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TRATTATA IN LA MORFOGENESI DELLA SOCIETA’
La specifica configurazione di interessi di ogni agente, definita in forma
2) soggettiva, in relazione ai tre ordini della realtà naturale (la natura, la
pratica e la società) AMPIAMENTE TRATTATA IN BEING HUMAN
Il corso di ogni azione discende dalle deliberazioni riflessive degli agenti,
3) che stabiliscono in modo soggettivo i rispettivi progetti pratici, in
relazione alle circostanze oggettive in cui si trovano.
Rispetto alle tre fasi possiamo aggiungere che sono gli agenti che stabiliscono
una scala di valutazione, dando un peso e una misura (o costo) per prendere
una decisione, piuttosto che un’altra (arbitro della valutazione). Gli individui
attraverso un prolungato processo di conversazione interiore, che passa per le
fasi conversazionali della discriminazione, della deliberazione e della dedizione
assegnano una scala di priorità ai loro interessi diversi. Tale configurazione è
tutta incentrata sugli interessi ultimi e al contempo, sull’adattamento degli altri
nella forma di un determinato modus vivendi, uno stile di vita che appaia
convincente al soggetto direttamente interessato. L’idea è quella in pratica di
riordinare i nostri interessi ultimi, anche alla luce dell’importanza attribuita a
queste cose dalla specifica collocazione sociale, e di conseguenza elaboriamo
un nostro modus vivendi, in un processo di incessante valutazione riflessiva. Il
modus vivendi di ogni individuo deve dare vita a pratiche sociali soddisfacenti
in una duplice accezione: dal punto di vista soggettivo, esse devono risultare
accettabili per l’individuo in questione; sotto il profilo oggettivo, esse debbano
risultare effettivamente realizzabili. Nessun modus vivendi per essere
praticabile dipende dal fatto che attribuiamo agli agenti una completa
comprensione discorsiva, o le proprietà di un buon sociologo. Dare vita a
pratiche sociali (costituiscono la vita della società) ben riuscite, costituiscono
nella loro combinazione un determinato modus vivendi, è un operazione che
richiede sia il riconoscimento realistico delle molteplici esigenze, proprie della
condizione umana; sia la capacità di interagire con attenzione, benché con un
inevitabile margine d’errore, con i vincoli e le facilitazioni che si attivano in
relazione al perseguimento dei nostri interessi.
Capitolo 5: Un approfondimento sulle forme della conversazione
interiore
I pragmatisti americani, ritenevano che la conversazione interiore di ciascuno
di noi fosse della stessa natura di quella di tutti gli altri. Benché l’esercizio della
riflessività dialogica sia importante per il regolare funzionamento degli esseri
umani, questo non significa che il modo in cui dialoghiamo con noi stessi sia
identico per ciascun individuo.
La conversazione interiore è un fenomeno personale, e il soggetto pensante
può ritenere di conoscere meglio di chiunque altro il significato di ciò che pensa
e di quel che dice a riguardo.
Archer durante la stesura del suo libro ha voluto intervistare alcune persone, di
età, genere e ruoli sociali diversi per sapere cosa ne pensavano su questo
argomento. L’autrice con questo studio svolto sul campo ha dichiarato che
esistono diversi tipi di riflessività: riflessivi comunicativi, riflessivi autonomi e
metariflessivi.
Capitolo 6: I riflessivi comunicativi
Ognuno di noi è un essere riflessivo. Ciò significa che tutti noi svolgiamo delle
deliberazioni sulle circostanze in cui ci troviamo, e ne stabiliamo il corso futuro
delle nostre azioni all’interno della società. Ciascuno di noi, ha una
conversazione interiore diversa da quella degli altri, poiché i diversi tipi di
conversazione interiore sono legati alle diverse forme di deliberazione, nonché
al proprio stile di vita che ogni agente sociale costruisce.
Nella conversazione interiore dei riflessivi comunicativi, i pensieri convivono
con le parole. Una volta che emerge una data questione, nella loro sfera
intrapersonale, essi si sforzano di risolverla sul piano sociale; condividono i
rispettivi problemi con gli altri.
I riflessivi comunicativi temono che, senza il supporto di un confronto con
l’esterno, la conversazione interiore possa rivelarsi inconcludente.
Archer, per spiegare al meglio questo tipo di riflessività ha scelto una
segretaria di nome Angie; quest’ultima si fida delle proprie deliberazioni
interiori solo per le faccende di poco conto, ma quando sono in gioco delle
questioni serie cerca sempre la conferma degli altri. Angie non si dedica mai ad
attività eccentriche: rivivere degli eventi tra sé e sé, fare delle conversazioni
immaginarie, sognare a occhi aperti, fantasticare. Non si considera una
persona fantasiosa. Angie mostra poca considerazione per le proprie
meditazioni intrapersonali, poiché non le vede come esplorazioni serie, rispetto
a possibilità reali. Sono sciocche non solo perché fugaci e imprevedibili, ma
soprattutto perché, agli occhi di Angie, i pensieri intrapersonali valgono molto
meno delle considerazioni interpersonali. Le decisioni, nell’ottica di Angie,
erano sempre cose che riguardavano anche altre persone, che andavano
tenute in conto.
