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I TRATTATI DI PACE.

Alla Conferenza di pace di Parigi (gennaio 1919) a Versailles, parteciparono 32 paesi. Non vi parteciparono i paesi vinti e la Russia bolscevica, il

cui governo non fu riconosciuto a livello internazionale. Il ruolo fondamentale nella conduzione delle trattative spettò agli Stati Uniti

(presidente Wilson), alla Francia e alla Gran Bretagna (premier Lloyd George).

Vennero sigillati a Parigi vari trattati :

1) Il trattato di Versailles con la Germania. Le condizioni imposte alla Germania (il cosidetto Diktat) si basavano sul principio “della

colpa” tedesca nello scoppio del conflitto→ ciò servì a legittimare la pace punitiva cui dovette sottostare la Germania, cui fu

addossata tutta la responsabilità morale della guerra. Il trattato stabilì:

- La cessione di tutte le colonie tedesche (spartite tra Parigi e Londra)

- La restituzione dell’Alsazia e della Lorena alla Francia

- Lo sfruttamento per quindici anni da parte dei francesi del bacino carbonifero della Saar.

- La smilitarizzazione tedesca

- Riparazioni di guerra

2) Il trattato di Saint-Germain con l’Austria ( settembre 1919).

- Fu costituita la Repubblica d’Austria che era 1/8 del territorio precedente, e per impedire la possibilità di una eventuale

unificazione con la Germania, essa venne posta sotto il controllo della Società delle nazioni.

- Il Trentino, l’Alto Adige, Trieste e l’Istria passarono all’Italia, la Bucovina alla Romania e la Galizia alla Polonia.

3) Il trattato di Neuilly con la Bulgaria

4) Il trattato del Trianon con l’Ungheria

5) Il trattato di Sèvres con la Turchia

Inoltre la Conferenza di Parigi annullò le clausole del trattato di Brest-Litovsk: solo l’Ucraina sarebbe tornata sotto il controllo russo, mentre la

Polonia, la Finlandia, e le Province baltiche si trasformarono in repubbliche indipendenti con questi nuovi stati le potenze occidentali

avevano creato un “cordone sanitario” intorno alla Russia bolscevica con l’intento di evitare la diffusione del comunismo.

Con il trattato di Versailles istituita anche la società delle nazioni, formata da una Assemblea (di tutti i paesi aderenti) e da un Consiglio di nove

membri, di cui 5 permanenti (Francia, Gran Bretagna, Usa, Italia e Giappone) e 4 eletti dall’assemblea. Su qualsiasi decisione il consiglio

avrebbe dovuto decidere all’unanimità. Il suo compito era di – garantire l’indipendenza e la sovranità di tutti gli stati membri, - mantenere la

pace e risolvere i contrasti internazionali mediante arbitrati. Tuttavia la mancanza di una forza militare lo resero di fatto una istituzione dalla

ristretta capacità operativa, e inoltre il Congresso americano successivamente negò l’ingresso degli Usa nella società, che si ridusse a ente

meramente formale.

GOVERNI ITALIANI TRA 1° Guerra Mondiale e FASCIMO

Governo Orlando (ottobre 1917 – giugno 1919)

Governo Nitti (giungo 1919- maggio 1920)

Governo Giolitti (giugno 1920 – luglio 1921)

Governo Ivanoe Bonomi (luglio 1921 – febbraio 1922)

Governo Facta (febbraio – agosto 1922)

DALLO STATO LIBERALE AL

FASCISMO.

Nel periodo post-bellico l’Italia vide il crollo del sistema liberale. Pur essendo un paese vincitore, l’esito della guerra non

rafforzò l’èlite liberale-conservatrice che aveva guidato il conflitto: infatti il sistema politico fu scossa alle fondamenta

1. Da una radicalizzazione dello scontro sociale

2. Da il progressivo schierarsi dei ceti medi e della borghesia agraria e industriale (tradizionale base del liberalismo) dalla parte

dei movimenti reazionari eversivi.

Se in Germania questo processo fu più lungo (lo sgretolamento della repubblica di Weimar durò quindici anni), in Italia lo stato

liberale si dissolse molto più rapidamente, e l’indagine sulle modalità di questo fenomeno costituisce uno dei grandi temi della

storiografia italiana e internazionale.

