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La teoria di Taylor sulla divisione del lavoro e la gestione delle attività

La teoria di Taylor si basa sulla divisione del lavoro e sulla ricerca del modo migliore per ottenere la massima produttività. Per fare ciò, Taylor propone una serie di fasi:

  1. Selezione e analisi delle azioni dei migliori operai
  2. Cronometraggio delle azioni per registrare il modo di agire
  3. Eliminazione delle azioni ridondanti o inutili
  4. Razionalizzazione delle azioni utili
  5. Distribuzione dei compiti con precisione e specializzazione

Questo approccio, chiamato task management, si concentra sulla gestione delle singole attività e dei processi produttivi. La collaborazione tra manodopera e dirigenza è fondamentale per ottenere i migliori risultati.

L'operaio deve anche essere premiato se riesce a compiere il lavoro come previsto. Si pensa alla soddisfazione di dirigenti e operai. Nell'organizzazione ci si basa su:
  1. Principio di centralizzazione del comando nell'unità dirigenziale
  2. Gerarchia ben definita tra autorità di controllo e sottoposti
  3. Principio di eccezione: solo poche questioni che vanno dal basso verso l'alto possono passare il filtro della gerarchia
I PROBLEMI rientrano soprattutto nell'alienazione dell'operaio che va in crisi nel momento in cui deve compiere lo stesso gesto migliaia di volte senza pensare ad altro. Si parla di isteria da catena di montaggio. Pensare a Charlie Chaplin in Tempi Moderni! L'operaio diventa isolato e ANOMICO (senza nomos, senza leggi: l'unica legge è quella della catena di montaggio). 1.2: La scuola della HUMAN RELATION (Mayo: USA, anni '30) Mayo riconosce i limiti del modello taylorista: non basta la retribuzione e la

Condizione di lavoro a far funzionare l'operaio. C'è bisogno di rapporti sociali sul lavoro e integrazione del singolo nel gruppo, e si pensa al livello di soddisfazione che l'uomo deve raggiungere con il lavoro. Mayo compie anche alcuni esperimenti per capire l'incidenza di elementi esterni quali illuminazione dell'ambiente di lavoro, le pause, pasti, orari. Notando che in due gruppi di lavoro, uno sperimentale e uno di riferimento, la produttività aumentava comunque, si capì che era il gruppo a favorire la produttività, i rapporti che si creavano! La coscienza di gruppo teneva alto il morale!

Conclusioni:

  1. La produttività è si legata alle condizioni fisiche, ma non prescinde dalla natura sociale (es: la collaborazione)
  2. Gli incentivi sono importanti per la produttività, ma non solo quelli economici
  3. Assegnare i compiti solo in base alla specializzazione e alla divisione del lavoro è riduttivo
  4. I gruppi

Fanno nascere delle dinamiche spontanee che vanno considerate 11.3 L'approccio sistemico di Weber (anni 20)Si parla di approccio sistemico perché non si pensa all'individuo, ma al SISTEMA di individui. Weber non affronta direttamente i problemi organizzativi come Taylor e Mayo. Weber individua i principi dell'AGIRE SOCIALE, isolandoli in quattro atteggiamenti:

  1. Razionale rispetto allo scopo (finalista-pragmatico)
  2. Razionale rispetto al valore (lo scopo è importante in quanto valore)
  3. Affettivo (determinato dallo stato d'animo)
  4. Tradizionale (derivato da agire tramandato o da abitudini)

L'agire sociale è FONDAMENTALE. Si ricorda anche Tonnies, che parla di due modelli di società: quella del villaggio (GHEMEINSCIAFT... non mi ricordo come si scrive, agire affettivo comunque) e della città industrializzata dove l'uomo è anomico e specializzato (GHESELLSCIAFT... agire razionale) questa roba non c'è

ma si ricorda dateorie&tecniche e un po' da sociologia. Weber parla poi dei tipi di potere:
  1. Tradizionale (per esempio la monarchia ereditaria: pericolosa perché non è meritata!)
  2. Carismatico (si osanna un capo carismatico... Mussolini, Che Guevara, il Fidel Castro dei tempi andati)
  3. Legale o razionale (molto burocratico, gerarchico): implica anche una comunicazione però, eh! È razionale perché si basa su scelte ben precise e su qualifiche per competenza.
Per Weber il modello migliore è quello burocratico, fatto di norme razionali (ricordare però l'Autunno del Leviatano, secondo Corsale non c'è una vera razionalizzazione formale del diritto a causa dei troppi passaggi). X Weber è il migliore perché permette di scendere in dettaglio nelle necessità, di garantire l'uguaglianza rispetto alle leggi. Ci sono dei limiti, riconosciuti da Merton (era quello della macrosociologia e dellateoria di medio raggio -> studio sul suicidio): il ritualismo che porta all’anomia, la santificazione della professione, l’aspetto delicato e i punti critici dellaburocrazia, il circolo vizioso. Parsons (funzionalista) parlerà di questi limiti perché ci sono elementi informali come ilcomportamento individuale e lo spirito di gruppo che influenzano.

1.4 McLuhan: il medium è il messaggio

L’affermazione è provocatoria e paradossale ma rende l’idea di quanto sia importante il MEZZO di comunicazione, oltre al contenuto. Il mezzo è alla base della socializzazione e della comunicazione di massa grazie alle nuove tecnologie. Si può anche citare Derrick, che bello! Per esempio nella televisione il messaggio può essere minimizzato dall’esperienza sensoriale (visiva e acustica). McLuhan distingue tra media freddi e media caldi.

