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La struttura formale coincide con le parti e i meccanismi più strumentali-razionali e neutralmente “tecnici”
del funzionamento organizzativo (burocrazia). Le organizzazioni non possono prescindere dalla propria
componente umana per il semplice motivo che la loro stessa esistenza dipende dalla volontà dei soggetti
partecipanti di fornire contributi.
L’attenzione alla struttura organizzativa informale suggerisce che lo stato reale dell’organizzazione e la sua
evoluzione nel tempo dipendono dall’intreccio tra gli aspetti formali e il fatto che i partecipanti portino
nelle organizzazioni un loro margine di libertà che tende a ripercuotersi sui compiti e i fini ufficiali.
Per Crozier e Friedberg l’organizzazione è concepita come un processo attraverso il quale le interazioni
strategiche tra un insieme di attori collocati in un dato campo d’azione e reciprocamente dipendenti per la
soluzione di un problema in comune, si stabilizzano e si strutturano in ordini locali e contingenti. Sullo
sfondo di tale definizione sono 3 le nozioni centrali per capire il funzionamento reale delle organizzazioni:
- L’attore è strategico, capace di perseguire obiettivi in relazione ai propri interessi;
- L’organizzazione tende a costruirsi e a modificarsi nel tempo come un sistema concreto d’azione;
- Queste interazioni si configurano in gran parte come relazioni di potere.
Il potere consiste nella capacità di un attore di strutturare i suoi processi di interazione e di scambio con
altri attori in maniera favorevole ai propri interessi. Il potere e i conflitti, oltre che un ingrediente ordinario
delle relazioni e della vita sociali, sono un meccanismo indispensabile per promuovere capacità di azione
nei contesti di attività collettiva. La fonte di potere più ovvia e manifesta consiste nell’autorità formale.
Credenze e valori possono avere effetti di natura pratica. Generare modelli comuni di interpretazione della
realtà interna ed esterna e aumentare il senso d’appartenenza dei membri nei confronti
dell’organizzazione. L’approccio sociologico alla cultura organizzativa si distingue per una serie di
peculiarità, la prima consiste nell’attenzione alla dimensione prettamente simbolica delle dinamiche
culturali. La seconda tende ad indagare il fenomeno culturale mettendone in evidenzia la natura
multiforme (sottoculture), che possono essere di sostegno o contrarie. Un terzo tratto insiste sul rapporto
tra dinamiche culturali e prestazione organizzativa. La cultura può tradursi in una risorsa per l’integrazione
dell’attività collettiva anche più efficace dei normali metodi di coordinamento formali - burocratico;
influendo sulle dinamiche identitarie dei soggetti, essa può costituire una fonte di energie motivazionali
notevole per l’impegno e il coinvolgimento delle persone.
Ponendo l’accento sulle caratteristiche istituzionali degli ambienti d’azione delle organizzazioni si sottolinea
l’influenza, equivalente se non maggiore rispetto al ruolo delle forze strettamente tecnico – competitive, di
fattori di contesto di natura socio – culturale. Hofstede interpreta le organizzazioni anche come espressione
delle culture dei diversi paesi in cui sono inserite. Parallelamente nella società odierna si registra anche un
processo di globale convergenza dato dalla propagazione e dalla pervasività di potenti regole e miti
istituzionali che pongono considerevoli pressioni verso la conformità socio – culturale e a cui contribuisce
un’ampia costellazione di agenti di istituzionalizzazione: gli stati e le autorità sovranazionali.
I principali assunti della teoria economica mainstream sono schematizzabili in:
- Il mercato e le azioni che in esso si compiono dipendono soltanto da vincoli da esso espressi;
- L’attore e il principio di massimizzazione di utilità spiegano il comportamento umano;
- Le altre dimensioni sociali sono variabili dipendenti
Weber rende evidenti i limiti dell’idea che il comportamento degli attori nella sfera economica siano
riconducibili al principio di massimizzazione dell’utilità. Il desiderio acquisitivo, la spinta al profitto e
all’arricchimento, lungi dal costituire tratti naturali ed endogeni del comportamento umano, sono
storicamente, culturalmente e socialmente prodotti.
Questa rappresentazione alimenterà la critica alla visione strumentale – riduzionista dell’azione:
l’attenzione agli interessi individuali porta a trascurare la dimensione costitutiva dell’economia; fattori di
contesto più ampi di quelli in cui l’azione si svolge, ponendo attenzione su fattori non economici nelle
dinamiche di mercato.
La sociologia economia ha alcune dimensioni fondamentali:
- L’azione economica è incorporata (embedded) in reti di relazioni interpersonali;
- L’economia e le istituzioni economiche sono costruite socialmente;
- Gli scambi di mercato non avvengono a condizioni astratte di una società atomizzata, ma si
svolgono all’interno di contesti di organizzazione sociale che sono state storicamente costruiti;
- Una visione pluridimensionale degli assetti economici.