La conversazione interiore di Angie rispecchia in modo evidente quelle che
sono le sue priorità: la famiglia e gli amici. Nella sua vita mentale si mostra
attenta e premurosa nei confronti di queste persone; è come se, nella vita di
tutti i giorni, Angie si occupasse non solo di se stessa, ma anche di queste
persone. La rete delle amicizie, per Angie, svolge un ruolo ben più ampio: è una
fonte di sostegno, che genera in lei autostima, e allontana il timore di non
essere desiderata dagli altri.
I riflessivi comunicativi hanno bisogno di comunicare. Danno scarsa attenzione
alle meditazioni solitarie e sono intolleranti rispetto alla possibilità di rimanere
da soli.
I riflessivi comunicativi non attivano i poteri di vincolo, insiti nella struttura
sociale. I progetti che essi concepiscono e perseguono, sono sistematicamente
interni al contesto della loro collocazione sociale involontaria. Per realizzare i
propri scopi personali, essi non hanno bisogno di produrre alcun cambiamento
sul piano della posizione sociale. La riflessività comunicativa richiede un
elevato livello di continuità contestuale, cosa che comporta una replica
dell’ordine sociale. Il modello di vita dei riflessivi comunicativi verteva tutto sul
rapporto con i familiari e gli amici, con l’effetto di isolarli dagli stimoli e dalle
opportunità presenti nell’ambiente esterno.
Tutti i soggetti intervistati dall’autrice, avevano una caratteristica comune:
l’estrazione sociale di borghesia, cioè non erano ne ricchi ne poveri.
La riflessività comunicativa è una modalità di deliberazione mentale che
dipende, per il proprio esercizio, dalla possibilità di rivolgersi a degli altri simili
al proprio sé.
Capitolo 7: I riflessivi autonomi
La conversazione interiore dei riflessivi autonomi è un esercizio solitario di
attività mentale, che chi lo pratica riconosce come conversazione interiore con
se stesso. I riflessivi autonomi sono persone che si classificano in quella sfera di
convinzione che nessuno si conosce meglio di se (cose a cui si tengono di più,
progetti da perseguire), sono persone severe con se stesse, meno con gli altri.
Questa sicurezza di sé può facilmente confondersi con l'arroganza. Per il
riflessivo autonomo, la conversazione interiore è una questione di suo esclusivo
e personale interesse. I riflessivi autonomi saranno capaci di riconoscere i
propri errori, ma non ammettere che le cose sarebbero andate meglio se si
fossero consultati con qualcun altro, anzi in tal caso direbbero che sarebbero
andate peggio. In tutti gli intervistati dalla Archer i riflessivi autonomi sono
quelli nelle risposte con toni incisivi e chiari, mostrandosi sicuri di sé, con
affermazioni tutti si senso compiuto, senza interiezioni finali, di tono
interrogativo. Sono tre le qualità che distinguano questo gruppo dai riflessivi
comunicativi, la prima è che i riflessivi autonomi mostrano tutti di allontanarsi
dal contesto sociale della loro collocazione sociale involontaria; la seconda
assomiglia ad un attributo già visto nei riflessivi comunicativi, cioè la capacità
di ricomporre, senza eccessive difficoltà, gli interessi più diversi (famiglia, amici
interessi primari, mentre lavoro ruolo più marginale); la terza qualità è
l'individualismo, che tengono alla propria autonomia, sentendosi in certi casi
dei veri e propri solitari, sono persone che non dipendono dagli altri, e questo
riflette nel loro tipico modus vivendi.
Eliot Wilson:ritratto di un riflessivo autonomo
Eliot Wilson è un esempio di riflessivo autonomo che la Archer ha intervistato e
classificato come tale nei suoi colloqui sperimentali; il ritratto è quello di un
uomo pieno di sicurezza e di fiducia nei suoi mezzi, esso diffida degli altri,
sottolineando che più gli altri sono d'accordo tra loro, più bisogna fidarsi meno.
Per quanto riguarda le sue attività mentali interiori si evidenza che Eliot ne ha
molte simili ai riflessivi comunicativi ma a differenza di quest'ultimi, lui le
indirizza verso il mondo del lavoro (centralità del lavoro rispetto alla famiglia
che rappresentava un interesse ma non quello principale). Eliot punta molto
sulla programmazione di ogni cosa, nello specifico al lavoro. Di Eliot la Archer
riesce a capire che la sua sicurezza ha anche delle incertezze, che lui le colma
cercando l'autocontrollo e la concentrazione, automonitorandosi (controllo di
qualità di ciò che è stato fatto traendo il meglio); la Archer riesce a vedere che
in lui affiora anche la metariflessività rivolta a ciò che deve svolgere e
trascurando se stesso come soggetto (severo e incontentabile dell'effettiva
qualità delle proprie azioni). Lui si nota come è diverso da riflessivi
comunicativi, essi si concentrano sugli altri mentre lui su se stesso.
La riflessività comunicativa, contrapposta a quella autonoma, trattata nel
capitolo precedente, è un modello di deliberazione interiore che accompagna
una persona lungo tutto l'arco della vita, se essa rimane immutata. E' quindi
una forma di attività mentale, che sul versante soggettivo, contribuisce alla
riproduzione della collocazione sociale involontaria, e al livello oggettivo,
evidenzia le disuguaglianze sociali oggettive, traducendosi un modus vivendi
che tende a replicarle nel tempo. La riflessività autonoma, invece, è un modello
che ammette una continua evoluzione, nel