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POLITICHE SOCIOASSISTENZIALI
Disposizioni e provvedimenti presi dallo stato per farsi carico dei cittadini poveri e senza fonte di
sostentamento, in quanto povertà, carenza di igiene e rischi di epidemie concorrono a mettere in
rischio l’intero ordine sociale; è la più antica forma di politiche sociali. Esempi tipici di assistenza
pubblica sono le pensioni sociali per chi non ha reddito, l’integrazione al minimo di pensioni di
vecchiaia insufficienti (per chi ha superato il limite di età lavorativa ma non ha contribuito a
sufficienza), pensioni di invalidità civile a ciechi e sordomuti, ecc.
Definiamo assistenza sociale come il complesso delle prestazioni, cioè erogazioni (in denaro o in
natura) e servizi, per avere accesso delle quali l’utente deve manifestare contemporaneamente
due condizioni: manifestare un bisogno individuale e non avere le risorse sufficienti a farlo. Queste
due condizioni dovranno essere verificate da personale amministrativo o sociale preposto e in
base a quelli che sono i parametri fissati si va a includere o escludere soggetti dall’assistenza.
A seconda della dimensione con la quale le si vuole definire, possiamo distinguere:
Assistenza tout court: interventi di soccorso caratterizzati dalla volontarietà, discrezionalità
- dell’agente ad assistere;
Assistenza sociale (obbligo a dare/assistere dell’agente): intervento dipendente da atti
- normativi che circoscrivono o escludono volontarietà e discrezionalità e prevedono degli
obblighi per l’agente. Primo atto: Act for relief of the poor (1601);
Assistenza sociale nello stato moderno (diritto a ricevere): sempre più basata sul diritto del
- cittadino (cfr. Simmel) e realizzata attraverso servizi sociali e prestazioni monetarie finanziate
dalla fiscalità generale, eventualmente cofinanziata dai cittadini stessi, destinare a rimuovere o
contenere condizioni, bisogni, difficoltà.
Assistenza sociale è una area composita che comprende misure differenti:
Risposta alle situazioni di povertà e indigenza
misure volte a integrare i servizi socio-assistenziali territoriali;
misure con funzioni assistenziali gestite da enti previdenziali (Inps e l’erogazione ad es.
della pensione di invalidità).
Le politiche assistenziali sono differenziate in base a:
criteri di accesso;
generosità delle prestazioni;
logiche di intervento;
livelli istituzionali responsabili;
ammontare di risorse;
legittimità sociale.
Il percorso evolutivo delle politiche assistenziali può essere suddiviso in 3 generazioni, con durata
e caratteristiche/principi regolatori differenti:
1° generazione: risale al XVII secolo
Le prime forme di politiche assistenziali, non in senso stretto come avveniva in Italia, cioè legate
più ad una forma di paternalismo religioso e di carità (opere pie), risalgono al 1600 in Inghilterra,
con l’adozione dell’Act for the relief of the poor, primo delle c.d. poor laws; l’atto affidava alle
aggregazioni religiose stabili la cura e l’assistenza degli inabili e contemporaneamente imponeva
ai cittadini più benestanti l’obbligo di contribuire alle spese per l’assistenza dei poveri.
Dall’assistenza tout court si passa a complesso di interventi ordinati gestiti da potere pubblico,
finanziati dai tributi imposti ai ceti più abbienti per renderli partecipi in maniera attiva dei bisogni dei
ceti più poveri, ma ciò non tanto per garantire il benessere degli indigenti, quanto per motivi di
prestigio politico e soprattutto di ordine pubblico e controllo sociale.
Ciò favorisce negli ordinamenti europei l’affermazione di alcuni principi:
principio pubblico di solidarietà;
concezione unitaria della società;
qualificazione delle politiche assistenziali come politiche pubbliche.
2° generazione : a partire dalla fine dell’’800
Grazie al processo di modernizzazione sociale, favorito dalle rivoluzioni inglese e francese e
successivamente dalla industrializzazione, urbanizzazione e mobilità di massa, si assiste alla
progressiva assunzione della responsabilità pubblica dello stato: si parla dunque di
secolarizzazione dell’assistenza sociale (fenomeno per il quale la società si affranca da determinati
comportamenti socio-culturali, quali religiosi, usi, costumi, ecc.) e istituzionalizzazione (processo
attraverso il quale determinati valori, pratiche ed orientamenti si consolidano e divengono
generalmente accettate) dei diritti di assistenza.
Politiche in questa fase sono di tipo universalistico - selettive: superano cioè la categorialità della
copertura e sono mirate ai bisognosi garantendo un effetto redistributivo (tutto ciò che può in
qualche modo modificare la distribuzione esistente, al fine di ridurre la concentrazione e migliorare
il grado di equità del sistema).
Hanno natura passiva: prevedono cioè l’erogazione di un sussidio economico a fronte della prova
dei mezzi, senza interventi volti a prevenire o migliorare le condizioni dei bisognosi. I principali stati
europei hanno definito, in particolar modo dopo il secondo dopoguerra, soglie minime di reddito
oltre le quali lo stato di bisogno è insopportabile (vedi protocollo Beveridge).
