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IL RUOLO DELLE STRUTTURE REQUIRENTI
Definiamo strutture requirenti quell'insieme di uffici che presidiano l'accesso alla giustizia penale.
Prima cosa da fare è cercare di comprendere quale sia la funzione del PM: egli è l'attore (in senso
tecnico) al quale compete l'iniziativa penale; è l'attore cioè che, a seconda dei contesti, ha l'obbligo
o la facoltà di avviare l'azione, controllando gli strumenti di impulso processuale. Attore in senso
tecnico che, con poche differenze, in tutti i sistemi è chiamato a rappresentare l'interesse collettivo,
a prevenire e soprattutto a reprimere comportamenti lesivi della libertà, dei diritti, degli interessi, e
dunque della sicurezza in senso lato. Il PM viene definito tale perché rappresenta lo Stato, non lo
Stato persona ma lo Stato come collettività. Quindi è un attore in senso tecnico, chiamato a
rappresentare l'interesse della collettività intera, e spesso designato (soprattutto nella tradizione
europea) come un attore imparziale di giustizia. Qui occorre fare attenzione perché l'imparzialità di
cui parliamo è diversa rispetto a quella che abbiamo riferito al giudice: qui è sinonimo di
applicazione della legge senza faziosità, senza discriminazione di sorta, onde far sì che quella legge
sia egualmente applicata nei confronti di tutti i cittadini. È un'imparzialità che non ha nulla a che
vedere con quella che abbiamo attribuito al giudice, terzo super partes chiamato a decidere
nell'ambito di una triade, triade che nell'ambito penale vede come una delle parti in giudizio il
Pubblico Ministero.
Per capire meglio questo ruolo, dobbiamo ricordare che a qualsiasi latitudine il processo penale si
presenta più o meno scandito in tre fasi che avremo denominazioni diverse a seconda dei contesti: il
primo di questi segmenti è quello che da noi in Italia si chiama “fase preliminare” del giudizio, il
secondo è “l'azione penale”, il terzo è la “fase dibattimentale” (che noi identifichiamo con il
processo vero e proprio).
La fase preliminare è quella che ha inizio con la notizia di reato, la quale porta ad effettuare una
serie di attività volte a raccogliere una serie di elementi di prova per appurare se un reato sia stato
scommesso e chi siano i possibili autori. L'iniziativa penale, sulla scorta delle attività svolte e delle
motivazioni raccolte nella fase preliminare, tratterà di decidere se aprire o meno un processo a
carico delle persone indagate. Terza fase, eventuale, sarà quella in cui una pubblica accusa si
confronta con un indagato diventato nel frattempo imputato.
Nella maggior parte dei paesi, la fase preliminare è diretta e supervisionata dal Pubblico Ministero:
saranno gli uffici di procura a ricevere e trattare le notizie di reato, avvalendosi dell'ausilio delle
forze dell'ordine; nella maggior parte dei paesi, ancora, il processo affida il ruolo dell'accusa allo
stesso Pubblico Ministero, che in quel momento diventa controparte della difesa. Egli può essere
presente nella fase preliminare, ma ci sono delle eccezioni; egli è spesso, quasi sempre, attore
necessario della fase dibattimentale, ma anche qui ci possono essere delle eccezioni; nella vastità
delle variazioni che possiamo incontrare su scala comparata, l'unico elemento davvero costante è il
ruolo del Pubblico Ministero nell'iniziativa penale. Questo è un elemento che non conosce
variazioni, è precisamente la funzione che contraddistingue questo ruolo e che stabilisce tutta la
distanza strutturale rispetto al giudice, quel giudice passivo che dipende pertanto, perché possa
pronunciarsi, dall'iniziativa del PM.
Ci sono contesti in cui gli uffici requirenti hanno un ruolo in ciascuna di queste fasi, e si vede così
quanto potere si addensi in queste strutture, ce ne sono altri (quello inglese) che preferiscono evitare
questa concentrazione di potere e togliere al PM il controllo della fase preliminare.
Questa è dunque la funzione che identifica il ruolo del PM, ed è questa che fa capire la funzione
rispetto alla giustizia penale: il giudice penale conoscerà e potrà decidere di casi sui quali gli uffici
requirenti abbiano esercitato un'iniziativa; il controllo sull'iniziativa penale comporta una funzione
di agenda setting rispetto al giudice. Qui si selezionano talvolta i casi che saranno portati alla
decisione del giudice.
Quell'iniziativa penale può essere diversamente regolata nei diversi contesti; abbiamo due diversi
ambiti di variazione: il primo è il principio di obbligatorietà dell'azione penale, che si contrappone
al principio di opportunità. Il principio di obbligatorietà è quello per cui una volta ricevuta la notizia
di reato, il PM e le forze dell'ordine DEVONO intraprendere le attività necessarie ad appurare
l'esistenza del reato ecc. Non è concessa, cioè, formalmente, alcuna discrezionalità. E se il PM
ritiene, al termine della fase preliminare, di avere sufficienti elementi che dimostrino che un reato
sia stato commesso, dovrà chiedere l'intervento del giudice affinché si applichi la legge penale.
