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Flagellazione di San Domenico Maggiore, le Opere di Misericordia della chiesa del Pio Monte della Misericordia, le
tele, perdute alla fine del Settecento, eseguite per la cappella Fenaroli a Sant'Anna dei Lombardi. All'altare di questa
cappella si trovava la Resurrezione, un'opera che doveva essere importantissima e certamente la più sconcertante,
stando ai referti dei viaggiatori, tra quelle che del Caravaggio erano visibili nelle chiese di Napoli. Il Bellori è il solo
scrittore dal quale si ricavi la notizia di opere non chiesastiche o possedute da privati eseguite dal Caravaggio a Napoli.
Una di esse rappresentava “una mezza figura di Herodiade con la testa di San Giovanni nel bacino” che, secondo lo
scrittore, il Merisi inviò al gran maestro dell'Ordine di Malta per placarne le ire dopo la sua fuga dall'isola. Caravaggio
morì a Port'Ercole il 18 luglio 1610. Tuttavia fino agli anni '60 del Novecento, e per la precisione in occasione di una
mostra su Caravaggio e i caravaggeschi tenutasi a Napoli nel 1962, il pittore non era stato capito a pieno nella sua
straordinarietà. In questi anni si registra un approfondimento di importanza sostanziale, una svolta negli studi
caravaggeschi, dell'attività napoletana del Merisi, stimolato soprattutto dall'identificazione e dalla riconsiderazione di
alcuni dipinti originali, gran parte dei quali non riconosciuti in precedenza nemmeno attraverso delle copie. Di queste
nuove aggiunte, la Salomè con la testa di San Giovanni Battista, la Negazione di San Pietro (in seguito uscita
clandestinamente dall'Italia) e il Martirio di Sant'Orsola (eseguito dal Merisi nel maggio 1610, due mesi prima di
morire, per Marcantonio Doria). Il primo periodo napoletano del Caravaggio, durato pochi mesi e conclusosi prima del
13 luglio 1607, è rappresentato dai tre grandi quadri d'altare, le Opere di Misericordia, la Madonna del Rosario e la
Flagellazione. L'aver ricevuto nel breve periodo di tempo commissioni tanto importanti per opere di destinazione
pubblica dà la misura della fama con la quale fu accompagnato il suo arrivo a Napoli. I quadri chiesastici del primo
periodo napoletano del Caravaggio conservano delle connessioni con i dipinti eseguiti negli anni romani. Per il tempo
estremo invece ci occorre come punto di riferimento sicuro il Martirio di Sant'Orsola, che trova evidenti riscontri in altri
a mezze figure e di destinazione privata, come la Salomè e la Negazione di San Pietro, così che queste opere vengono a
costituire un gruppo compatto e rappresentativo dell'ultimo Caravaggio.
La pittura a Napoli fino alla peste del '56. L'arrivo e l'attività in due riprese (settembre 1606-giugno 1607 e
ottobre 1609-luglio 1610) di Caravaggio a Napoli ebbero nei confronti dell'ambiente locale le caratteristiche di una
scossa formidabile, gravida di contraccolpi determinanti. Fra le correnti culturalmente più vivaci e notevoli del
panorama napoletano l'ala ispirata alle tenerezze materiche di Zuccari e Barocci si esaurisce significativamente in
coincidenza con l'arrivo di Caravaggio. Della vecchia generazione rimane il solo Corenzio a resistere indenne fino al
1640: i suoi affreschi di gusto prettamente decorativo e la sua abilità, esperienza ed organizzazione nello scompartire le
volte e nel ricoprirle velocemente di una pittura ornamentale e di effetto continueranno d'altro canto ad influire come
prototipi su tutte le imprese a fresco intraprese a Napoli da artisti locali durante la prima metà del secolo. Ma uno scarto
realmente determinante nel livello di approfondimento del naturalismo di Caravaggio si scorge solo nelle prime opere di
Battistello Caracciolo, mentre negli anni immediatamente successivi (1607-14) egli doveva imporsi come il più fedele
seguace del Merisi, e non solo al sud. Decisamente maggiori le difficoltà di Carlo Sellitto, manierista di chiaro stampo
barocchesco ancora nel 1606 e che solo dal 1608 si impegna a fondo in un confronto impossibile con l'attività
contemporanea di Caravaggio stesso e di Battistello; dalla costola più caravaggesca di Sellitto dovette nascere Filippo
Vitale, una figura di prima importanza nello sviluppo del primo naturalismo a Napoli. Tornando a Battistello, che
rimane la punta più avanzata delle ricerche napoletane su Caravaggio, va detto che egli nel 1614 soggiornò a Roma per
studiare lo stile delle prime opere di quest'ultimo: lo si può notare dal San Pietro liberato dal carcere del 1615. Mentre
avvenivano queste cose ormai da alcuni anni era però presente sulla scena uno degli altri personaggi-chiave della pittura
del primo Seicento a Napoli: Ribera. La sua attività, tra il 1616 e il 1630, costituisce uno dei fattori decisivi per lo
sviluppo dell'area napoletana. La sua prima fisionomia è quella di un associato al gruppo dei caravaggeschi “nordici”,
dal naturalismo schietto e profondo ma non più così tragico, desolato e monumentale come in Caravaggio stesso.
