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PARTE TERZA: LA FAMIGLIA - Attribuzione del cognome. Profili comparatistici

Il cognome è il principale segno distintivo di una persona e per questo motivo rientra nella schiera dei diritti costituzionalmente garantiti. Tale garanzia costituzionale dovrebbe essere data sia al cognome della madre che a quello del padre. Ma in mancanza di una precisa normativa si usa tradizionalmente solo il cognome paterno. Soccorre tale tradizione la norma n. 237 del Codice Civile che, annoverando tra gli elementi costitutivi del possesso di Stato la circostanza che "la persona abbia portato il cognome del padre che essa pretende di avere" avvalora con il tempo l'uso del patronimico. A livello europeo si sta cercando in maniera pressoché uniforme qualsiasi discriminazione in campo sessuale e non solo tramite moglie e marito. Fonte ispiratrice di questa nuova tendenza sono la Convenzione di New York del 18.09.1979, ratificata in Italia con la legge n. 132/85 sia sul versante europeo attraverso.

La risoluzione del Consiglio d'Europa Parlamento n° 37/78 e le raccomandazioni dell'Assemblea europea n. 1271/95 e n. 1362/98 in cui si afferma che il mantenere di previsioni discriminatorie tra uomo e donna riguardo al nome della famiglia viola il principio di eguaglianza.

In Francia la nuova normativa in vigore dal 01/01/05 consente ai genitori di attribuire al proprio figlio "sia il cognome paterno che quello materno, sia i loro due cognomi posti nell'ordine scelto da loro nel limite di un cognome per ciascuno". In caso di disaccordo, il figlio assume il cognome del genitore nei cui riguardi la filiazione sia stata stabilita per prima ed il cognome di entrambi se la filiazione sia stata stabilita simultaneamente nei loro riguardi.

Qualora i genitori portino un doppio cognome, essi possono, con dichiarazione scritta congiunta, trasmetterne uno soltanto. In caso di nascita all'estero di un figlio di cui almeno un genitore sia francese, i genitori che non abbiano usufruito

della facoltà di scelta del cognome alle condizioni di cui sopra possono effettuare la dichiarazione al momento della trascrizione dell'atto, entro i tre anni dalla nascita del figlio. Il cognome attribuito al primo figlio con le suddette modalità (ex code civil) art. 311-21 si estende obbligatoriamente a tutti i figli comuni. Dal tenore delle predette disposizioni, si evince che, rispetto alla questione del cognome la completa parificazione tra figli legittimi e figli naturali è stata pienamente realizzata almeno per coloro che siano riconosciuti da entrambi i genitori. Diversa è, infatti, la situazione in caso di riconoscimento code civiltardivo da parte di uno dei genitori. Per l'art. 311-22 – nella sua attuale formulazione (l. 4 marzo 2002, n. 304 e ord. 4 luglio 2005, n. 759) – nel caso in cui "la filiazione al momento della dichiarazione di nascita sia stabilita nei confronti di un solo genitore", il bambino prende il cognome di

questi soltanto. Tuttaviase il legame di filiazione viene accertato nei confronti dell'altrodurante la minore età del figlio, i genitori possono chiedere, condichiarazione congiunta all'ufficiale di stato civile, di sostituire o diaggiungere (nell'ordine scelto dai medesimi e nel limite di un solonome ciascuno) il cognome del secondo genitore.

Per i nati prima dell'entrata in vigore delle indicate riforme,l'art. 334-1 prevedeva che il cambiamento del cognome al figlionaturale potesse essere richiesto all'ufficiale di stato civile perdomanda congiunta dei genitori, oppure al giudice degli affarifamiliari (JAF) su domanda di uno dei due genitori.

Se invece vi è accordo tra i genitori, a garanzia dell'interessecode civildel minore, l'art. 311-23 prevede attualmente che qualora ilfiglio abbia compiuto tredici anni, per il cambiamento del cognome èsempre necessario il suo consenso.

Resta ancora applicabile ai figli nati

prima dell'entrata in vigore delle leggi citate, la disposizione dell'art. 334-3 che consentiva al figlio naturale, entro due anni dal compimento della maggiore età, di chiedere la sostituzione del cognome di uno dei genitori con quello dell'altro attribuitogli secondo l'ordine del riconoscimento. Ciò che desta maggiore interesse è, tuttavia, la disposizione secondo cui il cambiamento del cognome ha pieno effetto nei confronti dei figli del beneficiario che abbiano meno di tredici anni. Diversamente, l'art. 61-3 stabilisce che "per qualsiasi cambiamento del cognome del minore ultratredicenne, è necessario il suo consenso qualora tale cambiamento non risulti dalla statuizione o dal mutamento del rapporto di filiazione". D'altro canto, però, queste stesse circostanze, non comportano il mutamento del cognome dei figli maggiori, salvo il loro consenso. Sembrerebbe, dunque, che il cambiamento del cognome, in

