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CH2 CH3, e una zona definita antigen binding (che lega l'antigene); è una
divisione anche funzionale, la prima parte infatti sarà deputata in base
alla specializzazione all'attivazione del complemento, o al
legame con determinate cellule (IgE si lega ai mastociti). I dimeri
possono facilmente formare un reticolo (essendo bivalenti, hanno due zone di riconoscimento) al
riconoscimento dell'antigene (a patto che l'antigene presenti più
epitopi); il reticolo quando raggiunge dimensioni adatte viene
fagocitato dai macrofagi. Ci sono anticorpi anche a singola catena
(nel lama, cammello). L'antigene quindi lega
l'immunoglobulina nella zona N-terminale della regione variabile, i
domini variabili ottengono vicino alla regione N-terminale
sequenze diverse a seconda del tipo di antigene che vanno a
riconoscere. le varie immunoglobuline possono essere
specializzate, la specializzazione dipende dalla catena costante, ad esempio le IgE contengono
delle catene che presentano un frammento di tipo ε epsilon che riconosce i mastociti, le IgG hanno
un frammento γ gamma che riconosce le proteine del complemento, le IgA hanno un frammento di
tipo α alfa che riconosce i macrofagi; altre specializzazioni determinano una classe a parte, le IgM,
le prime immunoglobuline secrete dalla plasmacellula dopo la selezione clonale, prima viene
secreto l'IgM e poi le immunoglobuline dimeriche. Le IgM sono un pentamero di immunoglobuline,
somigliano un po' alla pentraxina, ma non sono correlate evoluzionisticamente; hanno un totale di
dieci siti di riconoscimento per l'antigene (più siti ci sono nella singola molecola e più è elevata
l'affinità per l'Ig nell'anticorpo).
Analizziamo i domini immunoglobulinici e come operano il riconoscimento antigene-anticorpo. Le
catene leggere sono una ripetizione di due domini immunoglobulinici nella stessa catena
polipeptidica che va dall'N al C-terminale. Presenteranno dei domini costanti e dei domini variabili;
variabile significa che ha solo delle piccole regioni variabili, il dominio è sempre un sandwich di
foglietti beta 4+3, disposto sempre nello stesso modo; le uniche regioni che cambiano tra un
anticorpo e un altro sono le regioni che si trovano nell'ansa tra un foglietto beta e il successivo,
cioè due foglietti beta antiparalleli determinano un'ansa variabile e lungo questa ansa ci sono
amminoacidi che possono cambiare. Queste zone ad ansa, o loop, sono tre, quindi tre foglietti beta
con tre anse variabili; nell'ansa ci saranno degli amminoacidi obbligatori, le famose glicine senza le
quali l'ansa non si forma, poi da 6 a 20 amminoacidi, moltiplicato per tre loop, farà un totale di 30-
50 amminoacidi variabili, tramite i quali le immunoglobuline sono in grado di riconoscere qualsiasi
antigene. Gli antigeni in realtà sono milioni, bastano pochi amminoacidi combinati ad hoc al fine di
riconoscere un determinato antigene. Riconoscere significa formare interazioni non covalenti con
l'antigene (legami idrogeno, interazioni elettrostatiche e interazioni idrofobiche). La plasmacellula
deve essere però istruita a produrre la data sequenza di amminoacidi che riconosce un
determinato antigene. La sequenza di amminoacidi viene selezionata per incastro dei segmenti V
e J delle immunoglobuline. Ci sono preesistenti circa 300 geni detti V variabili e un gran numero di
segmenti L, basti pensare che poche basi azotate spostandosi tra loro nella ricombinazione
producono nuove proteine. Si suppone che avvenga casualmente: un milione di cellule B mature
viene a contatto con l'antigene, ricombineranno i geni V tra loro in maniera da produrre
casualmente un'immunoglobulina, fra tutte quelle prodotte ce ne sarà almeno una che lega
l'antigene. Gli anticorpi sono proteine dotate di grande stabilità sia per la struttura sia per la
presenza di ponti disolfuro. Le sequenze variabili sulla catena leggera non sono le stesse della
catena pesante, quindi alla fine le combinazioni possibili possono raddoppiare. Anche se si
staccano le catene leggere e le catene pesanti, si notano che singolarmente possono legare gli
anticorpi, ma con minore affinità.
Rimane una questione da discutere. I linfociti B come fanno a riconoscere una sostanza come
nuovo antigene? Ci pensano delle proteine che appartengono alla categoria degli MHC, le proteine
deputate al riconoscimento del self e del not-self. Ci sono varie classi. Sono proteine di membrana,
devono essere presenti sulla superficie di una plasmacellula e devono trasferire un segnale di
avvenuto legame con l'antigene all'interno del citoplasma, per il quale ci sarà una trasduzione del
segnale con attivazione nel nucleo dei geni che codificano per l'immunoglobulina.
L'MHC ha delle regioni costanti dette catene beta, una regione di catene alfa variabile e regioni
ipervariabili. Per quanto riguarda la classe II, le catene sono più corte. Il riconoscimento può
avvenire in questo modo: a connettere la proteina di membrana alla zona di riconoscimento
dell'antigene sono presenti due domini di tipo immunoglobulinico (rapporto evoluzionistico tra
sistema MHC e immunoglobulina), sono uguali ai domini immunoglobulinici costanti; la regione
variabile è formata da un pavimento di foglietti beta con due alfa eliche ai lati, che delimitano una
cavità per il riconoscimento dell'antigene. ovviamente è una variazione: l'immunoglobulina utilizza
le anse, il sistema MHC utilizza alcuni amminoacidi dei foglietti beta sul pavimento e amminoacidi
delle due alfa eliche che costeggiano la cavità. Il sistema MHC presente sui linfociti B maturi darà il
segnale quindi per la produzione delle immunoglobuline. Anche il sistema MHC ha regioni
ipervariabili, con piccole sequenza geniche che si ricombinano casualmente a dare origine a
milioni di specie diverse: si suppone che nella vita uterina l'MHC sviluppa un sistema di tolleranza
verso il self, per riconoscere gli antigeni dell'organismo.
