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IGT.
La L.164/1992 fa intervenire l’Italia con una sua ulteriore legislazione, in un contesto questa volta completamente
differente da quello precedente, il vino è diventato nel frattempo un bene di consumo voluttuario o quasi. La legge
istituisce le DOC (Denominazione di Origine Controllata), ovvero la possibilità per alcuni produttori di fregiarsi di
questa etichetta legando la zona di origine agli attributi qualitativi del vino. Il livello superiore è la DOCG
(Denominazione di Origine Controllata e Garantita), questo ulteriore appellativo vuole premiare vini che si sono
distinti per la loro eccellenza da almeno 5 anni da quando hanno ottenuto la DOC, si tratta di un riconoscimento
attribuito dal mercato. Il regolamento CE 816/70 aveva istituito l’IGT (Indicazione Geografica Tipica), la quale è stata
successivamente adottata dalla legislazione italiana, si utilizza per denominare vini che non possiedono le
caratteristiche per una DOC poiché risulta meno restrittiva.
Per quanto riguarda gli altri prodotti agroalimentari sono stati emanati due regolamenti CE 2081/92 e 2082/92, con
questi le denominazioni di origine sono estese anche ad altri prodotti differenti dal vino, in modo da valorizzarne le
produzioni, proteggerle a livello commerciale e come mezzo per veicolare informazioni ai consumatori sottoforma di
marchio. Le denominazioni istituite sono essenzialmente 3:
❖ DOP, Denominazione di Origine Protetta: indica che tutte le fasi di produzione sono eseguite nello stesso luogo
geografico, ovvero produzione, trasformazione e confezionamento;
❖ IGP, Indicazione Geografica Protetta: indica che almeno una fase della produzione è svolta nell’ambiente
individuato dalla denominazione;
❖ STG, Specialità Tradizionale Garantita: indica un insieme di produzioni alimentari di cui è garantita la
composizione e il metodo di produzione, è impiegata su prodotti tradizionali come ad esempio la pizza
napoletana.
Il Mipaaf nel 2003 è intervenuto istituendo un ulteriore riconoscimento di specificità, con lo scopo di valorizzare i
prodotti DOP e IGP prodotti in zone montane come “prodotto della montagna”.
I prodotti interessati dai regolamenti 2081/92 e 2082/92 riguardano carni fresche e preparate, formaggi, altri
prodotti di origine animale, grassi, ortofrutticoli, prodotti della pesca, birra, bevande estratti da piante, prodotti da
forno, altro… Si tratta di un ampio spettro, in cui sono inclusi anche gomme, oli essenziali, fieno, sughero, cocciniglia.
La regolamentazione dell’istituto di denominazione di origine europea è piuttosto complessa. Le DO sono
riconosciute in condizioni particolari, con un processo piuttosto lungo. Con il reg CE 535/97, è stato riconosciuto il
fatto che nel tempo trascorso dalla presentazione della domanda all’effettivo conferimento della DO si può istituire
un regime transitorio se lo stato membro fornisce un primo assenso di validità. Con il reg. 692/03 anche piante
ornamentali e paste possono essere insignite di DO, vengono escluse le acque minerali e vengono istituite regole di
protezione oltre i confini dell’UE (reciprocità). Il reg 1783/03 ha stabilito incentivi economici agli agricoltori che
partecipano a programmi di miglioramento della qualità in regime di denominazione.
Il DL 173/98 regolamentato dal DM 350/99, non soddisfatto del regime delle DO proposto dall’UE, ha aggiunto la
denominazione di prodotti tradizionali, che affianca il regime delle DO. Possono fregiarsi prodotti trasformati che
possono dimostrare di essere in essere da almeno 25 anni, garantendo metodiche di lavorazione, conservazioni e
stagionatura consolidate che possano garantire un ulteriore fregio di qualità.
La procedura di riconoscimento deve essere inoltrata come domanda al Mipaaf e localmente presso le regioni,
fornendo un disciplinare di produzione e una relazione storica ed economica. Il primo livello di riconoscimento è
quindi quello regionale: le regioni avvallano la domanda una volta riconosciuta la presenza dei requisiti. Superata la
prima fase e accertata la legittimità del soggetto a livello ministeriale viene indetta una pubblica audizione alla
presenza di enti pubblici e organizzazioni professionali di categoria per presentare il disciplinare di produzione. La
proposta di disciplinare è successivamente pubblicata sulla gazzetta ufficiale, da qui i produttori, nell’attesa del
responso EU possono iniziare a difendere il proprio prodotto sul mercato. La richiesta è notificata dal ministero alla
commissione UE, che ne esamina i contenuti entro 6 mesi, con la possibilità di proroga per ulteriori chiarimenti.
Accettata la richiesta essa è pubblicata sulla gazzetta ufficiale, e, se entro 6 mesi non vengono sollevate opposizioni,
si passa all’iscrizione al registro comunitario. Il registro comunitario racchiude tutte le DO dell’unione.
Esempio consorzio Pere DOP:
Le pere autunnali-invernali, se non sono preventivamente sottoposte ad un periodo di conservazione a freddo
successivamente non matureranno in maniera adeguata, le pere destinate alla commercializzazione primaverile
devono anche essere conservate in atmosfera conservata. Un controllo da parte dell’assessorato necessario è
eseguito, i pereti idonei sono inseriti in un albo ove appaiono le aziende autorizzate a fregiare il prodotto della DO.