Questo principio ha scarsissima diffusione nelle democrazie moderne: è riconosciuto in Italia
(Sancito anche a livello costituzionale), praticato in Germania limitatamente ai reati di maggiore
gravità, ma gli altri paesi si affidano al contrapposto principio di opportunità. Quest'ultimo,
esplicitamente, attribuisce al PM un potere discrezionale in forza del quale spetterà al PM decidere
se esercitare l'iniziativa o se desistere dall'azione penale, sulla base di criteri che in termini generali
sono indicati dalle leggi, ed in termini più specifici possono essere dettagliati in appositi manuali
riservati, onde evitare di rendere noto quali cause possano indurre la desistenza dell'azione penale.
Questo è il principio di gran lunga più diffuso. La contrapposizione è basata sulla discrezionalità,
che ha un corrispettivo in controlli, contrappesi; il potere discrezionale sarà cioè soggetto a forme di
responsabilità. Quali saranno queste forme di responsabilità? Se conferisco discrezionalità, do al
pubblico ministero il potere di scegliere dei casi e quella scelta, in tutti i sistemi che conoscono
questo principio, sarà regolata da criteri di priorità, stabiliti chiaramente dal sistema politico
(dall'esecutivo e dal Ministro della Giustizia). Quel potere discrezionale sarà dunque incanalato
entro una catena gerarchica. Da ultimo possiamo avere anche dei controlli giurisdizionali: sarà
anche il giudice a poter controllare l'operato del PM (esempio il GIP italiano, che dispone di poteri
di controllo sulle azioni degli uffici requirenti). Dunque discrezionalità bilanciata da controlli di
natura politica, endo organizzativa, giurisdizionale.
02-05
Abbiamo individuato tre momenti riconoscibili all'interno di qualsiasi procedimento penale: il PM
può avere e spesso ha un ruolo nella fase preliminare, può avere e spesso ha un ruolo nella fase
dibattimentale e nel processo vero e proprio, certamente ha sempre un ruolo nello snodo che collega
questi due segmenti, cioè l'iniziativa penale. Questa iniziativa penale è la funzione sempre associata
agli uffici e al ruolo del PM, è la costante in quanto identifica il PM stesso, ne definisce il ruolo
nell'intera economia processuale. È una funzione importante perché è anche quella che ci consente
di identificare nel PM il gate keaper del giudice penale, una funzione che è anche di agenda setting
perché è in quello snodo che si va a definire l'agenda del giudice, per definizione passivo,
dipendente perciò dall'iniziativa assunta da altri attori. Funzione di agenda setting da precisare: i
reati vengono commessi a prescindere dagli uffici requirenti, quindi è la società il vero attore di
agenda setter del giudice penale, ma è indubbio che la trattazione riservata alle notizie di reato
consenta al PM di modulare quella domanda di giustizia rivolta al giudice penale e quindi di
definire la sua agenda.
L'iniziativa, unico dato costante, è tuttavia soggetta a variazioni: può essere assoggettata o al
principio di obbligatorietà ovvero quello di opportunità; il discrimine si gioca sulla discrezionalità
riconosciuta o meno a questo attore. Una discrezionalità almeno formalmente disconosciuta nel
caso della obbligatorietà, e viene invece formalmente riconosciuta e attribuita nel caso
dell'opportunità. Molto più diffuso il secondo, circoscritto invece il primo, diffuso soprattutto in
Italia e Germania (limitatamente ai reati di maggior gravità): qui viene dunque riconosciuta una
discrezionalità al PM controbilanciata però da controlli di natura gerarchica-organizzativa (la
struttura degli uffici), di natura politica (quasi sempre il ministro della giustizia ha un ruolo
significativo), giurisdizionale (endoprocessuali).
Questo discrimine, che si basa sul riconoscimento o meno di un potere discrezionale del pubblico
ministero è importante sul piano dei principi perché ci dice qualcosa sul modo in cui lo stato
disegna la funzione della pubblica accusa, ma questa differenza risulta molto più sfumata ed
attenuata quando dal piano dei principi scendiamo a livello operativo, ed a come quei principi si
traducano in pratica. Obbligatorietà e opportunità sembrano irriducibili, ma quando osserviamo il
PM in azione ci rendiamo conto che queste differenze scemino: ciò, a dire che la discrezionalità
riconosciuta o meno è presente comunque, in quanto inevitabile. È inevitabile ma non sarà sempre
uguale a se stessa in ogni contesto: ci sono elementi che entrano in gioco nel dilatarla o nel
comprimerla. Quali sono questi elementi che entrano in gioco nell'attribuire maggiore o minore
discrezionalità? Che cosa il ricercatore va a guardare se vuole capire la configurazione non solo
dell'ufficio ma anche delle politiche penali che scaturiscono da quell'ufficio? Andrà a vedere le
normative penali (sappiamo che la legge va interpretata e quindi la discrezionalità è inevitabile, ma
quella normativa penale può avere nei diversi contesti una maggiore o minore qualità sistematica,
una maggiore o minore coerenza), la struttura organizzativa degli uffici (è una struttura compatta e
accentrata? O per contro è una struttura molto articolata sul territorio e frammentata? C'è una catena
gerarchica funzionante o questa, benché prevista, è allentata?). Tutto q