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IMMAGINE NASA
L’immagine più riprodotta della Terra fu scattata nel 1972 dall’astronauta Harrison Jack Schmitt
• Blue Marble,
e l’Apollo 17, L’immagine, rappresenta una perfetta sintesi di elementi familiari e
inediti, di una Terra senza la presenza della vita umana ed illuminata dalla luce del sole.
La società globale del XXI secolo è una società di tipo visuale, con l’utilizzo di fotografie e video
• sono il nostro tentativo per vedere il mondo.
La prima immagine del 1972 mostra la Terra circondata dalle nuvole, abbiamo poi una seconda
• immagine del 2004 dove le nuvole non ci sono più. Nel 2012 vengono aggiunte nuovamente le
nuvole. Questo è stato fatto perché l’immagine del 1972 aveva creato delle aspettative
nell’immaginario, e le persone si aspettavano di vedere le nuvole. Le persone si aspettano
l’immagine del mondo con le nuvole.
Nel dicembre del 2012 l’astronauta Aki Hoshide ha realizzato un selfie sulla superficie lunare,
• ignorante quindi lo spazio, il cosmo e la Luna. Questo scatto dona ancora più concretezza allo
Blue Marble.
spazio, senza però produrre lo stesso effetto sociale di
Ogni atto di rappresentazione ci dice qualcosa su come guardiamo e su come
• concettualizziamo l’atto del guardare. Gli studi della cultura visiva ci aiutano a vedere il
rappresentante rappresentazione.
nella Il mondo come noi lo rappresentiamo non è solo per
far circolare le immagini del mondo, ma per poterlo comprendere. Il modo in cui definiamo la
totalità agisce anche sulla nostra contemporaneità; la rappresentazione è un modo per poterla
comprendere meglio.
Questo significa che inquadriamo il mondo per comprenderlo, non solo per rappresentarlo e
riprodurlo. La totalità non è data, dobbiamo costantemente rinegoziare la nostra idea del tutto. Le
immagini hanno iniziato a svolgere una funzione che il linguaggio non poteva svolgere: la
rappresentazione dell’invisibile (la divinità). Ma, nel passaggio dall’era dell’idolo e del Dio a quella
dell’arte, la funzione delle immagini cambia: si passa da una funzione culturale ad una estetica. Il
visivo:
passo successivo è dall’era dell’arte all’era del le immagini ci sommergono senza aver
alcun ancoraggio a referenti reali. Nell’era del visivo l’immagine è pura simulazione, è immateriale,
non ha nessuna relazione con la realtà anche quando la vuole rappresentare. È un’immagine-
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simbolo che non ha più un rapporto analogico con l cosa che rappresenta, ma un rapporto
convenzionale, e si può utilizzare solo mediante un codice. L’immagine-simbolo è l’immagine
digitale, che non ha più alcun rapporto fisico con il reale ma viene prodotto sulla base di calcoli
matematici, algoritmi, informazioni quantificato. Dall’era dell’idolo, con il suo potere di
presentazione (mettere in presenza Dio) a quella dell’arte, con potere di rappresentazione della
realtà, siamo arrivati all’era del visivo col suo potere di simulazione. Questo passaggio della
società dell’immagine ha portato tante conseguenze per gli individui, due principalmente:
Realtà mediata →
1. letteralmente significa che la realtà che percepiamo viene trasmessa dai
mass media, che la realtà viene a noi filtrata; il mondo che vediamo è quello che i media
hanno scelto di mostrarci. Le nuove tecnologie della visione hanno spezzato il legame che
univa l’immagine al suo referente reale.
Interpretazione →
2. l’interpretazione sostituisce la visione in quanto prova di evidenza, vedere
vedo quindi esiste” vedo ma
non è più credere ma solo interpretare. Si passa da “lo a “lo
potrebbe anche non esistere”.
Quindi, le principali caratteristiche della società dell’immagine sono:
Tendenza a visualizzare cose non visibile con supporti tecnologici che cambia il rapporto tra
• visibile e invisibili. È ora possibile vedere una realtà che sapevamo esistere ma che prima non
potevamo vedere (come la TAC) o visualizzare ciò che in realtà non esiste, come le simulazioni
create con il computer.
Tendenza a visualizzare l’esistenza: tutto viene visualizzato, dai modelli informatici, alla scienza,
• alle interfacce grafiche, ai telefoni, fino alla vita privata.
Centralità dell’esperienza visuale: oggi gli osservatori si appropriano delle immagini, le
• decontestualizzano e le usano per comunicare. L’esperienza del vedere non è più circoscritta in
contesti strutturati, anzi, oggi le immagini se ne vanno in giro per il mondo e compaiono in
luoghi totalmente diversi.
La visualizzazione del mondo implica che le immagini non siano la realtà e nemmeno la sua
• rappresentazione. Nasce una crisi del visuale perché da un lato produce un sovraccarico visivo
che viaggia a grande velocità diventando globale, dall’altro però, proprio in quanto visuale, si
sottrae alla nostra comprensione.
