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Lui distingue fra due tipi di fatti sociali. Ne esistono alcuni, che si presentano proprio come
devono essere e che sono riscontrabili nella maggioranza dei casi e che proprio per questo
motivo (appaiono normali, succedono spesso, si inseriscono nel filone della normalità), sono fatti
normali. Nello concetto di malattia e salute, la normalità è lo stato di salute (salute come fatto
normale).
Poi esistono i fatti diversi da quelli normali, che accadono in una minoranza di casi: questi sono i
fatti patologici (la malattia è anormale, perché si verifica nella minoranza dei casi).
Dunque, pur non indagando direttamente il rapporto medico-paziente, secondo questo
ragionamento, il medico dovrebbe riconoscere nel paziente malato fatti non normali. Dunque, se
il paziente è normale è sano, se è eccezionale è malato.
Cosa ne consegue? Che per Durkheim il rapporto medico-paziente è definito solo in termini
quantitativi e statistici: il paziente esiste solo quando questo passa da uno stato di normalità
(salute) ad uno eccezionale (di malattia).
Di questa idea si impadronisce Parsons. Questi tratta la malattia come una forma di devianza
dalla normalità: è il primo sociologo che studia davvero il rapporto medico-paziente. Se per
Durkheim il malato rappresenta un caso di anormalità sociale, per Parsons questa viene
analizzata come una vera e propria disfunzione: la patologia non è semplicemente anormalità, ma
funzionamento della società (la malattia turba l’equilibrio della società).
è un problema nel
Se il malato non riesce a recuperare la sua autonomia e, quindi, tornare ad essere parte della
il medico. Questi è il “meccanico” del paziente, che
maggioranza della società, entra in campo
deve cercare di restituire la normalità al paziente stesso, così che questo possa tornare a compiere
il suo ruolo sociale. Salute e malattia, dunque, sono studiate non in funzione al problema della
ma in rapporto all’importanza che hanno rispetto ai ruoli sociali delle persone.
malattia,
Il paziente, al fine di guarire, deve attenersi alla terapia: medico e malato sono figure
complementari; il primo entra in campo unicamente quando il secondo smette di far parte della
normalità; il medico opera e il malato obbedisce, in quanto è solo grazie al medico che il malato
potrà tornare ad essere sano.
Riassunto di Alessandro Gagliani e Mattia Sabatini ® 10
Cosa possiede il medico per il malato? Un valore aggiunto: il medico sa come agire sulla
malattia. La valutazione del medico primeggia sempre su ciò che il paziente percepisce: il
medico possiede un ruolo impositivo sull’assistito (il medico sa quello che fa e il paziente deve
solo obbedire). ’70
Questa prospettiva viene ribaltata negli anni da Husserl, un fenomenologo. Questi sottolinea,
invece, la necessità di valorizzare il paziente, in quanto facente parte di un ruolo sociale e in
quanto persona: bisogna considerare, dunque, la soggettività della persona, il suo approccio alla
malattia e ciò che questa gli provoca. Il rapporto viene, quindi, analizzato ad un livello micro
(rapporti della persona con le altre persone, ecc.). Questi tipi di rapporti vengono interpretati
dalla fenomenologia come rapporti face to face: persone che si scambiano punti di vista e idee
(rapporti bilaterali e non unilaterali).
Il linguaggio verbale e non verbale possiede un ruolo fondamentale: è proprio grazie al
linguaggio che si riesce a scambiarsi informazioni e a capirsi; è possibile, in questo modo,
trovare anche un punto di vista condiviso (sulla malattia, sul tipo di cure, sui tempi di degenza,
ecc.). Paziente e medico collaborano alla guarigione e si trovano sullo stesso piano.
Se l’ottica è improntata alla parità medico-paziente e se il contesto clinico ha le sue regole
particolari, diventa allora importante vedere come si comporta il paziente anche fuori dai contesti
organizzati: dove non c’è la vigilanza dei professionisti della salute, come si comporta il
paziente? Continua a seguire il consiglio dei professionisti? O agisce per conto proprio?
Che credibilità ha il medico (e il suo sapere) per il suo paziente? Se questo non crede nel medico,
difficilmente seguirà le prescrizioni del medico stesso.
Un terzo modello (modello critico) lo troviamo con Ivan Illich, secondo cui il complesso
sanitario annichilisce l’individuo.
Dobbiamo tener conto di un’altra cosa importante, la gestione della medicina, il sapere medico, è
in quel periodo sempre più complesso, anche la gestione dell’ospedalizzazione stessa è più
Questo livello di complessità non è d’aiuto alla produzione della salute, ma anzi,
complessa.
spesso crea l’effetto opposto, scoraggiando gli utenti. L’approccio critico punta il dito contro la
classe medica che, come tutte le burocrazie, è gelosa del proprio sapere e del proprio potere. Si
crea, quindi, un’incomunicabilità fra medico e paziente, proprio perché le questioni tecniche
diventano così complesse, da non essere comprensibili al paziente; nasce da qui il termine di
iatrogenesi, ossia la genesi da parte della stessa classe medica di disturbi della salute.
Anziché soluzioni ai problemi di salute, si provocano potenziali danni.
