Riassunto esame Sociologia della conoscenza, prof. Izzo, libro consigliato Storia del pensiero sociologico
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Mannheim è notevolmente influenzato dal marxismo, pur cercando di
distaccandosene perchè insoddisfatto dalle soluzioni da esso proposte.
Mannheim corre il rischio di cadere nel relativismo che emerge dalla sua
tesi del condizionamento del pensiero sia utopico che ideologico perchè, in
quanto parimenti condizionati, vanno posti sullo stesso piano. Per evitare
ciò egli fa riferimento ad una particolare categoria sociale, quella degli
intellettuali, che non coinvolti direttamente nel processo della produzione e
con un grado di istruzione maggiore rispetto alle altre categorie sociali,
possono porsi in una posizione critica rispetto al problema del
condizionamento del pensiero da parte di fattori consci o sub-consci, o
comunque non razionali e offrire una prospettiva diversa, una sintesi
dinamica delle varie posizioni legate più direttamente alla produzione,
creando una vera e propria nuova concezione del mondo.
Le conseguenze epistemologiche e politiche della sociologia della
conoscenza di Mannheim.
Mannheim tratta a lungo delle conseguenze epistemologiche della sociologia
della conoscenza. Egli afferma che il pensare che esista una sola verità
assoluta che prescinde dalla condizione storico-sociale dipende da una
concezione della conoscenza legata a fasi storiche determinate. E questa
teoria tradizionale contrasta con i più moderni approcci del pensiero
sociologico che mostra che non esiste una sola verità e reagisce a
quest’approccio affermando che l’unica alternativa possibile è un totale
relativismo. Ciò, tuttavia, è un’analisi che tenta di conciliare l’approccio
tradizionale alla luce dei nuovi sviluppi sociologici. Per uscire fuori dal
relativismo Mannheim espone un’altra idea, quella del relazionismo, che si
contrappone al primo. Il relazionismo, tuttavia, non sembra distaccarsi
molto dalla definizione del relativismo. L’idea secondo cui “non si possono
più accettare e concepire verità assolute ed indipendenti dal soggetto e dal
contesto sociale” sembra riferirsi al relativismo ed è invece quello che
Mannheim definisce relazionismo. Più che a due diverse scoperte sembra di
trovarci di fronte a due modi differenti di percepire emotivamente la stessa
scoperta. E la proposta di combattere il relativismo con il relazionismo
sembra ridursi ad un problema meramente terminologico. E poi, ammesso
che ciò sia possibile, non è detto che analizzando una realtà da un punto di
vista relazionale staccandosi da alcune verità che venivano percepite
“dogmatiche” venga superata automaticamente la situazione di incertezza e
di dubbio che ne scaturisce. A tal proposito Mannheim pone l’esempio del
contadino che va a vivere in città. Da un lato egli relaziona la nuova realtà
con la vecchia, percependo la seconda non più come “l’unica possibile e
assoluta”, ma questa esperienza non lo esime da una situazione di dubbio (Il
problema del relativismo/relazionismo è un modo, per Mannheim di trovare
una soluzione ad un problema teorico).
Il problema degli intellettuali è ad un tempo, problema teorico e politico,
entrambi in stretta connessione. Del problema politico abbiamo accennato
facendo riferimento alla distinzione tra “ideologia e utopia”, anch’essa, se
vogliamo, una distinzione puramente terminologica, dalla quale non
riusciamo comunque a mettere bene a fuoco le differenze (come nel caso
del relativismo/relazionismo).Così, limitato nel fornire un’alternativa valida
per l’azione Mannheim cerca di trovare una soluzione al problema
riponendo fiducia nella figura degli intellettuali. Innanzitutto egli afferma
che è possibile poter scegliere razionalmente di fronte a situazioni nuove
riguardanti la politica? In altre parole egli definisce questa possibilità,
consacrata nella sua attività, come Scienza della politica. Essendo le diverse
concezioni e teorie politiche di numero finito, anche se una in conflitto con
l’altra, ed essendo esse legate a specifiche condizioni storico-sociali e non il
risultato di una volontaria ed arbitrale soggettività, la scienza della politica è
per la prima volta auspicabile. Bisogna formulare una “sintesi dinamica” tra
le diverse posizioni e non procedere a una giustapposizione. Chi è in grado
di fare tutto ciò se, da un lato la conoscenza politica è necessariamente e per
definizione conoscenza di parte legata a degli interessi? D’altro canto egli è
consapevole che questa scienza non può fornire verità assolute valide per
sempre e che la caratteristica della dinamicità si riferisce per l’appunto a
questo suo carattere non definitivo. La risposta viene rintracciata nella
figura degli intellettuali indipendenti. Essi sono i portavoce delle classi
sociali in lotta tra loro. Quando Mannheim parla di intellettuali questi sono
intesi non in senso astratto, ma in una condizione storicamente specifica.
Mannheim, inoltre, non è ingenuamente convinto che tutti gli intellettuali
facciano quello da lui prescritto. L’espressione “intellettuali migliori” è del
resto sintomatica di questo. Un altro punto che non sembra sufficientemente
chiarito sembra essere quello relativo alla possibilità, una volta formulata
una sintesi dinamica, in quanto sintesi, di concretizzarsi in una scelta
politica concreta e particolare. Anche qui l’autore mostra particolari
incertezze. Inoltre egli definendo la scienza della politica è tenuto a
precisare cosa sia la scienza. Egli condanna la scienza positiva, in quanto
essa, per definizione lascerebbe tutto ciò che è umano e non misurabile al di
là dei possibili oggetti di studio. Secondo Mannheim il limite maggiore
della filosofia e della scienza positiva è escludere tutti i condizionamenti
storico sociali dal proprio ambito d’indagine, quando è essa stessa il
risultato di una particolare concezione del mondo. Così Mannheim fa
appello ad una scienza che sia in grado di escludere le forze irrazionali
mediante il controllo seppure parziale, della ragione su di esse.