Nell'ultima parte degli anni '20 del Seicento l'entourage napoletano del Ribera si presenta come un terreno
estremamente fertile, ricco di innumerevoli variazioni sul tema. Il tema, appunto, è quello del naturalismo nuovo del
valenzano, un naturalismo ad effetto molto comunicativo che si esprime certo nella complessità di intreccio dei quadri
di racconto, ma anche e soprattutto in una terribile intensità di resa della materia viva. Parlando di classicismo,
bisognerà trattare del peso che ebbe a questo proposito la corrente emiliana. Se nei primi trent'anni del Seicento essa
ritornava in singoli casi ed esperienze come correttivo di una fondamentale vocazione caravaggesca, e gli artisti che
programmaticamente avevano voluto studiarla sugli originali a Roma, adesso (1630/35) i protagonisti stessi di questa
scuola scendono a Napoli per lavorarvi, preceduti da una fama e accolti con tali aspettativa paragonabili solo alla ormai
lontana venuta di Caravaggio. Domenichino fu nella capitale del Viceregno a più riprese tra il 1631 e il 1641, in
relazione alla temibile commissione dell'affrescatura del Tesoro di San Gennaro in Duomo, avversato da tutti gli artisti
napoletani; Lanfranco in maniera più continuativa fra il 1632 circa e il 1646, realizzando imponenti decorazioni a fresco
come quelle per il Gesù Nuovo, il Tesoro di San Gennaro, per i SS. Apostoli e per S. Martino. Domenichino, e il suo
gregario, Cozza, sebbene continuamente terrorizzati e minacciati da Corenzio e compagni, e nonostante le poche opere
che in definitiva riuscirono a realizzare, incisero in maniera più evidente e immediata sull'ambiente locale. Il peso del
classicismo sulla pittura napoletana a cavallo tra i due decenni ha uno scarto di crescita e un'impennata veramente
rilevanti. Uno dei fattori determinanti di questo fenomeno fa senz'altro corpo con il gusto ben definito del nuovo
vescovo di Napoli, il Cardinale Ascanio Filomarino, giunto in sede nel 1642. Pure gli artisti che vi troviamo
rappresentati sono puntualmente significativi di una tendenza di gusto prettamente classicista. A parte il gruppo di
“antichi maestri”, composto però non casualmente da Tiziano, Giorgione, Raffaello etc, il nucleo più folto e vario dei
“moderni” è quello dei bolognesi, come Annibale Carraci (mediatore tra idea e natura sulle orme di Raffaello,
bisognava partire dalla realtà per poi filtrare l'immagine attraverso il Bello, mentre Caravaggio era un inno al naturale),
Lanfranco e Domenichino. La peste del 1656 (grande cesura storica e generazionale) doveva porre termine alla vita e
quindi alla carriera di molti artisti sgombrando il panorama locale dalle tendenze più radicate. Appare ora un tipo di
artista onnivoro, insaziabile, cioè più vicino anche nella mentalità ai padri del Barocco, e due ne sono esemplari: Preti e
Giordano. Quest'ultimo, in particolare, nasce come erede diretto della “crisi del pittoricismo” che aveva investito la
pittura napoletana già a partire dagli anni '30, ed in particolare dei mutamenti e delle schiarite che questa aveva causato
nell'alveo del gruppo riberiano. Giordano in lenta ma inarrestabile progressione durante i primi anni cinquanta,
Giordano studioso di Ribera, amante del grottesco su cui esercitare una pennellata da “tremendo impasto”che si sfalda,
si apre all'ombra, Giordano a Roma e a Venezia nel 1652, dove poter finalmente vedere-dipingere Cortona, Tiziano e
Veronese con in mente, delle cose lasciate a Napoli, Rubens e un po' anche Lanfranco.
L'influsso del classicismo bolognese sulla pittura napoletana del Seicento. L'inizio del periodo metà
anni '30) di cui ci occupiamo fu caratterizzato da una cesura meno netta: dei due principali protagonisti della prima
generazione della “moderna” pittura napoletana, e rappresentativi della fase anteriore, cioè del caravaggismo, Battistello
Caracciolo visse fino al 1635 e fu sensibile alle nuove influenze, adeguando in una certa misura il proprio stile verso le
più recenti tendenze, mentre l'altro grande maestro che emerse negli anni '20, Ribera, raggiunse l'apice della sua carriera
nella metà e nella seconda parte degli anni trenta, quando il suo stile maturo raggiunse un nuovo equilibrio classico e
sviluppò nuovi valori coloristici e pittorici a spese del forte realismo, dell'elemento caravaggesco e del “terribile
impasto” dei suoi anni precedenti. Questo avvicinamento verso nuovi valori pittorici è stato spiegato dalle più vecchie
generazioni di studiosi attraverso l'influsso del classicismo bolognese.
Barocco e classicismo nella seconda metà del Seicento. La peste del '56, pur con le sue conseguenze
drammatiche e dolorose per la vita civile e per la già complessa e difficile realtà sociale di Napoli e dell'intero
Mezzogiorno italiano, non ebbe alcuna incidenza sui successivi sviluppi dell'arte napoletana; il passaggio alla seconda
metà del secolo invece finì ugualmente per comportare, specie in pittura, esiti del tutto inediti, spesso anche
diversamente orientati rispetto alle tendenze della stagione precedente. Ciò si rileva soprattutto nella produzione di quei
pittori che, pur formatisi nel giro delle varie esperienze maturate tra il '30 e il '50 circa, quasi in coincidenza con i tragici
fatti del '56 aprirono l'ambiente napoletano alle tendenze e ai modi della recente civiltà del barocco. La spinta decisiva
alla penetrazione e alla diffusione del Barocco in ambiente napoletano venne soprattutto dall'attività del Preti, a Napoli
dal '56 al '60, e del giovane Luca Giordano. È stato tuttavia già rilevato che l'origine del movimento barocco in
ambiente napoletano, peraltro parallelo al prolungarsi di esperienze anche di diverso ordinamento, sebbene coincida
quasi perfettamente con i