Seguito ad un'azione di contestazione di stato, sia automatica, salvo che per i maggiorenni. code civil, Se la filiazione è adottiva, l'art. 363 nell'attuale formulazione, per l'adozione semplice conferisce il cognome che dell'adottante all'adottato, in aggiunta al cognome di quest'ultimo; nel caso in cui adottante ed adottato, o uno soltanto dei due, abbiano doppio cognome, il cognome da attribuire all'adottato risulta dall'aggiunta del nome dell'adottante al suo proprio cognome, nei limiti di un solo cognome per ciascuno dei due. La scelta appartiene all'adottante, che tuttavia dovrà ottenere il consenso dell'adottato qualora questi abbia compiuto i tredici anni; in caso di disaccordo o in mancanza di scelta, il primo cognome dell'adottante si aggiunge al primo cognome dell'adottato. code civil, Se adottano entrambi i coniugi, per l'art. 363 il cognome da aggiungere a quello dell'adottato.

può essere sia quello del marito che quello della moglie, nel limite di un cognome soltanto; in difetto di accordo prevale il primo cognome del marito. Il ritorno alla tradizionale prevalenza del patronimico si giustifica, per i redattori della riforma, nell'esigenza di certezza delle situazioni giuridiche e di stabilità del nome. La disciplina più recente abroga altresì l'art. 334-5, introdotto dalla legge del 2002: la norma rendeva possibile attribuire il cognome del marito al figlio nato da un precedente matrimonio – ovviamente, con persona diversa – sciolto o annullato. Una simile disposizione è apparsa pregiudizievole sia per il rischio di un successivo, ulteriore divorzio; sia per il timore di agevolare pratiche illecite di sostituzione della maternità. Infine, per il coniuge il cui cognome non è stato scelto come nom de famille, il legislatore francese predispone una petite solution: egli potrà aggiungere o

Anteporre al proprio il cognome à titre d'usage dell'altro, ma solamente EhereformG In Germania, già dalla del 1976, il § 1355 BGB imponeva ai coniugi di scegliere tra i loro cognomi – indicandolo al momento della celebrazione all'ufficiale di stato civile – quello destinato ad essere il nome familiare comune. In mancanza di accordo, era prevista la prevalenza del cognome paterno per i figli comuni, mentre ai coniugi veniva lasciata la possibilità di aggiungere o di posporre al cognome comune quello proprio di nascita.

In Spagna, l'art. 109 c.c., nella sua attuale formulazione, stabilisce che i genitori possono decidere, di comune accordo, l'ordine dei cognomi dei figli (tra i rispettivi primi cognomi) in assoluta equiparazione dei sessi. In mancanza di esercizio di tale opzione si applica la disciplina della legge generale.

Código Civil L'articolo 108 del pone, inoltre, l'equiparazione a tutti gli effetti della

«filiazione matrimoniale» alla filiazione fuori dal matrimonio e all’adozione. Common Law, Infine relativamente all’area di in Gran Bretagna, vige la regola dell’attribuzione di un solo cognome scelto fra quello materno e paterno. Tuttavia, in generale, nei Paesi Anglosassoni, il problema della scelta del cognome viene affrontato con estrema elasticità sia in sede giudiziale che in sede amministrativa ed è riconosciuta un’ampia libertà a ciascun individuo di modificare il proprio cognome, una volta raggiunta la maggiore età, purché non si rechi pregiudizio a terzi.

Forma, autonomia privata e negozio giuridico L’approccio all’art. 1350 c.c. può avvenire almeno in due modi distinti. Da un lato, infatti, non si può ignorare che la disposizione apre e, in un certo senso “segna” la sezione IV del capo II del titolo III, “Dei contratti in generale”, dedicata alla forma del contratto.

In altre parole, è difficile sottrarsi alla tentazione, che, in realtà, corrisponde ad un percorso obbligato, di ricollegare l'esegesi della norma a ciò che è "dietro" di essa, sul piano della visione storica dello strumento contrattuale, del dibattito dottrinale sulla "forma della manifestazione di volontà" e, in ultima analisi, sul ruolo stesso dell'autonomia privata in sé considerata.

Apertis verbis, si tratta di prendere in considerazione la disciplina degli "atti che devono farsi per iscritto", avendo, altresì, l'attenzione rivolta ai quesiti di fondo sulla forma del contratto, sulla natura della norma, sulla sua portata e sull'eventuale sua estensione a fattispecie "affini".

Sotto questo profilo occorre muovere dalla valenza sistemica dell'art. 1350 all'interno dell'elaborazione più risalente e complessiva sul c.d. principio di libertà.

Dal punto di vista storico il termine "forma" ha assunto via via significati diversi. È appena il caso di ricordare che gli ordinamenti più antichi erano contraddistinti da un accentuato formalismo, laddove la formula veniva a coincidere con l'elevazione al rango del giuridico e, di poi, garantiva la realizzazione degli effetti stabiliti per legge. È soltanto con la Pandettistica che si consumò il "divorzio" tra la forma e la volontà, nel senso che la prima venne relegata al ruolo di veicolo della seconda, vero elemento fondante della teorica del negozio giuridico. D'altro canto, è
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A.A. 2005-2006
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SSD Scienze giuridiche IUS/02 Diritto privato comparato

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