Per quanto riguarda l’ideologia e l’utopia Mannheim nella prima parte del
libro, o perlomeno fino al 1931, quando verrà aggiunto un saggio, non le
riesce a distinguere con chiarezza. Successivamente ne tratterà affermando
che l’ideologia è tipica della classe dominante e l’utopia del gruppo in
ascesa. Il pensiero e ideologico e quello utopico sono entrambi contrapposti
alla realtà sociale storicamente data. Ciò non significa che non fanno
riferimento ad essa, ma da un lato la classe dominante astrae la realtà in
senso conservatore e la classe subalterna contrasta con la situazione di fatto.
La differenza che sembra emergere dal discorso di Mannheim è che
l’utopia può sovvertire e modificare la realtà data. L’utopia no. Un aspetto
interessante e curioso è quello che sembrerebbe che la classe dominante
definisce quello che è utopia, in contrasto con i propri interessi, la
situazione sociale apparentemente non facilmente modificabile, e la classe
subalterna definisce ciò che ideologia condannando l’ottusità dei borghesi
(in definitiva) verso il mutamento e la loro incapacità do cogliere l’aspetto
dinamico della realtà storico-sociale. Per Mannheim la fine delle utopie è la
fine della libertà umana che porta ad una condizione statica della realtà
storico-sociale. Ecco ora il paradosso: quando l’uomo consapevolmente è
riuscito a rendere razionale la realtà, dopo un lungo, difficile e tortuoso
cammino, resta senza ideali e diviene una pura creatura impulsiva. L’uomo
perderebbe così ogni volontà di dare senso alla storia. Quindi se l’utopia
nasce dalla razionalità e la sua fine è vittima della stessa alla fine del suo
volume, Mannheim, sembra temere quanto avesse auspicato in quanto
questo potrebbe comportare l’impossibilità per l’uomo di comprendere la
stessa realtà storico-sociale che aveva consapevolmente razionalizzato!
Nell’edizione inglese, (’36) e in particolare nella sua introduzione
Mannheim fa cadere la possibilità per l’utopia di poter modificare l’ordine
sociale. Solo guardando all’edizione del ’31, quindi sembrano emergere
caratteri distintivi. Successivamente, dopo il ’36, Mannheim tende
nuovamente a fornire una sintesi sulla differenza tra Ideologia e Utopia,
riuscendo però a proporre ancora una nuova definizione.
Ideologia riflette una scoperta che è venuta emergendo dalla lotta politica.
Le idee e le convinzioni dei gruppi dominanti sono legati strettamente ai
loro interessi da escludere totalmente tutti i fatti che possano minacciare il
loro potere costituito. L’ideologia quindi ha una funzione conservatrice.
Utopia rilette i pensieri delle classi dominate che tendono a trascurare
anch’essi la realtà in quanto fortemente occupati a negare quegli aspetti,
della stessa, che non accettano e che vorrebbero mutare. Essi non si
occupano di ciò che realmente esiste, ma di ciò che vorrebbero non
esistesse.
Il dibattito su Ideologia e Utopia.
Il libro, appena uscito, ha scatenato varie critiche. Tutti hanno rilevato
l’influenza marxista e relativamente al concetto di Ideologia, alcuni hanno
considerato Mannheim come seguace di Marx, altri l’hanno considerato un
“traditore”. Una prima critica che si potrebbe fare a Mannheim è quella di
aver imposto tutta la sua opera in termini troppo generali e non in relazione
alla situazione della Germania nella repubblica di Weimer. Un’altra critica
può essere quella di Curtius, che rileva che Mannheim ha “soggettivamente”
attribuito valore al mutamento e attribuito aggettivi come “torpore e morte”
alla stabilità. Si potrebbe legittimamente invertire il discorso e considerare
positivo ciò che è stabile. Nella teoria mannehimiana c’è, secondo Curtius,
una minaccia ai valori eterni e assoluti.
Mannheim replica alle accuse di Curtius affermando che le sue teorie sono
state fraintese, che il suo scopo è stato quello di smascherare quelle
posizioni “ideologiche” che si autoproclamano eterne e immutabili e
nascondono, invece, interessi di parte. La sociologia della conoscenza
intende “smascherare”, appunto, queste ideologie. Curtius inveisce contro
Mannheim per avere quest’ultimo considerato il pensiero dinamico
superiore a quello statico. Altre critiche invece, ironicamente,
condanneranno esattamente l’opposto. Marcuse, ad es., accuserà Mannheim
di essere rimasto legato ad una concezione fondamentalmente statica. La
teoria delle Utopie, tuttavia, contrasta con quanto affermato da Marcuse,
anche se spesso non c’è coerenza tra le varie definizioni di utopia e sulla sua
stessa possibilità di mutare o meno l’ordine sociale. Marcuse rifiuta,
sostanzialmente la teoria secondo la quale esista una corrispondenza tra
pensiero ed essere. Allora si potrebbe parlare di coscienza di classe solo in
una società capitalistica con un ordine capitalistico in atto? Ciò significa, per
Marcuse, un limite nel non saper cogliere il carattere dinamico della storia.
