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Una delle scuole di pensiero che equiparano esplicitamente comunicazione con comportamento è
la Scuola di Palo Alto. Secondo i suoi autori e studiosi, qualsiasi comportamento in una
situazione di interazione è comunicazione anche nei casi in cui si sforza di non farlo (come
sappiamo grazie al prezioso contributo di Watzlawick e dei sistemi comunicativi non verbali). Nella
comunicazione-interazione ci deve essere l’intenzione (con lo scopo di) e consapevolezza (mi
rendo conto che) per essere totalmente condiviso dai vari linguaggi del pianeta e codificato
correttamente. Dunque, ogni comunicazione ha un aspetto di contenuto e uno di relazione, di
modo che il secondo classifica il primo ed è quindi metacomunicazione.
La natura di una relazione dipende dalla punteggiatura delle sequenze di comunicazione tra gli
interlocutori. La Scuola di Palo Alto intende in questo caso una ‘punteggiatura’ peculiare, un flusso
ininterrotto di significati più o meno condivisi che è possibile suddividere in unità di messaggi che
sono anche stimoli che possono dare risposte (cause o effetti di essi). La loro punteggiatura è
come una percezione che si ha. Non è possibile comprendere un certo fenomeno senza
considerare il sistema comprensivo di ci è parte, proprio come sosteneva Goffman, per cui le
strategie degli individui negli incontri con i propri simili sono tese a cercare di controllare la
definizione di situazione circa ciò che sta accadendo. Le persone tendono ad agire in modi diversi
e tendenzialmente prevedibili, a seconda della loro posizione sociale e degli interlocutori con cui si
confrontano. In modo sociologico, le persone si definiscono o vengono definite all’interno di un
ruolo preciso o un sistema di norme e aspettative che li definiscono per gli altri e li pongono al
centro di una rete di interdipendenze (come nell’esempio del Pigmalione in classe).
La fenomenologia sociale accomuna le teorie di Goffman con l’interazionismo simbolico o
etnometodologia, ossia una ricerca che intende ricostruire la logica dei metodi pratici attraverso
cui le persone conferiscono senso alla realtà, poiché essa è continuamente conservata attraverso
le nostre azioni quotidiane (Garfinkel), nella prospettiva in cui la comunicazione è uno degli
strumenti principali a cui è affidata la costruzione sociale della realtà.
La comunicazione interpersonale (II cap.)
In linguistica si è soliti distinguere tra significante e significato e possiamo ‘dire’ che il primo è il
mezzo che usiamo per rappresentare il significato. Quando esiste una relazione di continuità tra i
due, il segno assume le caratteristiche di un indice; quando siamo in presenza di una relazione di
similitudine o analogia, allora si parla di icone; quando, infine, il loro rapporto è arbitrario e
convenzionale si parla di simboli (come la parola ‘cane’ che, nel nostro idioma, è il simbolo verbale
dell’animale). I simboli intesi in senso sociologico, sono entità che vengono socialmente costruite e
ricostruite in un mix variabile che è in parte convenzionalmente codificato e in parte creativo.
Da Sapir-Whorf è stata formalizzata l’ipotesi della relatività linguistica, per cui il rapporto tra
linguaggio e conoscenza, dove il primo determina la seconda, si afferma ne: “i parlanti di lingue
diverse sono orientati dalla loro lingua verso differenti tipi di osservazione e valutazioni di eventi
esterni simili: è di conseguenza che essi giungono a una differente visione del mondo”.
Dato che anche i pensieri formulati nella nostra testa sono espressi in una lingua, non possiamo
pensare cose per le quali non abbiamo parole a disposizione. Possiamo avere, inoltre, un gran
potere politico linguistico, se pensiamo che solo decidere di nominare le cose in un certo modo
rappresenta una forma di potere. Riassumendo i principi dell’idea che ‘dire’ è sempre anche ‘fare’,
formulata da Austin e Searle, la teoria degli atti linguistici. che ha bisogno di: vi sono atti locutori
che sono rappresentati dall’azione di pronunciare qualcosa; atti illocutori che costituiscono azioni di
pronunciare determinate parole che si concretizzano nel momento stesso in cui queste vengono
pronunciate (per l’appunto) come promesse, giuramenti e ordini; poi, atti perlocutori che
comprendono le conseguenze dell’atto nei confronti degli ascoltatori potendo trattarsi di
persuasione, spavento o intimidazione, etc.
La comunicazione tra culture.
La comunicazione interculturale (CI) studia la comunicazione face to face tra persone di differenti
culture nazionali, mentre la comunicazione cross-culturale (Ccc) compara i modelli comunicativi
di popolazioni differenti. Quest’ultima si distingue tra cultura collettivistiche e individualistiche,
misurandosi nelle dimensioni di: distanza rispetto al potere in cui vi è un’accettazione delle
disuguaglianze nella distribuzione del potere, mascolinità ce indica come si caratterizzano le
differenze di genere, l’evitamento dell’incertezza che dimostra quanto le società (in ricordo di
Popper) accettino l’ineluttabilità degli eventi e l’orientamento al futuro che distingue tra breve e
lungo termine.
