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ANALISI LIBRO
Parte I – la liturgia formale dell’oggetto
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SOCIOLOGIA DEI CONSUMI
• INTRODUZIONE
Viviamo meno vicini agli altri uomini e più vicini agli oggetti: viviamo il tempo degli oggetti e il loro
ritmo. C’è un accumulo, non solo come somma dei prodotti ma come un surplus. In questa
abbondanza gli oggetti si organizzano in panoplia (assortimento vario e pittoresco) o in collezione:
pochi sono gli oggetti venduti soli, senza contesto e senza accessori. Il consumatore non si riferisce
più all’oggetto nella sua utilità specifica, ma ad un insieme di oggetti nella loro significazione totale.
Qui la marca gioca un ruolo essenziale insieme alla pubblicità nel formare una visione coerente di un
tutto quasi indissociabile, come in una catena, non di oggetti, ma bensì di significati e significanti.
I beni diventano un superoggetto più complesso che genera motivazioni più complesse nel
consumatore. Il drugstore, o nuovo centro commerciale, riassume i segni di tante attività in un luogo
unico: omogeneizzazione totale, sublimato della vita reale. Il consumo viene visto come
organizzazione totale della quotidianità. Opulenza: accumulazione dei segni della felicità e le
soddisfazioni che confluiscono gli oggetti. L’obiettivo è accumularsi il benessere totale.
• CAP.2 LO STATUTO MIRACOLOSO DEL CONSUMO
Mito del Cargo: gli aerei scaricavano sulle isole di queste tribù prodotti industriali come vestiti, cibi in
scatola, armi ecc. soprattutto per i militari rifugiati in quelle isole. Molti isolani erano convinti che
questi doni erano provenienti da Dio. Alla fine della guerra, quando i cargo non venivano più
paracadutati, gli indigeni costruirono simulacri per attrarli. La soddisfazione momentanea è
paragonabile all’aereo simulacro degli indigeni, una speranza di soddisfazione totale futura.
I benefici del consumo sono vissuti come miracolo, come manna dal cielo, non come prodotti del
lavoro. Le nuove generazioni ereditano i beni e il diritto naturale all’abbondanza. L’abbondanza si
è fatta quotidiana e banale ma resta vista come un miracolo perché dispensata dal progresso,
crescita ecc. (e non prodotta da sforzi storici e sociali). L’uomo non affronta direttamente il reale, lo
scongiura grazie ai segni, e lo consuma anticipatamente o retrospettivamente.
Nella società del consumo anche l’informazione è vista come miracolo: è universale, di massa.
Arriva a tutti attualizzata (resa spettacolare) e inattualizzata (distanziata). Si cerca la verità,
l’avvenimento, il fantasma dell’esserci senza esserci: vertigine della realtà. Si preferisce la vita finta
offerta dalla TV, reality…. (quando ha scritto il libro erano gli anni ‘70 e internet non c’era, ma le
riflessioni sono molto attuali). Il consumo di immagini, segni danno sicurezza miracolosa, quiete,
distanziano dal mondo, negano che sia reale. Non si ha interesse o senso di responsabilità ma
curiosità e disconoscimento. Quotidianità come clausura con un simulacro del mondo, che dà l’alibi
di esserci. Bisogna eliminare il senso di colpa di questa passività: drammatizzando in modo
spettacolare attraverso i mass media tutti i messaggi. La banalità trova conforto nel concetto di
fatalità.
• CAP.3 IL CIRCOLO VIZIOSO DELLA CRESCITA
La società dei consumi non è caratterizzata solamente dalla rapida crescita delle spese individuali,
ma anche delle spese compiute da terzi, soprattutto da parte dell’amministrazione, a beneficio dei
privati e di cui una parte mira a ridurre l’ineguaglianza della distribuzione delle risorse. Non come era
ad esempio in Francia alla fine degli anni ’50, che la scuola era frequentata soprattutto da benestanti,
mentre i più poveri erano costretti ad andare a lavorare sin da piccoli. L’abbondanza di materiali è a
disposizione sia dell’individuo sia della collettività. Tipico degli USA. Il problema è: questi crediti
assicurano un oggettivo livellamento delle possibilità sociali? In una società con disuguaglianza, le
azioni politiche mirate ad assicurare l’uguaglianza, non fanno che raddoppiare la disuguaglianza.
L’abbondanza genera anche svantaggi: inquinamento (misurabile), rumore, distruzione del
paesaggio (non misurabile) … Automobile come emblema del consumismo: creiamo una cosa che
genera costi e uccide le persone. Ciascuno identifica valore nel possesso dell’auto (che viene
catalogata come elemento di consumo), contrapposto al problema di troppe problematiche legate
alla presenza di troppe auto (inquinamento…). 5 17
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SOCIOLOGIA DEI CONSUMI
Occorre più tempo per riciclarsi, recuperare l’usura psicologica e nervosa causata dalla pressione
psicologica e sociale dello status e competizione su tutti i livelli. Il maggior costo della società dei
consumi è il sentimento di insicurezza generalizzata da essa generata. In questa rapida crescita una
porzione non trascurabile di popolazione non riesce a reggere il ritmo e diviene emarginata. Chi ce la
fa si sottopone a uno sforzo che lo rende sminuito. Si dà più importanza al benessere sociale, senza
badare a quelle persone che non riescono nemmeno a star dietro a questo modello di vita. Spese
pubbliche e private per compensare queste disfunzioni.