Anche Horkheimer, altro marxista, critica Mannheim per aver tradito il
marxismo. Non solo perchè, come Marcuse, rileva che la corrispondenza tra
essere e pensiero non è un criterio garante della verità, ma la critica è
rivolta ai temi d’analisi dell’opera di Mannheim che non sono “marxiani”.
Mannheim infatti, secondo Horkeimer, analizza il problema filosofico della
verità, non concretamente quello politico ed economico. L’attacco è quindi
rivolto anche alla sociologia della conoscenza che si pone come fine
primario quello di conoscere la verità in senso filosofico, piuttosto che
trasformare la filosofia in scienza positiva e in prassi. Non ci sembra però
che Mannheim abbia ricercato questo tipo di verità assoluta. Secondo
Marcuse non lo ha fatto direttamente, ma nel momento in cui parlava di
ideologia la definiva sostanzialmente come lo spazio intercorrente tra la
verità eterna e il pensiero ideologico. Da Horkeimer, quindi, giungono a
Mannheim accuse di idealismo per aver ridotto il problema del
condizionamento sociale del pensiero ad una questione puramente filosofica.
Ironicamente e paradossalmente altri marxisti lo accusano di psicologismo,
individuando il tentativo mannheimiano di dar peso all’influenza
psicologica della propria posizione sociale relativamente ai diversi
orientamenti intellettuali. Lewalter, in modo particolare, lo accusa in
questo senso. Tuttavia è innegabile non rilevare l’intento e lo sforzo di
Mannheim di rendere i tradizionali problemi filosofici racchiudibili sotto
una matrice sociale. E tutte le sue critiche non sono altro che un tentativo di
“psicologizzare” la sociologia della conoscenza oltre ogni limite consentito
dal testo di Mannheim.
Altre critiche di provenienza non marxista sono state portate avanti da altri
studiosi, tra cui: Tillich che rileva che Mannheim spesso si è riferito ad un
tipo di utopia conservatrice negando così la definizione stessa che egli ha
enunciato relativamente al carattere innovativo del pensiero utopico.
Adorno poi criticherà Mannheim per aver rilevato il solo carattere culturale
alla base d’un mutamento storico e non delle ragioni di carattere
economico. La stessa scissioni della società in classi è ridotta ad un
problema esclusivamente culturale.
Emile Durkheim: le origini sociali delle categorie conoscitive.
Emile Durkheim si è occupato della sociologia della conoscenza soprattutto
nella fase matura dei suoi lavori, analizzando le categorie conoscitive
anteponendo la sua tesi a quella di Kant secondo cui queste ultime erano a
priori universali, affermando, appunto, che esse muovono dall’”essere
sociale”, sono da rintracciare nella società, appunto. L’"essere sociale” di
Emile Durkheim non è una mera somma degli individui, ma viene a creare
una realtà sui generis, completamente condizionata dalla prospettiva sociale
piuttosto che psicologica. Anche Durkheim come Marx condanna
l’economia politica ma per motivazioni differenti. Marx criticava questa
scienza perchè mossa da interessi borghesi e pertanto “ideologia”, in senso
quindi politico; Durkheim, invece accusa l’economia politica di muovere le
sue basi in senso individualistico non riuscendo a percepire il suo senso
sociale .E in questo contesto parla di “essere sociale” e di come gli individui
nel loro agire sono mossi da forze sociali spesso non consce. Poichè la
sociologia della conoscenza studia esattamente i condizionamenti esercitati
dalla società sulla vita intellettuale ed emotiva senza che il soggetto
condizionato ne sia consapevole, Durkheim con questa affermazione sembra
anticipare quello che sarà il compito specifico di tale disciplina.
Per comprendere la tesi secondo cui le categorie conoscitive hanno matrice
sociale bisogna spiegare come Durkheim affermi che alla base della società
ci sia la religione e non l’economia come l’opinione della maggioranza
degli studiosi aveva ipotizzato.
La società sorge attraverso l’azione comune e gli individui, interagendo,
creano la realtà sui generis che si impone mediante quei caratteri della
trascendenza e dell’imperatività della religione. La società, in questo senso
religioso, crea le stesse coscienze. Per affermare la sua tesi circa la natura
sociale delle categorie conoscitive Durkheim confuta due approcci, quello
degli empiristi e quello degli aprioristi. Il primo è totalmente agli antipodi
rispetto all’ipotesi durheimiana; esso afferma che le categorie conoscitive
derivano dall’esperienza. Viene attribuita ad esse, quindi, una ragione
psicologica. Gli aprioristi, secondo Durkheim hanno individuato il carattere
apriori delle categorie di pensiero, che in Durkheim dipendono
esclusivamente dalla società mediante la religione, ma sbagliano nel
considerarle universali perchè, secondo Durkheim esse sono sempre relative
a specifiche civiltà.
Il contributo di Durkheim alla sociologia della conoscenza a questo punto
appare evidente: egli individua non solo l’influenza della società sui
contenuti specifici delle conoscenze proprie di ogni singola società o dei
diversi gruppi all’interno della singola società, ma le stesse forme a priori
della conoscenza, quei principi che rendono la conoscenza possibile. Ed è
palese a questo punto anche la differenza con il pensiero di Marx.
