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STRUTTTURAL-FUNZIONALISMO
1.Considerazioni generali
In sociologia si distingue il struttural-funzionalismo (Parsons e Merton) dagli sviluppi successivi
del funzionalismo, che sono soprattutto quelli riferiti a Niklas Luhmann, uno dei più grandi
sociologi tedeschi del XX secolo. Mentre il funzionalismo classico, in cui rientrano Durkheim,
Parsons e Montesquieu insiste sulla funzione delle strutture sociali e suppone come ipotesi che
siano le strutture a creare e a svolgere le funzioni, diverso è ciò che pensa Luhmann. Egli infatti
ipotizza che le funzioni siano un elemento centrale nel creare le istituzioni credendo così di aver
risolto il problema di come spiegare il mutamento sociale.
Sebbene il funzionalismo sia considerato come la scuola più tipica della contemporanea sociologia
nordamericana, le sue origini non risalgono al contesto statunitense e nemmeno si ritrovano
nell’ambito della sociologia in senso stretto. Il primo grande sociologo classico che riflette sul
concetto di funzione è Durkheim, ma un capitolo importante della sociologia, che influenzerà
Parsons, è quello dell’antropologia sociale inglese. Infatti la prime espressioni esplicite del
funzionalismo sono state formulate dall’antropologia sociale ossia dalla corrente britannica
dell’antropologia, impostata in termini culturali anziché fisici. In particolare fu Bronislaw
Malinowski, antropologo britannico di origine polacca, a proporre l’analisi funzionale per
combattere la tendenza a interpretare le situazioni sociali attraverso l’intuizione più che attraverso
l’osservazione scientifica. Egli sosteneva infatti che “ogni teoria scientifica deve iniziare da
osservazioni e giungere a osservazioni, deve essere induttiva e verificabile dall’esperienza”. Egli
riteneva perciò che il compito delle scienze sociali fosse quello di studiare i fenomeni attraverso un
metodo induttivo su base empirica e che l’analisi funzionale avesse a che fare con lo studio delle
culture diverse da quelle che riguardano l’antropologo sociale. Secondo Malinowski la cultura
studia soprattutto i popoli meno evoluti, più primitivi e dallo studio sul campo di queste popolazioni
egli desume che essa consiste nella “capacità dell’uomo di creare beni e valori al di là delle sue
facoltà animali, organiche” e che essa “in tutto ciò e attraverso tutto ciò deve essere intesa come
mezzo per raggiungere un fine, cioè strumentalmente o funzionalmente”. L’analisi funzionale perciò
per comprendere una società e una cultura primitiva, deve chiedersi di fronte a qualsiasi fenomeno
sociale, come per esempio un’istituzione, un oggetto materiale, un’idea quale funzione tale
fenomeno adempie nell’ambito di una certa cultura e società. Il presupposto del suo funzionalismo è
quello che: in ogni tipo di civiltà, ogni costume, ogni oggetto materiale, ogni idea ed opinione ossia
ogni fenomeno sociale riveste una qualche funzione vitale. Per “funzione vitale” si deve intendere il
contributo che ogni singolo elemento dà al mantenimento dell’intera cultura, ossia all’integrazione.
Da qui emerge che la preoccupazione di fondo è capire come una cultura e una società fanno a stare
insieme e che il problema dell’integrazione, della COESIONE SOCIALE costituisce appunto il
nucleo centrale della teoria funzionalista. Il punto di partenza è che le società fondamentalmente
sono integrate, coese, fondate su una sorta di mentalità collettiva che tiene insieme la società. Anche
altri sociologi accettano questo presupposto come Radcliffe Brown, il quale afferma che “la
funzione di ogni attività ricorrente consiste nella parte che tale attività svolge nella vita sociale
considerata come un tutto, e quindi nel contributo che essa dà al mantenimento della continuità
strutturale di un certo sistema sociale”. Anche qui il tema che emerge è quello della coesione e della
stabilità sociale e Radcliffe Brown inoltre si rifà esplicitamente a Durkheim, al quale attribuisce il
merito di aver posto i fondamenti dell’analisi funzionale. Secondo Durkheim “la funzione di
un’istituzione sociale consiste nella corrispondenza tra tale istituzione e le esigenze dell’organismo
sociale”. Durkheim ha una concezione organica della società, che deve conservarsi, vivere
attraverso l’apporto di diverse istituzioni, ognuna delle quali svolge la propria funzione. Brown
accetta la definizione di Durkheim sostituendo però al termine “esigenze” l’espressione “condizioni
necessarie per l’esistenza”. Per tutti e tre questi sociologi il modello è organicistico, deriva dalla
biologia. Proprio l’accentuazione della coesione e della stabilità è stata molto spesso criticata come
il limite più palese dell’analisi funzionale dei sistemi sociali, che perde di vista uno dei grandi
problemi della sociologia, ossia spiegare il problema del mutamento sociale perché è concentrata
nel spiegare il problema hobbesiano del consenso. A questi antropologi infatti non interessa capire
per quali motivi e come muta la società o di come avvengono i conflitti e si intensificano a
differenza di Marx, il cui sistema capitalistico era intrinsecamente conflittuale.