Visual culture e visualizzazione
Il flusso di immagini non riguarda solo le fotografie, i film o quelle dei medie, ma riguarda le
immagini che abbiamo dinnanzi agli occhi, lo schema mentale che seguiamo nell’osservarle e il
conseguente uso che ne facciamo. Si espande quindi il concetto di società dell’immagine fino a
cultural studies,
tematizzarne un altro, quello di cultura visuale, con i che sono quindi diventati
Visual
visual cultural studies, alcuni esponenti sono Mirzoeff, Hall, Evans, Mitchell e Jenks.
culture è il nome sia della disciplina sia dell’oggetto di studio. Cultura visuale è la relazione tra il
visibile e i nomi che diamo a ciò che vediamo, comprende anche quanto è invisibile o tenuto
nascosto alla vista. La visual culture irruppe sulla scena accademica intorno al 1990, mescolando
la critica femminista e politica contro l’arte “alta” con lo studio della cultura popolare e delle
nuove immagini digitali. La visual culture si configura come lo studio teso a capire il cambiamento
di un mondo in cui è essenziale saper immaginare, non soltanto vedere. Studiare la cultura visuale
non significa quindi semplicemente studiare e analizzare le immagini, ma prendere anche in
considerazione la centralità della visione dell’esperienza quotidiana soggettiva e i conseguenti
processi di costituzione e condivisione dei significati. Mirzoeff, nella sua opera del 2002, ha
scarto tra la proliferazione dell’esperienza visuale nella vita
definito la visual culture come “lo
quotidiana e la capacità di analizzare questo dato”.
Bisognerebbe chiedersi cosa faccia la gente con le immagini, come le usi per affermare la propria
diversità o la propria appartenenza, come le interpreti e quale risposte dia ad esse.
Visualizzazione significa rendere visibile, mostrare. Le tecnologie visive oggi possono eliminare
anche quella componente di natura. La visualizzazione, qualunque sia il medium tecnologico su
cui si fonde, esprime ed incarna delle relazioni di potere. In sostanza, visualizzare significa rendere
visibili le differenze in termini di classe, razza, sesso e genere. Per affermare il proprio punto di
vista bisogna poter vedere: chi vede può dare una definizione visuale di ciò che vede. L’oggetto
della visione non ha lo stesso potere. Vedere equivale quindi a controllare, mentre essere visto
equivale a essere controllato. Il massimo del potere è allora collocato nel punto in cui si può
vedere tutto senza essere visti. Forse è il nesso profondo che c’è tra vedere e controllare che da
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sempre le persone desiderano vedere, la società dello spettacolo, appunto. In un mondo in cui
vedere non significa più credere, sembra che l’essere visti sia diventano una sorte di prova di
esistenza. Le idee di fondo della cultura visuale sono:
Tutti i media sono social media e ci servono per rappresentare noi stessi agli altri,
• La visione deriva da un sistema composto da tutti i sensi, non soltanto la vista,
• Rappresentiamo ciò che vediamo e conosciamo attraverso gli schermi che ci accompagnano,
• La conoscenza è una mescolanza tra il vedere e l’imparare a non vedere,
• La cultura visuale è un impegno a produrre attivamente il cambiamento, non soltanto un modo
• per vedere quanto accade intorno a noi.
visual cultural studies
I includono storia dell’arte, media studies, cultural studies, literary theory
(decostruzionismo), fra due paradigmi: scientifico ed ermeneutica, storia delle immagini più che
“A dialectical concept of visual culture cannot rest content with a definition of its
storia dell’arte.
object as the social construction of the visual field, but must insist on exploring the chiastic
reversal of this proposition, the visual construction of the social field. It is not just that we see the
way we do because we are social animals, but also that our social arrangements take the forms
they do because we are seeing animals”. - Mitchell, W.J.T., “Showing seeing: a critique of visual
culture”, Journal Of Visual Culture, 2002, Vol 1(2), p. 171
Immagini e vita quotidiana
È importante considerare anche che il potere di visualizzare, e quindi veicolare i significati, è esso
stesso oggetto di negoziazione: la visualizzazione non avviene nel vuoto, ma sempre all’interno di
una cultura, all’interno quindi di un insieme di pratiche di produzione e di scambio di significato.
Se è vero che le immagini sono interpretazioni del mondo, è anche vero che la cultura dipende
dall’interpretazione che coloro che vi appartengono danno a ciò che sta loro intorno e dal senso
che danno al mondo. Così come è vero che diversi gruppi in un società daranno senso al mondo
in modi diversi. Ci sono anche delle “resistenze” al potere di visualizzazione che lo combattono
con le sue stesse armi, come l’arte degli afro-americani, dei gay, delle donne, ecc. Può anche
succedere che circolino immagini che vanno ad incrinare quella dell’eroico soldato americano che
combatte per la pace. Bisogna anche considerare che c’è un terzo attore tra chi vede/fotografa e
chi è visto/fotografato, ed è colui che vede la immagine e che la interpreta, e l’interpretazione è u
fattore importante di un’immagine.
Dalla cultura visuale alla sociologia visuale
La sociologia visuale è un approccio conoscitivo, e in quanto tale le sue tecniche di indagine
possono essere applicate a tutti i campi disciplinari della sociologia (lavoro, famiglia, devianza,
territorio, comunicazione, ecc.) così come a