Quest’ultimo, nel materialismo storico aveva individuato alla base delle
categorie del pensiero gli interessi derivanti dalle posizioni che all’interno
della società i soggetti rivestivano. (società borghese, ovviamente). Non
sono quindi i principi costitutivi della conoscenza ad essere presi in esame
ma le diverse concezioni delle classi sociali. Durkheim invece fa un discorso
differente ampliandolo il più possibile: “sociologizza” le stesse categorie
conoscitive, gli stessi elementi che rendono possibile la conoscenza. Il
tentativo durkheimiano, quindi, sembra prendere in esame il problema più a
monte.
Vilfredo Pareto critico delle ideologie.
Vilfredo Pareto, apporta alla sociologia della conoscenza un notevole, anche
se discutibile contributo alla critica delle ideologie. L’idea centrale della sua
teoria è che l’uomo non è un essere tendenzialmente razionale, anzi, è
mosso da azioni e impulsi non razionali. Pareto vede nella scienza la
possibilità di migliorare la società. Riconosce alla sua scienza, però, la
possibilità per l’uomo scienziato, in particolare, di riuscire ad attenersi
scrupolosamente ai fatti senza lasciarsi influenzare, come tutti gli uomini, da
impulsi irrazionali. Nelle teorie marxiste riconosce il carattere
sovrastrutturale della morale e della religione senza tuttavia condividere il
materialismo storico per quanto riguarda la lotta di classe e la vittoria finale
del proletariato perchè, egli dice, non suffragata da prove empiriche me più
che altro un desiderio che si fa passare per scienza, dello stesso Marx. Egli
estende questo concetto, relativamente al pensiero non razionale della lotta
di classe che viene giustificato e suffragato dal “fare scienza”, senza peraltro
mostrare prove empiriche, riferendosi a tutti gli uomini e al loro tipico
agire non razionale e ai loro tentativi di giustificare lo stesso. Così si parla,
relativamente a Pareto, di ottimismo epistemologico e pessimismo
antropologico. L’uomo agisce in modo non razionale e questi sono per
Pareto i residui, giustificando le stesse azioni mediante teorie chiamate
“derivazioni”.
Nello specifico, abbiamo 6 classi di residui e 4 di derivazioni.
RESIDUI:
istinto delle combinazioni (impulso intrinseco dell’uomo di fare
accostamenti non razionali);
persistenza degli aggregati (necessità di dare stabilità alle combinazioni del
primo residuo. Es. il vivere in una classe sociale presuppone certe credenze
–istinto delle combinazioni- e il fatto di continuare a viverci imprime loro
stabilità nel nostro essere.);
bisogno di manifestare con atti esterni i nostri sentimenti (esteriorità dei
culti, ad es.);
i residui in relazione con la società (vivere la società: altruismo, generosità
solidarietà);
integrità dell’individuo e delle sue dipendenze (da questo Pareto fa
discendere la proprietà ed evidenzia i sentimenti che ad essa sono collegati
che possono essere di altruismo o egoismo);
istinto sessuale (che non coincide con l’impulso ma con i sentimenti ad esso
connessi, come ad es. l’ascetismo che tende a celare l’impulso.
DERIVAZIONI: (una precisazione, Pareto dice che tutto ciò che non deriva
dal metodo logico sperimentale non è razionale).
affermazione -indipendente dall’esperienza- (non basandosi sul metodo
logico sperimentale. Quella che deriva dall’esperienza non è considerata
derivazione);
autorità (riconoscimento di un atto come razionale o effettuare una scelta in
base solo all’autorità che un soggetto o un’istituzione esercita);
Accordo tra sentimenti e principi (riconoscere la verità solo in base a dei
principi comuni: tutti credono in Dio, quindi Dio esiste);
Prove verbali (imprecisione del linguaggio e retorica: spesso alla base di
termini come libertà, verità, solidarietà, ci sono discorsi pseudoscientifici).
L’apporto maggiore di Pareto è senza dubbio la critica delle ideologie anche
se è stato rilevato come egli non faccia riferimento all’inevitabile storicità e
socialità del pensiero: il suo è un approccio psicologico (gli stessi residui e
derivazioni sono motivazioni e giustificazioni individuali) e non
sociologico. Questa osservazione su Pareto è stata fatta da Bobbio. Un’altra
critica che si può muovere a Pareto è di ricadere nell’ideologia, pur
essendone critico perchè la classificazione dei residui e delle derivazioni, la
storia come cimitero di aristocrazie, la natura fondamentalmente non
razionale dell’uomo sono tutti elementi dati astoricamente da Pareto. Questa
è ideologia. Pareto, dunque, è rilevante dal punto di vista della sociologia
della conoscenza in quanto critico delle ideologie, anche se la sua
impostazione è fondamentalmente astorica, e proprio in seguito a questa
astoricità, la sua teoria può essere a sua volta considerata come ideologica.
La teoria di Max Sheler.
Cronologicamente Sheler si pone prima di Mannheim e la sua concezione di
questa disciplina è molto ampia, tale da coinvolgere nel suo discorso non
solo la società occidentale ma i fondamenti delle stesse società che
diventano il tema centrale del suo discorso. Sheler afferma che non esiste
una sola concezione del mondo, e per questo “naturale”: esistono piuttosto
più concezioni del mondo relativamente naturali. La sua affermazione non è
però relativistica, anzi: le concezioni del mondo relativamente naturali
traggono la loro origine da alcune essenze immutabili e le manifestano solo
parzialmente e limitatamente. Sheler non ha dubbio circa l’inevitabilità del
condizionamento sociale del pensiero: riconosce il carattere sociale di ogni
sapere. Queste essenze immutabili alle quali ogni forma di conoscenza
condizionata socialmente deriva da un “regno ontico delle idee”. Ora Sheler
deve spiegare i motivi e le modalità di tale condizionamento del pensiero.
