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KARL MARX
La visione della storia
La teoria di Marx è una teoria macro, che vuole descrivere, spiegare e prevedere comportamenti e interazioni di un gran numero di
individui lungo un ampio arco temporale. Non è però una teoria scientifica, ma una “grande narrazione”. Come ricercatore sociale,
non propone ipotesi da verificare analizzando dati raccolti indipendentemente dalla teoria, ma raccoglie prove empiriche per
confermare la propria teoria.
A suo parere, la storia si svolge secondo strutture conoscibili e prevedibili. Quindi una “scienza della storia” è possibile, ma perché sia
tale deve fondarsi sul principio che governa il flusso degli avvenimenti storici, la dialettica, termine che indica un argomento che
emerge dalla discussione di punti di vista diversi e contrapposti.
Analogamente alla filosofia di Hegel, Marx vede la storia come la successione di una serie di modi di produzione, ciascuno dei quali
contiene elementi critici che conducono allo sviluppo di quello successivo, fino all’affermazione finale del bene. Il modo di produzione
attuale, il capitalismo, si è sviluppato dal feudalesimo per le criticità interne di quest’ultimo, e a sua volta è caratterizzato da una
serie di problemi interni – chiamati hegelianamente da Marx “contraddizioni” – che lo porteranno in tempi brevi all’auto-dissoluzione
e a essere sostituito da un nuovo sistema economico e sociale, il comunismo.
La teoria della storia marxiana è olista e determinista: essa vede il processo storico come determinato da forze sovraindividuali e
crede che l’azione di queste forze sia inarrestabile – anche se può essere rallentata da contro-tendenze. È anche vero che Marx
respinge la personalizzazione di queste tendenze, e sostiene che gli unici agenti della storia sono gli individui, con formulazioni vicine
a quelle dell’individualismo metodologico contemporaneo. La semplificazione del processo storico e del conflitto sociale implicata da
questa visione della storia ne ha favorito il successo politico.
Il primato dell’economia e la critica dell’economia politica
Più produttiva per le scienze sociali successive stata l’idea di Marx della centralità dei rapporti economici nella vita sociale e politica.
Il fatto che Marx parli di critica dell’economia politica deriva dalla sua posizione ambivalente sul mercato – l’istituzione centrale
dell’economia e della scienza economica moderna. Da una parte, egli segue gli economisti politici britannici che spiegavano lo
sviluppo economico in base alla libertà di scambio e all’espansione dei mercati competitivi; dall’altra, è un critico spietato della
visione liberale.
Secondo Marx, la diffusione del mercato crea una società irrimediabilmente divisa tra datori di lavoro e lavoratori, la ricchezza che il
mercato produce è inseparabile dallo sfruttamento e la sua espansione implica necessariamente un peggioramento delle condizioni
dei lavoratori. Tuttavia, secondo la visione dialettica della storia, questa situazione è destinata a ribaltarsi, e al massimo dello
sfruttamento – associato al mercato e alla società borghese – seguirà l’abolizione dello sfruttamento stesso nella società comunista.
Al centro della critica marxiana è lo scambio tra salario e lavoro; Marx ne dà una lettura al contempo politica e storico-filosofica. Il
profitto che il datore di lavoro trae dalla propria attività in realtà è un’appropriazione di gran parte del valore creato dal lavoratore,
perché il salario – il valore del lavoro – copre solo arte del valore creato dal lavoratore: questa parte è il costo di produzione del
lavoro, cioè del mantenimento dell’operaio, mentre il rimanente – il plusvalore – rimane al datore di lavoro. Non solo: tutta la
ricchezza dei datori di lavoro – il capitale – non è altro che valore strappato ai lavoratori.
L’idea secondo cui il valore non può provenire che dal lavoro vivo – svolto dalla classe operaia e contrapposto al lavoro morto dei
borghesi – ha un’ulteriore implicazione. Come Marx osserva, il progresso tecnologico gradualmente rimpiazza il lavoro degli operai
con quello delle macchine. Questo significa che non viene creato più valore, perché le macchine non sono lavoro vivo. Dunque, anche
il profitto dei capitalisti tende a diminuire, creando le condizioni per la fine del modo di produzione capitalistico.
La potenza teorica e retorica di questo argomento fa sì che esso sia stato ripreso di recente dai sociologi economici critici del
capitalismo contemporaneo. Il problema è che l’analisi non è corretta, e quindi la fondazione scientifica della prognosi della fine del
capitalismo non è tale.
Le classi sociali
Marx è annoverato tra i protagonisti della nascita della prospettiva sociologica sull’economia, intesa come ampliamento e critica delle
teorie della vita economica che trascurano la storia e le istituzioni. Una lettura diversa è invece quella che vede in Marx ed Engels gli
ispiratori della moderna “sociologia del conflitto”.
