prorogabile di altri 10; il

centro-destra con la legge n. 181 del 2002 aumentò la detenzione a 30 giorni

prorogabili di altri 30; il pacchetto di sicurezza con la legge n. 94 del 2009 l’ha

ulteriormente estesa a 180 giorni.

Di fatto i Cpt introdussero nella giurisdizione italiana, per la prima volta, la

DETENZIONE AMMINISTRATIVA, prevedendo la privazione della libertà

personale senza aver commesso reati; successivamente con l’astuto

pacchetto di sicurezza si assiste alla criminalizzazione dell’immigrazione

clandestina che diventa così reato.

Il lavoro

o

La fabbrica e la casa sono i luoghi in cui l’immigrato vive in massima parte la sua

esistenza e in cui la violenza su di esso è sistematica, generalizzata e continua.

Per descrivere la condizione lavorativa di questa gente si ricorre al termine di

schiavitù con contratto (ossia accettata o legalizzata a seconda dei casi), che

secondo Bales è determinata da tre condizioni:

L’uso sistematico della violenza o della minaccia alla violenza (gli improperi e

1. gli insulti verbali, la privazione del nome, abuso sessuale, etc.);

Limitazione della libertà di movimento, tramite la sottrazione dei documenti;

2. Corresponsione di un salario misero, non adeguato al carico di lavoro.

3.

Costretti in profili professionali scarsamente qualificati, il sotto-inquadramento e il

basso reddito che ne derivano, il lavoro svolto in orari svantaggiati sono solo il

corollario di un dato ben più grave che riguarda gli infortuni e le malattie

professionali, e anche per questo nei cantieri, come in altri luoghi di lavoro, si

“sceglie” chi, in base a determinate caratteristiche, è in grado di sopravvivere alla

giornata lavorativa. Nel 2007 i lavoratori immigrati hanno subito il 15,4% degli

infortuni verificatisi in Italia e il 14,9% di tutti gli infortuni mortali avvenuti nel

medesimo periodo.

La scuola

o

Anche la scuola, un mondo che si vorrebbe propedeutico ad un miglioramento dei

rapporti sociali, è un luogo dove si produce, riproduce e manifesta il razzismo,

anche in essa i casi di pestaggio e insulti motivati razzialmente non sono una rarità.

Un primo esempio è fornito dalla strategia che il VII municipio di Roma ha adottato

in risposta ad un problema di trasporto verso gli istituti scolastici: in seguito ad

alcune proteste di genitori che si lamentavano di un litigio intercorso tra i propri figli

e alcuni bambini rom all’interno dello scuolabus il consiglio della municipalità ha

votato per la separazione del trasporto tra bambini rom e non-rom.

Un altro casi ci porta in provincia di Belluno, dove il progressivo aumento della

presenza di bambini figli di immigrati portò la giunta comunale a proporre

l’istituzione di percorsi differenziati o, peggio di classi differenziate a seconda della

preparazione dei singoli alunni: così anziché mirare a ridurre le disuguaglianze in

partenza, tali provvedimenti chi presenta qualche difficoltà a una “eterna serie B”

che si ripercuoterà nella scelta di continuare o meno gli studi. Questa proposta di

Belluno ha solamente anticipato i tempi, infatti il 14 ottobre 2008, il parlamento ha

approvato, nel disegno di legge per la riforma della scuola, l’introduzione di classi di

“inserimento”, ossia di veri e propri ghetti composti di soli figli di immigrati impegnati

nell’apprendimento della lingua italiana, in attesa di un inserimento nel normale iter

scolastico.

Nella stessa direzione si colloca la proposta dell’ex sindaco di Milano Letizia

Moratti, di precludere l’asilo ai figli di immigrati irregolari.

Tutta la macchina di discriminazioni, di razzismo, di violenza serve ad

assicurare ai “leoni del mercato libero” (le imprese) che questa forza lavoro

di “colore” continui ad essere costretta a subire condizioni di sfruttamento e

serve ad offrire ai disagi, alle preoccupazioni, alle paure, alla “rabbia sociale”

un capro espiatorio a cui addossare la colpa di tutto ciò che non va. Il clima

popolare di disprezzo, di odio e perfino di “caccia” allo straniero non è che il

risultato di una politica di stato finalizzata ad impedire alle popolazioni

immigrate di esigere un trattamento migliore, ottenere “riconoscimenti”,

diritti. “I ROM, IL BERSAGLIO PIÙ FACILE”

di Luigi Di Noia

Il riemergere in primo piano della “questione rom” è stato con ogni evidenza

innescato dai movimenti migratori conseguiti al crollo delle economie dell’Europa

orientale dopo il 1989; private dei servizi pubblici basilari, espulse dal ciclo

produttivo e dalla rappresentanza politica, sfrattate dalla speculazione edilizia,

scacciate dal montare dei nazionalismi xenofobi, queste popolazioni sono costrette

all’emigrazione dalla crisi economica così come dalla disgregazione della

Jugoslavia.

Nella storia europea le politiche discriminatorie e persecutorie contro le popolazioni

rom vantano ben cinque secoli di vita: a partire dal XV secolo, infatti, si

moltiplicarono i bandi contro gli zingari, così già nel 1471 la Federazione svizzera

vietò agli “Zeginer” di rimanere sul proprio territorio e negli “staterelli germanici e

quelli italiani” – dice l’antropologo Piasere – “sono stati contati, nei primi 133 decreti

antizingari e 209 nei secondi dal XV al XVIII secolo” (quando le strutture statuali si

accorsero dell’inutilità ed inefficacia dei bandi si ricorse alla deportazione nelle

colonie).

Costretti in schiavitù, deportati, marchiati a fuoco e mutilati, incatenati, massacrati,

giustiziati, sterilizzati, privati dei propri figli, i rom sono però sopravvissuti alla

“civiltà” europea fondendosi con il resto delle classi popolari svolgendo mestieri che

lo sviluppo capitalistico ha trasformato, estinto o consegnato nelle mani della

borghesia, costringendo così i rom a scegliere tra una schiavitù salariata, la

marginalizzazione sociale e lo sterminio.

Prima di allora i lavoro dei rom era così tanto apprezzato da essere ricercato e

difeso dalle

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A.A. 2013-2014
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SSD Scienze politiche e sociali SPS/07 Sociologia generale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher ForatB di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Sociologia generale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Firenze o del prof Barrucci Paolo.