Parte dalla differenziazione di “fattori ideali” e “fattori reali”. I primi sono
i valori dello spirito che, senza quelli reali non possono manifestarsi. Solo
dove un fattore ideale sia sorretto da uno reale è possibile che quelle idee
originarie possano manifestarsi con efficienza causale (senza forza la libertà
non potrebbe manifestarsi, l’amore senza l’istinto sessuale non potrebbe
altresì manifestarsi...etc...)
Secondo Sheler è possibile una classificazione dei “tipi di conoscenza delle
forme di visione del mondo colte o relativamente elaborate. A tal proposito
egli distingue 7 tipi diversi di conoscenza:
mito e leggenda
sapere implicito del linguaggio naturale del popolo (non colto)
il sapere religioso in tutte le sue forme
sapere mistico
filosofico-metafisico
il sapere positivo delle scienze naturali e dello spirito
il sapere tecnologico.
Le forme più importanti di conoscenza sono 3 e vengono classificate
secondo una gerarchia discendente:
sapere religioso che mira a raggiungere una salvezza totale mediante la
partecipazione all’Essere supremo;
sapere metafisico che apre all’uomo la conoscenza del macrocosmo
mediante la scienza nel suo aspetto teoretico;
sapere tecnologico che si propone di estendere sempre più il dominio
dell’uomo sulla natura (tecnica) sull’uomo (psicologia) e su Dio (magia). In
questo tipo di conoscenza vi rientra la scienza nella sua accezione
pragmatica.
Questa ripartizione sheleriana riprende la legge dei 3 stadi di Comte ma con
2 differenze evidenti. La prima è che , come rileva lo stesso Sheler, Comte
non aveva individuato i tre stadi come tre diverse forme di conoscenza che
costituiscono risposte diverse a diversi problemi ma più che altro fasi della
storia dello sviluppo del sapere. Secondo Sheler queste sono forme del
sapere perenni, l’una non esclude l’altra, insite nello spirito dell’uomo. Esse
si danno spontaneamente con l’essenza dello spirito umano. Un’altra
differenza è che Sheler rileva una gerarchia del tutto opposta a quella di
Comte, che come si saprà, vedeva nella società tecnologica e nella scienza
pragmatica il momento più alto dello sviluppo della conoscenza umana. Per
Sheler questo momento si individua nella ricerca della trascendenza.
Sheler distingue tra pensiero socialmente condizionato e ideologia. Il
condizionamento sociale è un momento fondamentale della formazione del
pensiero mentre l’ideologia non è altro che una distorsione del pensiero
viziato da interessi di parte, da pre-giudizi e pre-concetti che
inevitabilmente falsano le teorie.
Le prime due considerazioni critiche che possono essere mosse a Sheler
sono l’affermazione di base dalla quale egli parte, e cioè la presenza di un
regno ontico delle idee , costituito da essenze astoriche e da valori oggettivi
che possono essere compresi solo nella loro estrinsecazione storico-sociale.
La stessa presenza di queste idee immutabili è una realtà data, un’intuizione
non dimostrabile. Da questa prima critica deriva la seconda: come poter
distinguere delle categorie, anche se molto generiche, di un’infinità di
possibilità che fanno capo al regno ontico delle idee? Non è concepibile
classificare diversi tipi di conoscenza se queste possono essere infinite e se
comunque non sono dimostrabili e sappiamo che derivano da un regno delle
idee dove quest’ultime possono manifestarsi per definizione , un numero
“infinito” di volte. Mannheim critica Sheler per non aver concepito i fattori
ideali e reali in senso storico sociale. Ma afferma che Sheler è sicuramente
un sociologo della conoscenza per aver proclamato l’inevitabile
condizionamento sociale del pensiero.
Per quanto riguarda la sociologia della conoscenza Sheler sembra proporre
un ampliamento e allo stesso tempo un restringimento del materialismo
storico. Un ampliamento perchè il discorso del condizionamento di classe
appare come un aspetto particolare di un condizionamento maggiore che
riguarda tutta la società occidentale basata sull’economia e che trascura
religione e metafisica. Si tratta di una società borghese basata su valori
utilitaristici. In questo senso la condizione del proletariato secondo il
materialismo storico è interpretato da Sheler come un miope etnocentrismo.
Sheler infatti riduce ad ideologia il punto di vista del proletariato. Tuttavia,
a questo punto, la questione suggerisce una difficoltà di Sheler. Abbiamo
precedentemente visto come alla base delle concezioni del mondo
relativamente naturali ci sia un’influenza degli interessi, e nella definizione
di ideologia egli dice praticamente lo stesso. Allora la differenza non appare
del tutto definita e sicura.
Sheler cerca un’alternativa alla società borghese ma non in un ritorno a
valori pre-borghesi, piuttosto egli indica un’alternativa nei valori della
cultura tedesca contro il materialismo e l’utilitarismo dei valori
anglosassoni. Così egli sarà favorevole, insieme ad altri intellettuali del suo
tempo, alla prima guerra mondiale.
L’autore in questione, dopo molti anni avrebbe indicato un’altra soluzione
alla società borghese, individuando, come Mannheim il ruolo fondamentale
degli intellettuali. Loro compito non è però, come nel caso di Mannheim
una sintesi dialettica ma piuttosto una sintesi delle varie tipologie di
concezioni del mondo relativamente naturali dalla quale dovrebbe emergere
una epoca “metafisica” per l’Occidente. Sheler, infine, è particolarmente
affascinato dalla cultura orientale e per questo auspicò ad una sintesi tra
metafisica occidentale e metafisica orientale.