La sociologia durkheimiana è in prima istanza critica nei confronti della filosofia utilitarista. Il legame sociale
può essere spiegato ricorrendo ad elementi normativi forniti agli individui dalla società ed interiorizzati nei
repertori cognitivi degli attori. Nel testo De la division du travail social coglie il passaggio da una solidarietà
meccanica a una organica.
Le istituzioni sono costruite dagli individui, ma una volta affermate, acquistano un’autorità e un carattere
costrittivo che finisce per imporsi agli individui. Durkheim ha fatto ricorso al concetto di anomia per
indicare la mancanza nelle società industriali di norme collettive vincolanti il comportamento individuale.
L’intreccio tra fattori conomici e non economici è sempre considerato nelle opere weberiane. In particolare
nella storia economica è effettuata una ricostruzione delle forme storiche di organizzazione dell’economia:
- economia naturale (senza scambio economia domestica);
- economia naturale di scambio (senza denaro antico Egitto);
- economia monetaria.
Weber dimostra la compresenza di due tipi fondamentali di economia, l’amministrazione domestica e
l’economia acquisitiva: la prima è orientata al soddisfacimento di un fabbisogno; la seconda è orientata ad
opportunità di guadagno attraverso lo scambio.
Il capitalismo moderno, secondo Weber, a differenza di altre forme di organizzazione economica, soddisfa i
propri bisogni soprattutto attraverso il mercato. Un ruolo da protagonista in questo contesto è svolto dalle
imprese che producono beni per il mercato sulla base di un calcolo di redditività del capitale da investire.
Ciò favorisce lo sviluppo di una tecnica razionale. Da qui la razionalizzazione dell’agire economico.
nell’etica protestante e lo spirito del capitalismo, il rigore morale, la parsimonia per il risparmio e
l’accumulo di capitale reinvestibile è prodotto e reso possibile da un sistema di valori e credenze.
L’accumulo razionale della vita fondata sull’idea della professione è nato dallo spirito dell’ascesi cristiana.
Razionalità e spiritualismo presi da soli non bastano a spiegare la formazione del capitalismo moderno: è a
questo proposito che Weber sottolinea l’importanza delle istituzioni, della città occidentale e del diritto
razionale, che favorisce il calcolo. Direttamente legata a questo processo è la formazione dello stato
burocratico, depositario del potere legale – razionale.
Per Polaniy l’economia si definisce, secondo una prospettiva sostanziale, in rapporto al soddisfacimento dei
bisogni materiali di una comunità ed è costituita da quell’insieme di attività volte a garantire la riproduzione
sociale dei gruppi umani. All’origine dunque sono i rapporti sociali che definiscono i criteri astratti (formali)
di funzionamento dell’economia. L’insaziabilità dell’uomo è perciò una propensione culturale e non
naturale. Il punto cruciale del pensiero polaniyano si basa sul presupposto che l’organizzazione economica
sia incorporata nei rapporti sociali.
A partire dalla consapevolezza che è impossibile individuare un unico centro di comando delle complesse
economie moderne e quindi un’univoca logica di comprensione del loro funzionamento, diviene essenziale
la collaborazione tra sociologia economica e le altre discipline coinvolte. La sociologia economica deve
poter svolgere il ruolo di mettere in discussione ciò che viene dato per scontato di fronte alla crisi dei
fondamenti delle società contemporanee, dei suoi ordinamenti, delle sue colonne istituzionali. Ciò significa
recuperare l’idea della non neutralità delle forme economiche e degli assetti sociali che corrispondono.
Si è ricominciato a parlare di sociologia economica nel 1985 quando Granovetter ha pubblicato quello che è
stato riconosciuto considerato il manifesto della nuova sociologia economica (si oppone alla concezione
utilitaristica e atomizzata dell’individuo, proponendo approcci che ruotano intorno all’idea di
embeddedness).
Ganovetter propone di riaprire il dibattito sull’importanza delle norme sociali, delle convenzioni, delle
rappresentazioni sociali, inserendone il significato in un più ampio quadro concettuale. Affronta infatti il
tentativo di unificare la prospettiva micro con la dimensione macro, analizzando il rapporto tra azioni
individuali e norme e identità sociale che, a loro volta, le condizionano.
Un aggiornamento teorico del programma di studi di sociologia economica può essere individuato nello
sforzo di indagare quanto viene modificata la società nella sfera economica. Oltre ad approfondire la natura
e il funzionamento delle istituzioni economiche, la sociologia economica deve porsi tra gli obiettivi quello di
individuare gli spazi per analizzare quei fenomeni (la dimensione locale, lo spazio comunitario, unità di
analisi territoriale non neutrale).
Il tema della produzione sociale come ambito dal quale possono scaturire nuove forme di socialità è
affrontato anche dalle prospettive interne alla sociologia economica. Mingione in particolare parla di
welfare mix,quale approccio interpretativo utile per cogliere la dinamicità di un sistema in cui stato,
mercato, famiglia, legami formali e informali, no profit, sono tra loro connessi.
Il sistema economico italiano risulta costituito dalla piccola e media impresa. I distretti industriali hanno
rappresentato un fondamentale filone di ricerca a partire già dagli anni settanta. I distretti industriali
tendono a comprendere att