Circolo vizioso -> il surplus della produttività è destinato a conservare le condizioni di sopravvivenza
del sistema stesso.
La contabilizzazione della crescita: ogni cosa prodotta e misurabile è positiva, è sacralizzata,
anche se non dà un vero apporto positivo alla società (produzione di alcol, armi…) e in molti casi
compensa il segno negativo della mancanza di servizi necessari (scuola, sanità…). Tutta la
produzione è sommata insieme, indipendentemente dall’impatto che ha.
L’abbondanza produce spreco, che nella visione dei moralisti è considerato follia, disfunzione
dell’istinto, pratica irrazionale che compromette condizioni di sopravvivenza. È nel consumo di
un’eccedenza, di un surplus che l’individuo e la società si sentono esistere e vivere. Il surplus ci
distingue dagli animali. L’abbondanza ha senso nello spreco: perché sia di valore deve essere
“troppa”, netta distinzione fra il necessario e il superfluo. Lo spreco è l’essenza dell’abbondanza
(poter gettare via il barattolo di vetro è l’emblema della nostra età dell’oro). teoria degli eroi del
consumo -> una volta i veri eroi e le vite esemplari di cui si parlava e dalle quali prendere spunto
erano santi e grandi della storia, oggi sono stati rimpiazzati da calciatori, divi del cinema, campioni
sportivi ecc., insomma i grandi protagonisti dello spreco. La fragilità dei beni materiali prodotti, la loro
obsolescenza calcolata, la loro condanna all’effimero. Quello che al giorno d’oggi viene prodotto, non
è in funzione del suo valore d’uso o della sua possibile durata, ma al contrario in funzione della sua
morte.
La pubblicità realizza al meglio questo progetto in cui viene meno il valore d’uso degli oggetti,
diminuisce il loro valore/tempo, assoggettandolo al valore/moda e al rinnovamento accelerato. Il
consumo è intermediario fra la produzione e la distruzione (funzione preponderante della società
postindustriale). Parte II – la teoria del consumo
• CAP. 1 LA LOGICA SOCIALE DEL CONSUMO
Il bisogno dell’individuo è la sua ricerca di felicità. La felicità rappresenta la salvezza, deve essere
comparabile e misurabile con criteri visibili per garantire uguaglianza. La felicità basata sul
benessere interiore è bandita dal consumismo perché non rispetta tali criteri.
Tutti gli uomini sono uguali davanti al bisogno e davanti al principio di soddisfazione, perché tutti gli
uomini sono uguali davanti al valore d’uso degli oggetti e dei beni. Sono disuguali e divisi davanti al
valore di scambio.
I miti del benessere e dei bisogni, hanno una potente funzione ideologica di riassorbimento ed
eliminazione delle disuguaglianze ideologia del Welfare state: accrescendo i volumi dei beni nella
prospettiva di un livellamento automatico grazie alle quantità e un risultato finale di equilibrio,
arrivando ad un benessere di tutti. Anche le società comuniste parlano di equilibrio e die di bisogni
naturali armonizzati. Quindi la società dei consumi è fonte di uguaglianza o disuguaglianza? Varie
teorie: -teoria idealista: la crescita è abbondanza e l’abbondanza è democrazia. Le grandi
disuguaglianze si fanno più esigue ed i redditi tendono ad equipararsi.
Secondo Galbraith il problema della uguaglianza/disuguaglianza non è più all’ordine del giorno. Era
legato a quello della ricchezza e povertà, mentre ora le nostre le nuove strutture della società hanno
riassorbito il problema. Sono poveri coloro che, per una ragione o per l’altra, rimangono fuori dal
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SOCIOLOGIA DEI CONSUMI
sistema industriale, estranei alla crescita. Il principio della crescita, in sé è salvo, è omogeneo e
tende ad omogenizzare tutto il corpo sociale.
La questione fondamentale è quella di questa povertà, che sembra perpetuarsi di generazione in
generazione.
A tal proposito l’idea di Galbraith è contraddittoria: bisogna forse pensare che la crescita, si fonda su
questo squilibrio? Tutte le sue analisi, ma la teoria idealista in generale, finiscono per attenersi a una
constatazione: nonostante tutto e per una visione diabolica, la crescita produce, riproduce e
ristabilisce le disuguaglianze sociali, i privilegi, gli squilibri ecc.
Altre teorie la pensano in maniera differente, ovvero che la crescita produca uguaglianza.
Baudrillard è però d’accordo con Galbraith: la crescita è essa stessa ad essere funzione della
disuguaglianza.
La stessa uguaglianza è una funzione secondaria e derivata della disuguaglianza. Galbraith mostra
bene che se c’è uguaglianza e quindi ricchezza e povertà non sono più un problema, è proprio
perché essa non ha più un’importanza reale. Non è più questo il problema: i criteri del valore sono
altrove.
Il fatto che la disuguaglianza economia non rappresenti più un problema, costituisce in sé un
problema.
Il denaro si trasforma sempre il privilegio gerarchico, di potere e di cultura. Il sistema industriale ha
delle alternative relative alla povertà che si riassumono in due opzioni:
1. L’opzione di Galbraith “idealistico-magica” che respinge fuori dal sistema tutti i fenomeni
negativi: disfu