I rapporti con l’antropologia culturale.
La sociologia della conoscenza si occupa della conoscenza come
condizionamento sociale dei fenomeni intellettuali ed emotivi.
L’antropologia si occupa invece della cultura, intesa in senso molto più
ampio che la conoscenza, come tutto ciò che viene creato dall’agire
dell’uomo nella società. L’ambito dell’antropologia resta quindi più ampio
che quello della sociologia della conoscenza, tuttavia alcune sovrapposizioni
possono essere evidenziate.
Tra i pionieri dell’antropologia si ricercano le teorie del materialismo
storico. Ruth Benedict in “modelli di cultura” fa riferimento a Dilthey
(filosofo storicista tedesco). Lo stesso termine cultura nasce dallo storicismo
tedesco. La sociologia della conoscenza s’è occupata principalmente del
conflitto (Marx). Nell’antropologia il problema fondamentale è
l’integrazione.
L’oggetto di studio dell’antropologia culturale fa riferimento anche a
culture diverse da quella occidentale. La sociologia della conoscenza, come
sappiamo, si occupa solo di quest’ultima. Un problema invece comune ad
entrambe le discipline è il relativismo. Per la sociologia della conoscenza è
un problema il relativismo. Per l’antropologia non lo è perchè questo ha
validità politica di riconoscimento delle culture diverse che vengono
considerate differenti, senza apporre giudizi di valore, superando così
l’etnocentrismo.
Una concezione spiritualistica della sociologia della conoscenza: Pitirim
Sorokin.
La sociologia della conoscenza di Sorokin parte da una definizione della
cultura come realtà integrata della quale si possono distinguere due aspetti,
uno interno e uno esterno. Il primo riguarda il “dominio dell’intelletto, del
valore e del significato”, il secondo invece le espressioni esteriori della
cultura quali manifestazioni del suo aspetto interno. A tal proposito cita ad
es. la Venere di Milo che sarebbe un freddo pezzo di ghiaccio se non fosse
interpretato l’intento dell’artista e il valore intrinseco dell’opera d’arte in
sè. Così pure per una sinfonia di Beethoven. Per cogliere l’aspetto interno
di un prodotto culturale si possono seguire diverse vie. Sorokin ne individua
3: una psicologica (intento dell’artista, per es.), una socio-fenomenica, (il
significato, in questo caso trascende quello che ha voluto imprimergli
l’artista, individuando i nessi che legano quel prodotto con tutti gli altri
della cultura), e quello logico (che mette in evidenza la coerenza interna tra
i vari aspetti della cultura). Poichè esistono molte culture bisogna
individuare le premesse cui le singole culture sono integrate. Questo è un
principio fondamentale nella sociologia di Sorokin: dato che ci sono molte
culture, ognuna delle quali con le proprie caratteristiche, il proprio sistema
di verità, di giusto e ingiusto, una propria Weltanschauung mettendo a
confronto i valori di ciascuna di queste culture si constata che essi hanno
una natura irriducibilmente diversa ma all’interno di ogni singola cultura i
valori sono connessi logicamente tra loro. Bisogna quindi uscire dal caos e
mettere ordine individuando alcuni tipi fondamentali di culture. Essi sono
3: mentalità o tipo di cultura sensista, idealista e ideazionale. Non esistono
nella loro forma pura ma possono essere distinte in base a 4 elementi
fondamentali:
modo di concepire la realtà
natura dei bisogni e dei fini che debbano essere soddisfatti
la misura in cui è ammessa la soddisfazione di tali bisogni
i metodi per la soddisfazione di essi
Mentalità sensista:
la realtà è percepita direttamente in relazione ai sensi, tutto ciò che è
percepibile
i bisogni che si vogliano soddisfare e a cui si dà una priorità sono
strettamente legati al sesso, al cibo, etc...
si privilegeranno tutti i questi bisogni piuttosto che altri che riguardano lo
spirito, ad es.
si utilizzeranno tutti i metodi possibili per il soddisfacimento di essi che
consistono nel “cogliere l’attimo”
Mentalità ideazionale:
la realtà è sovrannaturale
bisogni dello spirito
Mentalità idealista o mista:
la realtà è sovrasensibile, non sovrannaturale, non si rifiuta l’esperienza
empirica. La realtà è percepita sia come sensibile che spirituale.
i valori a cui fa riferimento questo tipo di cultura/mentalità rigurdano
essenzialmente la superiorità scientifica, artistica, morale e sociale, sia per il
loro valore intrinseco che per avere fama, gloria, etc...
Esistono poi delle differenze all’interno delle varie mentalità: quella sensista
si distingue in sensista attiva o passiva, e anche così per quella ideazionale.
La differenza fondamentale sta nel tentativo per chi è attivo di voler
cambiare la realtà, sia in senso ideazionale che sensista.
Mettendo in relazione il tipo di mentalità al tipo di cultura Sorokin
contribuisce alla sociologia della conoscenza. Chiunque abbia messo in
evidenza questa relazione dà un contributo alla sociologia della conoscenza,
ma deve essere messo in evidenza che l’apporto di Sorokin è di tipo
spiritualistico perchè alla base di ogni configurazione storico sociale egli
individua un supersistema culturale.
