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5.3 GLI ASSETTI KEYNESIANI E I DIFFERENTI CAPITALISMI NAZIONALI

Le nuove politiche erano motivate dalla considerazione che il mercato non raggiunge una piena efficienza e non è in grado

di risolvere i problemi di equità, con disparità di ripartizione di costi e vantaggi. Nel mercato l’offerta è orientata dalla

domanda, ma ci sono persone che non sono in grado di pagare i beni e i servizi di cui hanno bisogno, la domanda di questi

beni non compare quindi sul mercato.

Due sono gli aspetti essenziali della regolazione politica keynesiana:

• Governo dell’economia con interventi di stabilizzazione dei cicli e orientati all’idea che il mercato tende a trovare

un equilibrio che non è di pieno impiego dei fattori, soprattutto la disoccupazione. Si stimola l’economia con la

spesa pubblica.

• Sviluppo dei sistemi di sicurezza sociale per garantire a tutti pensioni e sussidi in malattie, invalidità,

disoccupazione; si creano dei sistemi sanitari nazionali per fornire le cure essenziali; si migliora l’istruzione

pubblica. 6

Questi principi sono seguiti diversamente nei diversi paesi, parte di un insieme di caratteristiche organizzative e istituzionali

dell’economia che distingue capitalismi diversi. Ci sono due forme tendenziali di assetti istituzionali: quella anglosassone

che ha conservato una maggiore regolazione di mercato e quella europea-continentale che prevede un intervento pubblico

maggiore. Nel capitalismo continentale il mercato è maggiormente sostenuto con la produzione di beni pubblici.

Per quanto riguarda i tassi di crescita annui del PIL, si ha una fase di eccezionale crescita tra il 1950 e il 1973, in seguito si

ha un rallentamento dell’economia. Gli anni successivi alla 2° guerra mondiale sono chiamati i “trenta gloriosi” e sono stati

quelli di maggior avvicinamento alle politiche keynesiane. Dagli anni ’70 le politiche nazionali si discostano dagli assetti

keynesiani lasciando spazio di nuovo alla regolazione di mercato, visto il disordine economico e sociale da parte di chi

possiede stipendi fissi che vede la propria capacità d’acquisto erodersi. Non si riesce a riassorbire la disoccupazione.

Ci si interroga sul perché le politiche keynesiane funzionino meno bene oggi. Dal punto di vista economico, si parla della

cosiddetta crisi fiscale dello Stato. La spesa pubblica ha ormai raggiunto quote importanti del PIL, sottraendo risorse agli

investimenti. Tutto rimanda a spiegazioni politiche: è in gioco la capacità che il sistema politico ha di combinare domande e

esigenze delle imprese che operano sul mercato. Gli interventi, se sono coordinati, possono tenere sotto controllo

l’andamento dell’economia nel suo insieme garantendo equilibrio tra salari, consumi, prelievi fiscali, spesa pubblica,

investimenti.

In realtà gli assetti keynesiani hanno funzionato bene dove erano possibili accordi nazionali. Adesso è in corso sempre di

più il processo di globalizzazione dell’economia. Le imprese agiscono su mercati internazionali con capitali che si spostano

facilmente da un paese all’altro. Con un’economia sempre più capace di organizzarsi oltre i limiti nazionali, gli stati vanno

incontro a difficoltà a stabilire politiche economiche efficaci al loro interno. L’economia risulta quindi più lasciata alla

regolazione di mercato.

6. ECONOMIA FORMALE E INFORMALE: UNO SCHEMA RIASSUNTIVO

Sono 3 i caratteri fondamentali che l’economia ha assunto nelle società sviluppate:

1. La differenziazione dal resto della società, con un sistema di azione specializzato, regolato dal mercato, nel quale

scelte di produzione e di consumo sono orientate dai prezzi formati nelle contrattazioni;

2. Lo sviluppo di specifiche organizzazioni, le imprese, orientate al profitto, che utilizzano dipendenti salariati;

3. Accordi fra economia e resto del sistema con complessi di norme giuridiche.

Questi elementi consentono di ridefinire l’economia in senso formale. Si definisce economia formale i processi di

produzione e scambio di beni e servizi regolati dal mercato e realizzati da imprese di produzione e commerciali orientate al

profitto, che agiscono sottomesse alle regole di diritto commerciale, fiscale e del lavoro e in generale delle leggi con cui lo

stato regola e orienta l’azione economica.

Pur essendo il mercato dominante, reciprocità, redistribuzione e scambio di mercato coesistono.

Si definisce economia informale tutti i processi di produzione e scambio che tendono a sottrarsi ai caratteri distintivi

precedenti.

FIGURA 1.3: è una mappa di orientamento per individuare i diversi tipi di economia formale e informale, considerando che

l’economia è un insieme di attività di lavoro per la produzione di beni e servizi, e che sia il lavoro che i beni e servizi

possono essere comprati e venduti sul mercato o forniti fuori mercato.

L’economia formale, di mercato, è rappresentata dalla linea 1: indica le attività che con lavoro remunerato producono beni e

servizi venduti sul mercato.

La linea 2 si riferisce all’economia domestica: il lavoro non è pagato; anche oggi nella famiglia esistono relazioni regolate

da reciprocità e la loro importanza economica è rilevante.

La linea 3 è il settore di diretto intervento dello stato che, pagando impiegati, medici e infermieri, insegnanti, svolge le sue

funzioni ed eroga servizi sociali, gratuiti o pagati a prezzi non di mercato.

La linea 4 è una forma antica che combina reciprocità e mercato: beni prodotti in famiglie contadine, senza lavoro pagato,

che vengono venduti fuori dalla famiglia.