Sistematica enzimologica
Si prendono in esame alcune classi di enzimi. Molti enzimi per funzionare non hanno solo bisogno
della catena polipeptidica, ma hanno anche bisogno di cofattori enzimatici. Cos'è un cofattore?
Possono essere dei metalli, dei metaboliti ma soprattutto le vitamine. E' necessario accennare
quindi alla sistematica delle vitamine.
La classificazione delle vitamine è una classificazione storica. Nel nome notiamo il suffisso -amina,
che indica la presenza di un'ammina, ma solo poche sono delle ammine. Le vitamine in genere
sono dei cofattori essenziali, devono cioè essere introdotti con la dieta, non esiste nell'uomo un
metabolismo capace di produrre queste sostanze. Le vitamine sono storicamente classificate in sei
gruppi, vit A, B, C, D, E, K; parliamo di gruppi di vitamine, come nell'esempio della vitamina B che
contiene fino a 12 composti diversi, mentre la vitamina C forse è l'unica che contiene un solo
composto, l'acido ascorbico; la vitamina D ha almeno tre composti, D1, D2, D3, metaboliti
sequenziali l'uno dell'altro; anche la vitamina K comprende diversi composti, viene prodotta in gran
parte da batteri intestinali, mentre l'organismo possiede composti molto simili ad essa, ma non
sono la vitamina K e quindi va assunta dall'esterno. Tutti i cofattori vitaminici sono cofattori
enzimatici, partecipano all'attività catalitica dell'enzima in maniera diretta. In alcuni casi sono veri e
propri catalizzatori, in altri casi assistono l'enzima con una reazione redox, in altri casi sono
effettori di enzimi (la vitamina D ha un recettore intracellulare che al legame induce cambiamento
di conformazione nel recettore che va nel nucleo e stimola la sintesi proteica di determinate vie
metaboliche).
O nicotinammide, è l'ammide dell'acido nicotinico. L'acido nicotinico è un derivato della piridina,
nome IUPAC 3-carbossi-piridina (acido nicotinico); l'ammide (o nicotinammide o niacina) è la
vitamina B3. Ne consumiamo tanta, è però molto diffusa nel regno animale e nel regno vegetale,
quindi stati carenziali della vitamina B3 si trovano solo in zone particolarmente sfortunate del
pianeta. La vitamina B3 è il cofattore principale di una classe di enzimi che va sotto il nome di
ossidoreduttasi o deidrogenasi. Come funziona? L'effettivo catalizzatore è proprio la vitamina B3,
l'enzima riconosce il substrato, mentre la nicotinammide effettua la catalisi. La
vitamina, una volta assunta, viene coniugata ad un nucleotide, generalmente
si trova sotto forma ridotta, non sarà più aromatica come la piridina, il carbonio
4 non è più un metilene, ma è un metile; la nicotinammide ridotta diventa
NADH. Nella catalisi la nicotinammide reversibilmente si ossida a formare una
nicotinammide ossidata, NAD+ [per bilanciare la reazione: un protone più due elettroni, andiamo a
formare un doppio legame dove c'era uno singolo, un legame pigreco ed ecco l'ossidazione
reversibile del NAD]. La nicotinammide rilascia uno ione H-, uno ione idruro (protone con due
elettroni). Il NADH è un trasportatore di ioni idruro attivati, ossidandosi cede quindi un protone e
due elettroni. Le reazioni tipiche catalizzate dal NAD nei percorsi metabolici sono le riduzioni di
chetoni o aldeidi (soprattutto chetoni); le ossidoreduttasi che catalizzano le riduzioni dei chetoni
spesso vengono chiamate chetoreduttasi; si ritrova un carbonio carbonilico e trasformano in alcol
secondario, un composto chirale. Un esempio di reazione catalizzata è la riduzione di acido
piruvico in acido lattico, avviene quando si determina un eccesso di acido piruvico, che tende a
decarbossilare, quindi viene trasformato in acido lattico (reazione reversibile). Condizione
necessaria per la formazione dell'acido lattico è il blocco del ciclo di Krebs e quindi il blocco della
respirazione mitocondriale; l'acido lattico si forma quindi in condizioni di anaerobiosi. Se si
prolunga l'aerobiosi, viene ritrasformato l'acido lattico in piruvico, secondo la reazione catalizzata
dalla lattico deidrogenasi che ritrasforma in piruvico. Nicotinammide quindi come cofattore di
ossidoreduttasi, di enzimi di ossidoreduttasi o deidrogenasi o chetoreduttasi.
La lattico deidrogenasi è presente in tutti i tessuti metabolicamente attivi (cuore reni fegato); ci
sono 5 geni diversi che codificano per la lattico deidrogenasi, hanno sequenze amminoacidiche
diverse, c'è il gene LDH1 nel cuore, LDH2 nel sistema reticolo-endoteliale, LDH3 nei polmoni;
sono quindi dei cosiddetti isoenzimi e ogni tessuto diverso esprime preferenzialmente un
isoenzima. Gli isoenzimi possono diventare dei presidi diagnostici importanti per il cosiddetto
enzimogramma d'organo, secondo cui si possono ritrovare degli enzimi intracellulari nel plasma
che derivano dalla rottura di cellu