Tutta la storia dell’umanità è un continuo fluttuare tra i vari supersistemi
che egli esamina a sostegno della sua tesi. E’ convinto che noi stiamo
attraversando un periodo critico. La nostra epoca è di trapasso tra un
periodo fondamentalmente sensista in ideazionista. La tecnologia, la
democrazia che assomiglia sempre più a una dittatura, sono elementi della
crisi del nostro secolo.
Molte critiche possono essere fatte a Sorokin. nnanzitutto il suo discorso
sembra non essere originale. Poi pecca di essere monocausale. Tutti i
condizionamenti secondo Sorokin dipendono da elementi culturali. Altri
fattori “più materiali” nel senso marxiano del termine, non vengono presi in
considerazione. Ad es. se per Mannheim il liberalismo del XIX sec. è
dovuto agli interessi economici borghesi, per Sorokin questo non è altro che
la premessa di un’era sensista. Per cercare di semplificare quelle che dice le
infinite culture tende a cedere alla tentazione di ridurre tutte le culture a 3
soli tipi (come anche Sheler). Un altro fallo di tutta questa teoria è il fatto
che il trapasso da un’era sensista a una ideazionaria non c’è effettivamente
stato, nonostante le sue previsioni.
Sociologia della conoscenza e mezzi di comunicazione di massa: Robert
K. Merton.
Merton cerca di paragonare la sociologia della conoscenza americana con
quella europea. Innanzitutto rileva che entrambe studiano le comunicazioni
di massa. Viceversa è molto differente il tipo di impostazione della
disciplina, infatti la sociologia della conoscenza americana dà molta
importanza al metodo della scienza (logico-sperimetale, induttivo) per cui
non è molto importante il problema epistemologico. Secondo questo
approccio si sa che quello che si studia è vero ma non si sa quanto sia
importante. (approccio empirista)
Quello europeo invece dà molto più peso all’epistemologia e meno al
metodo, studiando quello che è importante, senza poi avere la certezza che
sia vero. (approccio non empirista)
Merton si rende conto che il la rigorosità del metodo per quanto riguarda
l’approccio più prettamente epistemologico della sociologia della
conoscenza europea, restringe il campo di analisi. Questo però di confà alle
“teorie di medio raggio” di Merton, secondo le quali si cerca di dare
scientificità a una teoria rinunciando piuttosto al tentativo di voler
formulare necessariamente teorie generali. uesto però comporta anche il
rischio di non prendere in considerazione il contesto storico sociale.
Alla luce di tutto questo egli sembra essere spostato totalmente a favore
della sociologia della conoscenza americana. E’ chiaro a tal proposito quello
che scrive di Mannheim, ossia che è troppo vago e generico risultando poco
attendibile riguardo al “condizionamento sociale”. (Izzo non è d’accordo:
restringendo il campo d’indagine la critica sarebbe crollata perchè i gradi di
condizionamento variano secondo i diversi tipi di società, gruppi, secondo il
grado di consapevolezza che si ha del condizionamento sociale).Mills rileva
tuttavia, in questa critica e più in generale in tutto l’approccio della
sociologia della conoscenza americana (orientata come si è già detto allo
studio di ristretti ambiti di indagine, in altre parole microsocietà) il
tentativo di voler sostenere da parte degli scienziati sociali la struttura
sociale data: un velo di ideologismo sugli occhi degli scienziati sociali
americani.
Del resto, appare importante sottolineare come non si possa non tenere
conto dell’importanza sociologica di macrosistemi sociali. Merton stesso
dice che la presenza di due diverse sociologie della conoscenza sia esso
stesso un problema di sociologia della conoscenza, anche se
quest’affermazione non può non rendere più critico, in senso
epistemologico e generale, quanto detto da Merton. (si contraddice perchè
rileva un problema di “carattere generale” della sociologia della conoscenza)
L’ultima critica che può essere mossa a Merton è quella di Wolff. Egli
distingue due verità: una scientifica e una esistenziale. Secondo Wolff,
Merton negando la seconda verità (quella che esprime e coinvolge lo stato
d’animo dello studioso) nega il coinvolgimento che invece è imprescindibile
dal soggetto.
Sociologia della conoscenza e teoria critica.
La teoria critica della società, detta anche scuola di Francoforte parte dalla
condanna della sociologia della conoscenza anche se da essa riprenderà certi
temi come il condizionamento sociale del pensiero e l’ideologia. A
fondamento di questa scuola c’è la condanna al positivismo e alle sue leggi
naturali immutabili. Questo preclude, secondo la Scuola di Francoforte, la
possibilità da parte dell’uomo di agire sulla realtà per trasformarla sulla
base di un progetto razionale. Ponendosi contro il positivismo, la filosofia
della Scuola di Francoforte non può non essere “negativa”. La pretesa della
filosofia positiva non è casuale in quanto nasce in relazione a specifiche
esigenze socio-economiche e con la specifica funzione di mantenere l’ordine
costituito. Tra la possibilità di auspicare a un’evoluzione che migliori le
situazioni delle classi subalterne si preferisce, secondo il positivismo,
ricercare le condizioni per un rapporto gerarchico ma pacifico e armonico
tra imprenditori e lavoratori.
Si può affermare che la critica all’ideologia, nella forma particolare della
critica alla filosofia positiva come interpretazione naturalistica dei fatti
storico-sociali in funzione degli interessi costituiti, è fondamento stesso
della teoria critica della società. Viene anche ripreso il marxismo,
estrapolandolo, però dai tentativi più o meno palesi delle sue interpretazioni
positivistiche.