Marx ha unito il significato economico e quello politico del concetto di classe in un modo così efficace che è stato ampiamente ripreso
da diversi autori non marxisti – quali Weber. Il concetto marxiano di classe descrive come la posizione economica degli individui
suddivida la popolazione in gruppi tra loro distinti – con dotazione differenziale di risorse e diverse capacità di mobilitarsi
-individualmente o collettivamente, per mantenere o incrementare tali risorse. Il concetto di classe si basa sulla funzione psicologica
svolta dalle categorie, che vengono incontro al bisogno cognitivo di ridurre la complessità della percezione degli altri individui.
Secondo Marx, un modo di produzione comprende un determinato assetto delle forze produttive, e un determinato assetto dei
rapporti di produzione. La società borghese è caratterizzata dalla proprietà privata, in base a cui sono definite due classi: i proprietari
e i non proprietari. Secondo la teoria marxiana della dialettica storica, queste due classi definiscono il modo di produzione
capitalistico, e la loro contrapposizione è al centro del conflitto economico, sociale e politico che lo caratterizza.
Quando studia la società a lui contemporanea, Marx descrive un quadro dei rapporti di classe più articolato; nei testi marxiani si
possono ricostruire due teorie delle classi di questo tipo – una basata sui rapporti di proprietà, l’altra sui rapporti con il mercato. La
prima definisce la classe come un “gruppo di persone che si trovano nella medesima relazione di proprietà o non proprietà, ovvero la
forza lavoro e i mezzi di produzione”; la seconda invece, sostiene che le classi sono gruppi di individui che condividono una
condizione e un comportamento rispetto al mercato, in particolare al mercato del lavoro. Entrambe le teorie sono utilizzate nelle
ricerche della sociologia contemporanea: la prima corrisponde all’analisi delle classi neomarxista, la seconda all’analisi delle classi
neoweberiana.
La teoria del conflitto
La teoria del conflitto di Marx e dei marxisti moderni utilizza la scienza per criticare la società e soprattutto la classe dominante. si
sviluppa per la maggior parte in Europa occidentale e in America è emersa durante gli anni trenta e quaranta. Essi:
•credono che gli scienziati sociali non debbano separare il lavoro dall’impegno morale e, considerano le loro teorie come una forza
verso il mutamento e il progresso
•credono che l’obiettività sia praticamente impossibile
•scienza legata alla visione di ogni autore: funzione della società a cui appartiene
•rifiuto della visione scientifica comune secondo cui le teorie reggono o cadono, a seconda che l’evidenza dei fatti dia loro più o
meno supporto
•valori e standard presi in considerazione sono quelli giusti dai quali costruire base per una critica rivolta alla ricchezza, status e
potere distribuiti nella società
La società è divisa in modo netto tra un piccolo gruppo di individui privilegiati e una massa sfruttata e manovrata ma allo stesso
tempo non si crede che essa debba rimanere segmentata e ineguale. Contrapposta alla società si analizza un sistema di cose
confrontando il presente irrazionale dove l’uomo è ostacolato ad uno stato di cose ideali e razionale. la visione della società è il punto
di partenza della critica alle società reali.
Marx ha un’influenza importante in tutto questo:
•considera le idee non obiettivamente corrette in quanto frutto di circostanze sociali
•utilizza il termine prassi per descrivere azioni ispirate da tali considerazioni teoriche e per contraddistinguere una coscienza
rivoluzionaria
•concepisce una società a due classi (oppressi e oppressori)
•incita l’avvento del comunismo in cui l’uomo realizzerebbe la sua natura più profonda
La base economica della società
Marx individua i fattori economici definendoli come elementi determinanti della struttura sociale, del mutamento e della spiegazione
stessa della realtà. egli distingue tre aspetti dell’organizzazione sociale:
1.le forze materiali di produzione ossia i sistemi effettivi che l’individui utilizzano per produrre i loro mezzi di sussistenza
2.rapporti di produzione che derivano dalle forze di produzione e comprendono i rapporti e i diritti di proprietà
3.idee e le sovrastrutture legali e politiche/ forme di coscienza sociale corrispondenti ai primi due aspetti
Marx afferma che nel processo produttivo gli uomini entrano in rapporti di produzione e il loro insieme costituisce la struttura
economica della società. In altri termini la produzione rappresenta il fattore causale che determina l’organizzazione sociale.
accettando la teoria materialista della storia si afferma che cambiando sistema di produzione, cambiano tutti i loro rapporti sociali. Il
tipo e i rapporti di produzione costituiscono dunque la struttura che determina la natura di una particolare società e la sua
sovrastruttura di leggi, governo e idee.
Marx presta più attenzione agli effetti esercitati sulla vita sociale dal tipo di organizzazione economica, che alla produzione in quanto
tale. però ammettendo l’importanza dell’organizzazione economica piuttosto che quella tecnologica, entra in crisi l’idea che un
principio unico spieghi i meccanismi della società. Infatti, se coesistono diverse forme di organizzazione economica con una data
tecnologia, allora queste stesse forme devono essere, almeno in parte, il risultato di altri fattori non economici ritrovati nella
sovrastruttura. dunque, in questo caso la teoria economica della storia di Marx diventa, come sosterr