La linea 5 definisce i mercati paralleli: si tratta di economia di mercato con evasione di norme giuridiche (mercato nero del

lavoro, mercati illeciti di droga o contrabbando etc.), la varietà è molto ampia.

La linea 6 si riferisce a attività di beneficienza, attività di associazioni, lavori di volontariato, la cui importanza è crescente.

La linea 7 indica i beni acquistati sul mercato per un lavoro fuori mercato, particolari sono l’economia domestica o

l’economia “fai da te”, per esempio con le lavatrici invece delle lavanderie.

La questione interessante è che aspetti formali e informali sono spesso intrecciati. Per esempio il lavoro senza copertura

assicurativa potrebbe essere un secondo lavoro serale che viene integrato con un lavoro con copertura assicurativa; oppure

la produzione domestica per autoconsumo può compensare bassi salari percepiti in imprese tradizionali a bassa produttività.

7

Non sempre l’analisi economica è in grado di distinguere le economie informali da quelle formali; la sociologia ha

contribuito a illuminare gli aspetti non evidenti tra economia e società.

7. IL PROBLEMA DELLO SVILUPPO

Si può paragonare lo sviluppo delle economie dei diversi paesi confrontando i rapporti tra ricchezza prodotta e abitanti. Si

confronta il prodotto nazionale per abitante per alcuni paesi, fatto 100 quello dell’Italia. I dati mostrano le differenze tra le

diverse economie nazionali, dai paesi più ricchi del mondo (Lussemburgo e Svezia) a quelli più poveri (Congo, Etiopia,

Somalia). Le economie sviluppate si pongono il problema di mantenere elevati i consumi, le economie più arretrate hanno il

problema di innescare un processo di crescita per vincere povertà, fame e malattia. Si cade in una trappola pensando che i

paesi sono destinati a percorrere la stessa strada: nessuna economia ha mai percorso esattamente lo stesso cammino di

un’altra. In Inghilterra, paese “primo venuto”, le imprese sono state le “attivatrici” dello sviluppo, in un’economia di

lassaiz-faire. In Francia e in Germania le banche hanno preso il posto delle imprese, e in Italia oltre alle banche si è aggiunto

lo Stato, soggetto fondamentale per il decollo industriale (Gerschenkron 1962). I soggetti attivatori dello sviluppo sono stati

differenti, ciò significa che anche i modi diversi di organizzare l’economia e la sua integrazione con la società sono stati

diversi.

La cosa si complica se si considerano gli attuali paesi in via di sviluppo o arretrati. Si apre la questione “se il contatto fra

economie sviluppate e sottosviluppate tenda a diffondere lo sviluppo o a polarizzare centri e periferie”. Il contatto con

un’economia forte serve da stimolo a un paese arretrato, la crescita che si attiva, però, può distruggere rapidamente

economie di sussistenza e può organizzarsi in funzione di interessi interni piuttosto che di un armonico sviluppo. Dopo il

Giappone sono comparsi sulla scena i “quattro piccoli dragoni” (Corea, Taiwan, Hong Kong, Singapore) e si affiancano

Thailandia e Malesia, alcune regioni della Cina e il Vietnam. Anche senza risorse naturali, queste economie hanno innescato

uno sviluppo basato sulle esportazioni.

I sociologi hanno studiato i caratteri sociali e culturali che favoriscono o ostacolano lo sviluppo e le sue conseguenze

sociali. Si sono individuati alcuni tipici ostacoli sociali allo sviluppo che spiegano le difficoltà di molti paesi, fra questi:

l’esplosione demografica, la concentrazione urbana più rapida dell’industrializzazione che porta a ampie condizioni di

povertà etc.

In tempi recenti il tema dello sviluppo è emerso anche in ordina a problemi, con i “i limiti dello sviluppo”, titolo con cui

era presentata nel 1972 una ricerca del Club di Roma (un’associazione internazionale di scienziati e operatori). Il rapporto

mostrava che la continua crescita dell’economia rischia di andare oltre le capacità fisiche del pianeta: il consumo di risorse

non rinnovabili, il crescente inquinamento, la crescita fuori controllo della popolazione mondiale che richiede cibo

crescente. Il rapporto è stato criticato in quanto non tiene conto delle nuove scoperte scientifiche e di nuovi sviluppi

tecnologici che conducono all’utilizzo di risorse diverse, o a forti risparmi energetici etc. Il rapporto ha comunque avuto il

merito di indicare la necessità di un equilibrio tra attività economiche e ambiente naturale. Non si tratta di fermare lo

sviluppo, ma si pensa a uno sviluppo sostenibile che non esaurisca le condizioni fisiche lo rendono possibile e che si

preoccupi delle condizioni ambientali in cui si troveranno le generazioni future.

Lo sviluppo sostenibile, per essere realizzato, richiede profonde modifiche nell’azione economica, nelle abitudini di

consumo, e nelle forme di integrazione dell’economia nella società. È necessario prendere in considerazione conseguenze

allargate più lontane delle singole scelte economiche.

IL LAVORO

Chiamiamo lavoro ogni attività diretta a trasformare risorse materiali per produrre beni e servizi necessari alla sussistenza

dell’uomo. Si tratta dell’attività economica per eccellenza. Qu

Dettagli
A.A. 2016-2017
42 pagine
SSD Scienze politiche e sociali SPS/09 Sociologia dei processi economici e del lavoro

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher eleonora.perdichizzi di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Sociologia economica e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università della Svizzera italiana - Usi o del prof Carboni Carlo.