Di iatrogenesi ne esistono 3 tipologie diverse, secondo Illich.:
1. Clinica: l'applicazione di cure mediche, lungi dal guarire l'individuo dalla malattia,
funzionano a loro volta da agenti patogeni. Spesso, infatti, sono farmaci, medici e
ospedali a causare malattie di vario tipo, ancora più di batteri, virus o altre cause note.
2. Sociale: si manifesta attraverso i sintomi di supermedicalizzazione sociale, quando la
cura della salute si tramuta in un articolo standardizzato, come se fosse un prodotto
industriale, stabilendo inoltre che cosa è "deviante" rispetto al concetto di salute
medicalizzazione corrisponde ad un’espropriazione delle persone rispetto
3. Culturale: la
alla capacità di rapportarsi alla malattia e al dolore (incapacità culturale della società
contemporanea di rapportarsi con l’idea di malattia).
La medicalizzazione della società contemporanea produce, in qualche maniera, una espoliazione
del rapporto medico-paziente e della sua componente relazionale: elimina ogni sorta di empatia e
di comprensione umana. Tutto si riconduce ad un puro e semplice incontro terapeutico.
Riassunto di Alessandro Gagliani e Mattia Sabatini ® 11
La persona percepisce come normale questa sorta di dipendenza terapeutica. La
medicalizzazione della società contemporanea genera una dipendenza dai medici e dalle
medicine. Oggi, ogni problema di tipo sociale o culturale, diviene un problema di tipo medico. Il
volta trovata la causa, se l’effetto è
pensiero razionale e scientifico, infatti, ci insegna che, una
dannoso, va eliminata la causa, agendo quindi con un medicinale.
Non verrebbe riconosciuto legittimo il sapere del medico, se il loro approccio non fosse
scientifico e razionale. Tuttavia, i processi scientifici sono oggi così complicati che è difficile per
noi (non medici) comprenderli appieno e, dunque, come nella società antica si fidavano dei
maghi e degli stregoni, anche noi oggi ci fidiamo ciecamente della scienza e del medico che
opera. La medicina, anche se non è onnisciente e onnipotente, è una scienza oggettiva, è
costituita da regole, verifiche cliniche, processi standard. Uno strumento del genere, così tecnico,
quindi, è poco comprensibile a chi tecnico non è. Da questo tipo di riflessione discende che oggi
il medico è un tecnico, che applica protocolli rigorosi, standardizzati, che rischiano di produrre
una spersonalizzazione della diagnosi stessa. Il medico si propone come prescrittore di farmaci,
In questa maniera, si disinteressa dell’interlocutore (paziente) perché lo
esami ed interventi.
ritiene non capace di comprendere ciò che lui, invece, conosce.
In questo quadro di spersonalizzazione, che ruolo va a ricoprire l’infermiere? Questo potrebbe
rimettere in gioco diverse carte ormai abbandonate: potrebbe essere una chiave di volta per un
cambiamento, rimettendo in gioco la comunicazione interrotta fra medico e paziente.
L’infermiere è portatore di un valore duplice: la competenza clinica e la capacità relazionale.
L’assistenza che l’infermiere è in grado di dispiegare passa su due livelli fondamentali.
l’assistenza infermieristica?
In che cosa consiste Consiste nel prendersi carico della malattia del
paziente come problema; ma il valore aggiunto è che l’infermiere si prende carico non solo della
malattia ma anche delle conseguenze di questa sulla persona (conseguenze di tipo psicologico,
sociale, ecc.).
L’infermiere deve essere bravo a far funzionare tutto questo: eliminare le conseguenze della
malattia, soprattutto sul piano psicologico. In corrispondenza di una stessa malattia, possono
esistere diverse modalità di assistenza infermieristica, perché basate sulla persona.
I bisogni di assistenza sono solamente in parte riconducibili alla patologia: dipendendo
soprattutto dalla persona, dal suo vissuto, dalla cultura, dall’emotività, dalle relazioni, che fanno
dell’individuo un essere sociale. L’assistenza infermieristica deve essere dinamica e
personalizzabile in relazione all’individualità del paziente: il processo di individualizzazione è
centrale.
È attraverso la comunicazione che si possono soddisfare i bisogni legittimi del paziente: bisogna
saper creare un buon clima, entrare in contatto e in rapporto con la persona, ascoltandola ma
anche educandola, al fine di permettergli di raggiungere l’autonomia.
La mediazione fa medico e paziente è quella di permettere a quest’ultimo di partecipare al
proprio processo di cura (spiegando anche ciò che viene fatto e perché).
La relazione che dovrebbe instaurarsi fra infermiere e paziente è radicalmente diversa da quella
dovrebbe essere un’esperienza di apprendimento reciproco: si affronta un
medico-paziente;
sanitario, ma si cerca anche l’adattamento alla nuova situazione.
problema
Esistono 3 scuole principali di pensiero da seguire:
Scuola basata sull’interazione: pone l’accento sull’interazione fra individui. La
1. professionalità acquisita dall’infermiere può favorire un uso terapeutico del sé attraverso
le relazioni e il paziente può elaborare, in questo modo, l’esperienza della malattia.
Questa scuola segue due metodi:
Riassunto di Alessandro Gagliani e Mattia Sabatini ® 12
(metodo di assistenza psicodinamica): fatto da un’infermiera
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