3° generazione : dagli anni ’80 del ‘900
Fattori di questa nuova fase di politiche assistenziali sono:
Seconda transizione demografica: secondo la teoria della transizione demografica, esiste un
regime demografico antico e uno moderno, separati da una doppia fase di transizione: il
regime antico si caratterizza da elevati tassi di natalità compensati da altrettanto elevati tassi
di mortalità, è il caso che si riscontra ancora oggi nei paesi più poveri; la prima fase di
transizione vede la riduzione della mortalità grazie allo sviluppo della società (progresso
medico, scientifico, riduzione carestie e guerre), ma permane ancora un elevato tasso di
natalità legato alla tradizione socio-culturale promiscua (in questa fase si collocano i paesi più
poveri dell'Africa, dell'Asia meridionale e la Bolivia); nella seconda fase di transizione, i costi
crescenti (legati al nucleo familiare molto esteso) producono una tendenziale diminuzione della
natalità oltre a un generale cambiamento della società in questione; caratterizzata da bassi
tassi di fertilità, instabilità delle relazioni matrimoniali, processi migratori. Ecc.); Infine, quando il
tasso di natalità eguaglia quello di mortalità, si raggiunge il "regime moderno" (vi fanno parte i
paesi Europei e Nordamericani).
Crisi socioeconomica: disoccupazione, instabilità lavorativa, ecc.; ciò ha fatto crescere il
numero dei soggetti usciti da forme di protezione previdenziale e entrati in forme di assistenza
Crisi politico-regolativa.
- Prestazioni e servizi di nuova generazione (nuovi bisogni)
Per contrastare i nuovi (disoccupazione non congiunturale ma di lungo periodo e conseguente
stato psicologico instabile; instabilità familiare e parentale, povertà, ecc.) e vecchi () rischi sociali e
il moltiplicarsi delle situazioni di bisogno, si è capito l’impossibilità di continuare con politiche
meramente passive, in quanto avrebbero comportato un carico finanziario enorme, si ha allora un
passaggio a politiche di attivazione, cioè il passaggio da misure che prevedevano l’erogazione di
sussidi e pochi servizi a misure che:
– privilegiano la promozione della personalità e l’inclusione sociale attiva;
– prevedono forme punitive volte a limitare la dipendenza delle politiche sociali e contenere i
costi: l’operatore pubblico introdurrà allora l’obbligo lavorativo e condizioni nell’accesso ai
sussidi con responsabilità individuale per la propria condizione sociale ed econcomia
In sostanza, oltre a sussidi economici sono previsti attività di formazione, riqualificazione,
partecipazione attiva al mercato del lavoro.
Questo passaggio:
modifica l’organizzazione territoriale delle politiche: il livello locale diventa sempre più
importante, sia per la migliore adattabilità con l’erogazione dei servizi, sia per una visione della
sussidiarietà come ideale;
amplia il numero degli attori coinvolti nel welfare nella regolazione delle politiche e nella
loro attuazione; in particolare si parla degli attori del Terzo settore, configurando un aumento
dell’importanza del welfare mix.
Le riforme che si succedono nel passaggio da una generazione ad un’altra risentono in particolare
del contesto temporale, geografico e istituzionali in cui vengono pensate, realizzate e finanziate. È
chiaro che se una riforma viene proposta durante un ciclo economico espansivo, con disponibilità
crescente di risorse, le possibilità di compromesso tra attori differenti sono sicuramente più ampie
piuttosto che in una fase di recessione economica.
L’assistenza sociale in Europa
Negli anni ’70 quasi tutti i paesi Europei hanno completato il passaggio a sistemi di assistenza
sociale di 2°generazione potendo garantire alla popolazione in stato di bisogno una soglia minima
di protezione contro la povertà e l’esclusione sociale.
Ampia differenziazione circa la generosità, i criteri di accesso e la concertazione con altre politiche
sociali:
Nord Europa (paesi scandinavi): già negli anni ’60-’70 sviluppano misure che prevedono
accesso inclusivo ai servizi, buona qualità e tariffe commisurate al reddito; in sostanza una
maggio presenza di politiche attive piuttosto che di passive.
Paesi continentali (Belgio, Germania, Francia, ecc.): iniziano solo a partire dagli anni ’90 a
dare risposte di questo tipo. Fino ad allora danno risposte residuali e assistenziali.
Paesi Mediterranei: scontano un ritardo ancora più marcato. Arretratezza e ritardo
strutturale per:
Familismo
Peso dell’economia sommersa e “periferica”
Evasione fiscale
Statualità e capacità amministrative
Lødemel utilizza 4 criteri per classificare i sistemi di assistenza sociale in Europa dei ’80-90, dai
quali a potuto ricavare 4 modelli europei di assistenza:
Politiche volte a prestare una garanzia minima di reddito;
Politiche volte a mantenere il reddito piuttosto che promuovere l’integrazione sociale;
equilibrio tra diritto alle prestazioni e discrezionalità;
responsabilità centrale/nazionale nella regolazione e gestione delle misure;
e individua 4 modelli.
1. Modello nordico: grazie a politiche previdenziali e servizi universalistici, l’assi