Freddi: telefono e televisione (richiedono un alto grado di partecipazione del pubblico e

sviluppano i canali percettivi)

Caldi: radio e cinema (un solo senso ad alta definizione). ML fa l'esempio della luce elettrica: per lui è un medium senza messaggio che influenza la società!

1.5 L'immaginario e la merce (Morin, anni 60)

Morin pone l'accento su come nella cultura di massa l'immaginario sia importante almeno quanto il reale. L'immaginario parte dalla proiezione di se stessi e dal superamento nella sfera del pensiero di tutti i limiti, dal soddisfacimento dei desideri, creando nuovi mondi (come Goodman!). L'immaginario è quindi una guida verso la soddisfazione di istinti e bisogni, costruendo "miti" da cercare nel tempo libero (loisir) come ad esempio l'amore e la felicità. Nei media la cultura di massa "orienta" verso questi miti: ad esempio gli attori e i divi incarnano l'ideale di "felicità" e quindi creano un modello.

Come si colloca l'immaginario nel

mondo del lavoro? Con la specializzazione il lavoratore è svuotato (lavoro inbriciole), ma nel loisir trova sfogo la necessità di creatività, accentuando la vita privata. C'è quindi un dualismo: l'anomia è sul lavoro, ma viene scacciata nel tempo libero, contribuendo comunque a migliorare la condizione del lavoratore. La cultura di massa fornisce quindi dei modelli per soddisfare l'immaginario fuori dal lavoro. Occhio che la cultura di massa può essere anche solo un prodotto di consumo. Un esempio: la moda. La pubblicità pone l'accento su contenuti erotici/esogeni, che incontrano la pulsione sessuale. Inizialmente è dedicata alle elite, ma poi discende verso il popolo femminile, che è spinta a seguire l'immaginario dalla voglia di mutamento, dalla stanchezza del già visto, il desiderio di originalità. Paradossalmente poi appena il desiderio si diffonde però diventa standard.

Una volta raggiunto lo standard, il processo inizia da capo. Per questo la moda è in continua rivoluzione. Sociologia della pubblicità. La p. nasce dal tentativo di far incontrare consumatore e produttore. La p. deve confondere l'informazione e far nascere l'incitamento all'acquisto (dialettica 1), e integrarsi nel gioco di ripetizione-innovazione (dialettica 2). Ripetizione e innovazione devono essere finalizzati all'incitamento! La ripetizione moltiplica l'informazione tra i diversi canali. Deve contenere l'innovazione solo nella società in cui il nuovo è un mito/valore. Quando serve deve poter portare innovazione anche dove non c'è (pensare a saponi e dentifrici). Fondamentale quindi è la ricerca dell'incitamento. Morin pone anche l'accento sulla marca: non è solo un nome ma una firma che porta a sua volta contenuti, appellandosi a volte a sentimenti o spettri infantili. Per eccitare il

libidinalefondamentale l'apparenza con l'elemento estetico ma anche la qualità o la desiderabilità erotica. L'eros è un elementofortissimo per risvegliare il desiderio, finché però non incappa in censura o non suscita sofferenza per esempio nelmaschio, causando quindi insoddisfazione.

1.6 La persuasione occulta (Packard, anni 50)

Il suo è un pensiero-denuncia: pericolo delle conseguenze della socializzazione (intesa come manipolazione) a mezzopubblicitario. La pubblicità influenza paurosamente il modo di vivere, il cliente è narcisista, attratto da se stesso, ecompra non perché vuole i prodotti, ma perché vede una proiezione di se stesso (per esempio la donna compra il vestitoperché proietta se stessa nella bellezza della modella che lo indossa nella pubblicità. È una tesi che negli anni 70 vienecontestata, ma ci sono ancora sostenitori. La lotta più valida contro il

Il dominio dell'inconscio del consumatore è la conoscenza e la consapevolezza del proprio comportamento e quindi del proprio acquisto. Packard dice che non appena viene identificato un bisogno, questo viene exploitato, sfruttato mostrando al pubblico che l'acquisto del prodotto è il mezzo per soddisfarlo.

Ci sono otto bisogni segreti:

  1. La sicurezza emotiva: si ricerca la stabilità, le certezze, la tranquillità. Caso emblematico: il frigorifero nel dopoguerra era antieconomico: costava molto, consumava, ed era più il cibo da buttare dimenticato nel frigo che quello consumato. Però le famiglie lo compravano lo stesso come elemento rassicurante "in casa c'è del cibo, simbolo di stabilità e sicurezza (la fonte primaria del cibo è la madre!)"
  2. Stima e considerazione: puntare sull'autostima e sulla considerazione di sé. Caso emblematico: il sapone e i detersivi. Il mercato era in crisi perché la
pubblicità era sbagliata: ignora che le donne usano questi prodotti passivamente senza trarne beneficio. Puntando invece il dito verso la nobiltà dei lavori domestici si fidelizza la cliente che è orgogliosa di quel sapone che le dà autostima per
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Publisher
A.A. 2011-2012
13 pagine
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SSD Scienze politiche e sociali SPS/08 Sociologia dei processi culturali e comunicativi

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher trick-master di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Sociologia della comunicazione d'impresa e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Pisa o del prof Volpi Alessandro.