Annualmente il consorzio è obbligato ad indicare le produzioni stimate, così che si possa controllare la quantità
immessa sul mercato, evitando che partite estranee vengano messe in commercio con la DO in oggetto. È poi
elencato minuziosamente un elenco delle caratteristiche minime necessarie e per il confezionamento. Molto
importante al fine della determinazione delle caratteristiche è l’impiego delle tecniche di analisi sensoriale.
Punti critici dei disciplinari di produzione
❖ Delimitazione della zona di produzione: dimostrare che i frutti prodotti all’interno della stessa siano migliori o
differiscano dagli altri;
❖ Individuazione e descrizione delle cv autorizzate: per inserire nuove cv è necessario ripetere la trafila regione,
ministero, UE per ottenere la certificazione;
❖ Parametri colturali: stretta regolamentazione delle tecniche impiegabili ai fini di mantenere qualità del
prodotto, produzioni tollerate molto elevate possono indurre i coltivatori a spingere con acqua ed azoto con il
rischio che il prodotto non soddisfi i parametri di qualità;
❖ Parametri quali-quantitativi della produzione: è difficile identificare dei parametri che distinguano la
produzione da quella delle altre zone.
Punti critici delle denominazioni di origine
I disciplinari dovrebbero essere flessibili da un lato, ma comunque garantire dei requisiti minimi in termini di qualità,
questo è un punto di debolezza, un disciplinare molto rigido può danneggiare i produttori del consorzio, siccome la
modificazione dello stesso prevede un iter lungo che può comportare un danno economico al produttore. I controlli
sono carenti, talvolta sono demandati alla regione, o spesso sono demandati ad organismi creati all’interno del
consorzio stesso (affidabilità minima). I marchi sono previsti dalla regolamentazione nelle confezioni e sui singoli
frutti, sono registrati al fine di incrementare la riconoscibilità del prodotto presso il consumatore sul mercato, ma
spesso possiedono dei significati ambigui e poco chiari. Ad esempio il marchio QC (Qualità Controllata) è un marchio
presente in Emilia Romagna per i produttori che seguono un disciplinare di produzione integrata, non identifica
quindi la qualità del prodotto ma il processo seguito durante la produzione. Vale lo stesso per quanto riguarda la
coccinella del trentino, viceversa i marchi Melavì e Marlene sono marchi di prodotto e non di processo, essi hanno la
funzione di sottolineare la qualità del prodotto e di distinguerlo dagli altri. Anche l’Eurofoglia è un marchio di
processo analogamente al QC, non riguarda quindi la qualità. La domanda è “il consumatore possiede la capacità di
distinguere tra le diverse tipologie di marchio?”.
Per quanto concerne la qualità, e in secondo luogo la salubrità del prodotto, queste caratteristiche sono demandate
per la comunicazione ai marchi. Ad oggi distinguere tra una DO e una denominazione di qualità è difficile. Il progetto
originario delle DO, visto il proliferare dei marchi che è seguito, è stato in gran parte disatteso per quanto riguarda
l’obiettivo di informare il consumatore. In secondo luogo si pone attenzione, almeno per quanto concerne i
sostenitori internazionali del libero scambio, al fatto che la difesa dei prodotti attraverso questi marchi costituirebbe
delle forme di monopolio.
Oltre al sistema delle DO esistevano i consorzi di valorizzazione, i quali avevano come scopo quello di valorizzare
certe produzioni tipiche a livello commerciale fornendo nel contempo assistenza tecnica, raccordando i produttori e
altri enti territoriali. Queste funzioni sono ancora svolte dal consorzio per la difesa della fragola e il consorzio della
ciliegia di Vignola. Esistono poi i già citati club varietali, i quali riescono attraverso il totale controllo della filiera a
bypassare anche il sistema delle DO. Spesso nel sistema dei club creazione ed acquisizione sono distinti, i breeder si
preoccupano solo di vendere i diritti al club, i propagatori i produttori e la commercializzazione sono poi, anch’essi,
controllati dal club (Pink Lady, Club Jazz). Ad oggi, grazie alla conservazione, e alla facilità di commercializzazione in
diversi periodi, solo le mele sono oggetto dell’istituzione di questi club.
La suddivisione del valore delle produzioni italiane a marchio riportano per quanto riguarda il settore ortofrutticolo
l’1% del totale, un ruolo decisamente minoritario. Per quanto riguarda i prezzi di produzione si rileva un aumento di
costo variabile tra i 5 e i 20 centesimi, a seconda delle caratteristiche dell’azienda che si attiene alle norme delle DO
rispetto al convenzionale. Il costo unitario si assesta attorno a 0,018€/kg. La GDO considera il frutto una
commodities e quindi non si interessa alla valorizzazione di questi prodotti, questo comporta uno svilimento delle
DO, che hanno quindi difficoltà a trovare spazi commerciali che ne valorizzino la produzione, spesso anche a causa
della limitata disponibilità di prodotto che le caratterizza.
PRODUZIONI LEGNOSE:
LEGNO DA LAVORO
Esistono diversi sistemi produttivi, la selvicoltura è un regime produttivo particolare che mira allo sfruttamento di
quanto la natura ci mette a disposizione, si tratta della “coltivazione” del bosco. In realtà, il bosco non richiede
pratiche agronomiche e pertanto non è realmente coltivato. La propagazione avviene per seme, per rinnovamento
naturale. Le aree boschive, in Italia, a partire dal dopoguerra sono aum