2.Parsons: la struttura dell’azione sociale
Cenni biografici ed opere
Talcott Parsons (1902-1979) è un grandissimo sociologo, la cui figura campeggia in tutto il
novecento sociologico. Nato a Colorado Springs e figlio di un pastore protestante molto impegnato
in problemi sociali, studiò dal 1920 al 1924 all’Amherst College, prima filosofia e biologia,
concentrandosi poi sulle scienze sociali. In seguito viaggiò in Europa, dove ebbe modo di seguire
corsi di perfezionamento, prima alla London School of Economics, dove subì l’influenza di molti
studiosi britannici del tempo, come quella di Malinowski e poi in Germania, a Heidelberg, dove
studiò soprattutto Weber e Zolberg . Ritornato negli Stati Uniti iniziò nel 1927 la sua carriera
A= adattamento G= perseguimento dei fini.
L= latenza I= integrazione
accademica a Harvard, dove rimase per tutta la sua vita come professore di sociologia.
Nella sua sociologia Parsons risulta influenzato dalla psicoanalisi di Freud, in particolare dal
processo di interiorizzazione di modelli normativi (=etici, morali). In particolare quando egli
sviluppa il tema della socializzazione (primaria e secondaria)riprende sicuramente Freud e ritiene
che in tale processo, che avviene in tenera età, il giovane, il bambino, l’adolescente è portato dal
gruppo stesso di appartenenza ad interiorizzare modelli normativi. Non esiste però soltanto il
gruppo sociale, la classe di appartenenza ma anche l’intera società, che nel suo insieme ha dei
modelli culturali prevalenti che incidono fin dalla più tenera età. Ciò significa che l’individuo per
Parsons ha un aspetto suo di volontà, intenzionalità ma risulta passivo nell’assorbimento di questi
modelli.
(es: se l’individuo cresce in una famiglia sensibile al tema della libertà, egli viene educato a vivere
questo sentimento mentre se cresce in una famiglia più severa, egli interiorizzerà il senso del
dovere, di responsabilità).
La sociologia di Parsons è una sociologia dell’ordine sociale, del consenso, dell’equilibrio ed è
proprio per questa ragione che è stato accusato di essere un conservatore. Egli infatti elabora una
teoria generale della società in cui parla dell’integrazione sociale, ossia Parsons vuole capire quali
sono le condizioni per le quali un sistema sociale si conserva, si autoriproduce, mantiene se stesso.
Parsons parlerà di ciò attraverso lo SCHEMA AGIL: esistono 4 prerequisiti funzionali che
consentono ad un sistema sociale di conservarsi, di MANTENERE L’EQUILIBRIO. Queste 4
espressioni identificano i 4 fondamentali sottosistemi del sistema sociale, le 4 funzioni che gli
consentono di sopravvivere.
A= adattamento: ogni sistema sociale ha il compito di trovare risorse materiali dall’ambiente
esterno. Il sistema sociale ha un confine preciso e molto più circoscritto rispetto all’ambiente
generale=sottosistema dell’economia.
G= ogni sistema sociale ha il problema di definire gli scopi e i fini = sottosistema della politica.
I=integrazione, il sistema sociale nello specifico è preposto ad assicurare la coesione e l’ordine al
sistema stesso. =sottosistema della sicurezza, interessato a promuovere l’integrazione del sistema.
L=latenza, per Parsons è il più importante, qui c’è la cultura, la religione, ci sono tutte quelle
istituzioni che producono energie motivazionali, modelli normativi che consentono integrazione e
agiscono sull’attore sociale.
“La struttura dell’azione sociale” del 1937 è il suo primo libro in cui Parsons cerca di combinare
insieme l’influenza di tutti i grandi classici della sociologia arrivando ad una sintesi tra Durkheim,
Pareto, Weber e Marshall. L’idea di integrazione intesa in termini culturali e normativi costituisce il
tema principale dell’opera, che si ritrova anche in Durkheim, Brown e Malinowski. Infatti in tutti
questi sociologi emerge la domanda di quali siano i requisiti minimi dell’integrazione in una società
multietnica complessa, in cui convivono contraddizioni proprie, gruppi etnici diversi, con tradizioni
e culture differenti, in cui questa stessa integrazione appare come una meta difficile da raggiungere
ma allo stesso tempo un’esigenza. Non a caso l’integrazione culturale è il problema centrale della
sociologia nord-americana che si trova davanti una società cosmopolitica come quella degli Stati
Uniti, che continuano a funzionare fondendo le caratteristiche di tutti i popoli posti in stretto
contatto in condizioni comuni di esistenza. Le principali opere teoriche di Parsons più che prendere
direttamente in considerazione i problemi della società nordamericana tendono ad elaborare schemi
esplicativi della realtà sociale validi al di là della specificità storica. Ciò che interessa a Parsons è
comprendere gli elementi fondamentali dell’AZIONE SOCIALE, la sua struttura, che per lui è
complessa in quanto entrano in gioco vari elementi. Parsons si oppone alla concezione positivistica
dell’azione secondo cui essa va intesa come reazione ad uno stimolo esterno mettendone in luce gli
aspetti teleologici, volontaristici. Parsons individua 3 elementi che un atto richiede necessariamente:
1)l’ “attore sociale” stesso, ossia colui che agisce e compie l’atto; 2)