Secondo la Scuola di Francoforte, nelle società capitalistiche precedenti a
quella del “capitalismo avanzato” l’ideologia aveva un duplice aspetto allo
stesso tempo di verità e di falsità. Falsa perchè si proclamava estranea a
ogni tipo di condizionamento economico e sociale e vera in quanto “ideale”
e quindi trascendente e autonoma dal mondo reale. Questa possibilità
verrebbe totalmente a mancare nella società capitalistica avanzata perchè
l’ideologia perderebbe quel suo carattere ideale, quindi la sua “verità” in
quanto trascendente e coinciderebbe totalmente con gli interessi del potere
economico. La cultura diventa cultura di massa ed è totalmente ridotta a
industria culturale, protesa cioè a fabbricare consensi, integrando i soggetti
entro la cultura dominante, espressione ideologica del potere. La
manipolazione della coscienze si giustifica come “venire in contro alle
esigenze del pubblico”. Il discorso di Horkheimer e Adorno coincide con
un’accusa di ideologicità della cultura di massa del capitalismo avanzato,
nonostante le sue pretese di essere “apolitica”, l’industria culturale risulta
onnicomprensiva costruzione ideologica.
Questo stato di cose ostacola, in un certo senso, la possibilità di distaccarsi
dall’ordine prevalente da parte delle masse.
Questo concetto è stato ripreso e rielaborato da Marcuse, che afferma,
sostanzialmente che la situazione attuale nelle società capitalistiche avanzate
la tecnologia è uno strumento di dominio al servizio del potere economico e
politico costituito, perchè riesce a raggiungere un totale livellamento degli
individui, fino a ridurli a zero integrandoli con la cultura dominante. La
società e “l’uomo a una dimensione” (titolo dell’opera di Marcuse) indicano
l’impossibilità per l’uomo di modificare la sua condizione opponendosi. La
tecnologia, tuttavia, è anche vista come unica àncora di salvezza, perchè
l’unico mezzo in grado di migliorare l’organizzazione della società,
mediante la liberazione dell’uomo dal lavoro pesante. Se questo non
avviene è perchè dettato dall’apparato politico. Il problema dell’
”ideologia” della Scuola di Francoforte non è in senso politico marxista,
ma è usata in senso specifico, riferendosi alla società capitalistica avanzata
in generale.
La prima e forse la più importante critica che può essere mossa alla Scuola
di Francoforte è insita nel suo stesso discorso. I teorici della Scuola di
Francoforte negano la possibilità di un pensiero di opposizione, e a questo
punto verrebbero a negare la loro stessa critica. Quindi dovrebbero
individuare chi sia in grado di formulare teorie critiche in quanto
depositario di una conoscenza non totalmente ideologica. Come per
Mannheim, ma secondo accezioni totalmente differenti, questa categoria
sociale è individuata nella figura degli intellettuali. La differenza di base sta
nel considerare gli intellettuali non come fautori della sintesi dinamica, ma
quella classe in grado d’individuare i fondamenti e le ragioni, sempre più
nascoste, dell’opposizione nella società industriale avanzata ponendosi dalla
parte degli oppressi. La differenza tra le due impostazioni ha natura
concettuale. Per Mannheim il problema dell’ideologia e la “critica” era più
culturale, legato alla realtà storico sociale. Per la Scuola di Francoforte la
critica deve avere valenza di opposizione, bisogna far leva sulle strutture
sociali. Da un lato, però, gli stessi autori negano questa possibilità perchè la
condizione sembra immodificabile, dall’altro bisogna riconoscere che la
critica di culturologia mossa nei confronti di Mannheim non è valida
perchè il suo tentativo era solo quello di chiarire la natura delle ideologie e
delle utopie al fine della lotta contro ogni dogmatismo. Non può essere
accusato di culturologia anche se non ha parlato di intervento al livello delle
strutture sociali.
Una nota su sociologia della conoscenza e linguaggio: Adam Shaff.
In breve questo autore mette in relazione la sociologia della conoscenza
mannheimiana e l’analisi del linguaggio. L’importanza di quest’ultimo
nasce dalle critiche nei confronti della sociologia della conoscenza di
Mannheim. Innanzitutto Shaff individua il tentativo di Mannheim di ricerca
della verità assoluta identificandola con verità oggettiva, quella che non si
può raggiungere a causa dell’ideologia. Prima critica che si può muovere a
questo autore è che Mannheim non è affatto fondata. In Ideologia e Utopia
Mannheim cerca di giungere a una verità che non si possa dire non vera
anche se è socialmente relata. Così, Shaff afferma che nell’interpretazione
di Mannheim tutto ciò che non è assoluto non è vero. Questo problema è
superato con la teoria della “relatività linguistica” , secondo cui il pensiero è
DESCRIZIONE APPUNTO
Riassunto per l'esame di Sociologia della conoscenza, basato su appunti personali e studio autonomo del testo consigliato dal docente Manuale sulla Sociologia della conoscenza del prof. Alberto Izzo con i seguenti argomenti trattati: definizione di sociologia della conoscenza, i precedenti, la teoria dell’ideologia nel pensiero di Marx e Engels, alla teoria dell’ideologia alla sociologia della conoscenza, le conseguenze epistemologiche e politiche della sociologia della conoscenza di Mannheim.
I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Exxodus di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Sociologia della conoscenza e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università La Sapienza - Uniroma1 o del prof Izzo Alberto.
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