Un’altra differenza tra culture è quella tra alto contesto (AC) in cui si indicano culture che
intrattengono relazioni costanti da lungo tempo e che, quindi, possono ridurre la verbalizzazione e
lasciare che molti dei significati siano impliciti e, basso contesto (BC) in cui le persone che
intrattengono relazioni di breve durata devono esplicitare con maggiore chiarezza i propri
significati. Si ha dunque una competenza comunicativa quando si è capaci di interagire con
efficacia anche con persone di estrazione e cultura differente rispetto alla nostra. Oltretutto è in
questo mondo che la nostra mente si rende più competente in situazione di incertezza. La CI si
occupa propriamente di tutte quelle vicende che possono turbare l’ordine dell’interazione, la
miscommunication o fraintendimento – malinteso.
Per questo tema è utile approfondire con due approcci metodici. Il primo, il modello dinamico di
sensibilità interculturale elaborato da M. J. Bennett secondo cui le competenze interculturali si
acquisiscono nel tempo e in funzione dell’esposizione individuale ad esperienze di alterità
culturale. Dunque, ognuno di noi può passare da fasi di etnocentrismo in cui nega il
riconoscimento degli altri e teme la differenza denigrandola e sostenendole superiorità (difesa) e
giunge poi a pensare che esse non siano così rilevanti (minimizzazione). Si arriva alle fasi
etnorelative quando si superano le differenze e si riconoscono (accettazione), quando si vedono
con empatia e vicinanza (adattamento) e quando si interiorizzano come un elemento della propria
costruzione identitaria (integrazione).
Il secondo modello è di Gudykunst, l’Anxiety – Uncertainty Managementent secondo cui
l’incertezza è il processo cognitivo che caratterizza il nostro rapporto con gli ‘stranieri’. La nostra
incertezza si traduce nello stato emotivo dell’ansia che non ci consente, a nostra volta, di
comunicare. Pertanto, è solo attraverso la consapevolezza che potremo ridurre questi margini di
ansietà addestrando la nostra mente, rendendosi conto della natura contestuale (e non
frammentaria) delle relazioni e aprendoci ad una nuova prospettiva di lettura.
La comunicazione di massa (III cap.) – mezzi di comunicazione di massa, mass media.
1456 Gutenberg, grande rivoluzione della stampa.
In Socrate, Fedro e la scrittura si legger: “quando Theuth venne alla scrittura disse che la
conoscenza avrebbe reso gli Egizi più sapienti e capaci di ricordare, poiché era stata inventata
proprio come rimedio e come medicina alla memoria. Le immagini come le parole scritte hanno tra
loro qualcosa che le accomuna: non rispondono se poni loro delle domande, anche se sembra
abbiano il potere di pensare.
Il discorso orale è costruito in modo paratattico, con frasi brevi e coordinate tra loro, mentre il
discorso scritto si dice essere ipotattico, perché ha diverse proposizioni subordinate e una
principale che consentono espressioni articolate e più complesse.
Il libro manoscritto che costituisce un’opera unica essendo un oggetto quasi sacro è diverso da un
libro stampato ripetibile e di consumo. Inizialmente si riprodussero libri tecnici, poi si cominciarono
a tradurre e stampare in più lingue volgari nascendo così letterature nazionali. Accanto al concetto
di autore (coloro che scrivevano erano pochi) si affiancò quello della proprietà privata (copyright) o
intellettuale che punisce chi copiando un libro ne abusi. Benché si usi far risalire i primi notiziari
all’antica Roma, il primo periodico nasce a Venezia nel Cinquecento, a cui seguirono
comunicazioni di idee e programmi politici, come un’arena (che le nuove tecnologie definirebbero
‘forum’) di aree di discussione.
Sarà alla fine del Settecento che si potrà iniziare a parlare di ‘sistema dei media’ che rappresenta
l’atto di nascita dell’opinione pubblica (Habermas, cit.), per cui la nozione è che sia un luogo
intermedio tra società civile e stato da cui partono gli stati occidentali.
Uno degli sconvolgimenti cinquecentisti che si perpetuò più a lungo nel tempo (circa quattro secoli)
fu l’Indice dei libri proibiti veneziano dov’era istituita l’Inquisizione. La censura non era mosso solo
per motivi religiosi ma anche politici e morali sulle basi prefissate dalla Congregazione.
Fu nel 1884 che nella conferenza internazionale sui meridiani indetta a Washington, si suddivise il
pianeta in ventiquattro fusi orari e Thompson definì questo l’esperienza come una simultaneità de
spazializzata, ovvero del verificarsi nello stesso istante di più eventi. Con lo sganciamento dello
spazio e del tempo, l’esperienza della contemporaneità si era separato tanto che il senso del
momento comune non era più legato ad alcun luogo particolare.
E’ con gli spazi pubblicitari che le emittenti radiofoniche si sviluppano rappresentando, oltre quelle
primarie e passate, nel periodo bellico del primo novecento il primo mass medium.
Dall’innovazione al controllo: si passa alla televisione. Il controllo sui grandi mezzi di
comunicazione garantisce quello sulle opinioni e i comportamenti nel quotidiano delle masse.
Con il periodo bellico nascono le prime strategie di propaganda e l’uso massiccio dei media nei
governi totalitari, presentandosi alcune prospettive teoriche interessanti quali quella dell’ago
ipodermico secondo cui mezzi come la radio, stampa e cinema diventassero potenti strumenti in
grado di &lsqu