Prima di analizzare il crollo dello stato liberale, già visibile nelle elezioni dell’agosto 1919, vediamo le concause che portarono a

questo indebolimento:

1. Nascita del PARTITO POPOLARE (Ppi)→ nuovo soggetto politico fondato nel 1919 da Don Luigi Sturzo (esponente del

cattolicesimo democratico italiano) dopo l’abrogazione del non expedit da parte di papa Benedetto XV. Punti salienti

della dottrina sociale di Sturzo erano – lo sviluppo della proprietà privata, unito però allo sviluppo della solidarietà

sociale, - la riforma agraria e tributaria per un’equa distribuzione della ricchezza e della giustizia sociale, - maggiore

autonomia degli enti locali. Il primo congresso nazionale del Ppi si svolse a Bologna nel giugno 19.

2. L’AZIONE SOCIALISTA e IL BIENNIO ROSSO il periodo post bellico fu difficile: tra la spagnola che continuava ad

uccidere e la guerra c’erano stati oltre 1 milione di morti. La situazione fu complicata dai problemi economici: la

conclusione del conflitto fece inaridire la spesa pubblica, e i colossi industriali che si erano sviluppati all’ombra delle

commesse dello stato si trovarono sull’orlo del baratro, per via dell’assenza di un mercato interno. Ciò ebbe come

effetto la disoccupazione e ad aggravare le condizioni di vita dei ceti subalterni si aggiunsero l’inflazione e il crollo della

lira.

Il partito socialista sfruttò il malcontento esercitando la sua propaganda e politicizzò notevolmente il conflitto sociale.

Nel partito socialista confluirono le istanze rivoluzionarie del comunismo russo all’interno della corrente massimalista,

che nel XV congresso del Psi nel settembre 1918 mise in netta minoranza la componente riformista di Turati.

Tra il 1918 e il 1920 ci fu l’esplosione di un ciclo di lotte operaie senza precedenti (si susseguirono oltre 3500 scioperi

che coinvolsero centinaia di migliaia di lavoratori, che chiedevano la riduzione della giornata lavorativa, aumenti

salariali, condizioni di lavoro più umane e il riconoscimento delle “commissioni interne”, gli organi di rappresentanza

dei lavoratori che si erano venuti costituendo durante la guerra. pertanto si parla di questo periodo come “biennio

rosso”, anche se questa definizione è limitata, perché tiene conto solo della lotta politica, trascurando gli aspetti non

politici altrettanto importanti, e fuorviante, perché quegli anni furono rossi solo nei sogni dei socialisti massimalisti e

nei timori della borghesia: la rivoluzione, infatti, fu annunciata, progettata e a tratti recitata, ma non fu mai veramente

iniziata. La definizione biennio rosso ha avuto fortuna – a sinistra, perché dava fondatezza all’immagine di una

rivoluzione stroncata con la violenza, e – a destra, perché confermava l’interpretazione del fascismo come risposta alla

minaccia rivoluzionaria.

La connotazione in direzione rivoluzionaria del Psi si accentuò durante il XVI Congresso che si svolse a Bologna

nell’ottobre 1919, circa un mese prima che si svolgessero le elezioni. Fu approvata a grande maggioranza la mozione

massimalista-elezionista presentata da Serrati, che riteneva che dovevano formarsi organi nuovi, come i consigli dei

lavoratori, a guida dei comuni e che bisognava scendere sul terreno elettorale e penetrare nello stato borghese→ per i

massimalisti il parlamento era solo utile per la propaganda e come mezzo per la sua autodistruzione. Il partito guardava

in maggioranza a Lenin e alla rivoluzione russa, e il congresso decise l’adesione alla Terza Internazionale comunista,

fondata da Lenin nel marzo di quell’anno. La componente riformista del partito divenne una minoranza.

Prima delle elezioni, l’acme delle proteste operaie si ebbe tra giugno e luglio 1919, quando gli scioperi scoppiati a La

Spezia contro il rincaro dei generi alimentari, propagarono in tutta l’Italia centro-settentrionale e in Puglia. Un ruolo

centrale ebbero le camere di lavoro e in molti casi sorsero dei soviet (gruppi armati di socialisti. Lo stato rispose con la

repressione. Il movimento operaio perse di incisività perché non si saldò con il movimento bracciantile, né con la crisi

dei ceti medi urbani. L’occupazione delle fabbriche assunse toni inquietanti per la borghesia industriale, e molti

industriali abbandonarono il riformismo moderato di Giolitti e cominciarono a guardare con favore il nuovo movimento

fascista.

3. LA NASCISTA DEL FASCISMO→ A cogliere la crisi del ceto medio, cercando di incanalarlo entro forme organizzate, fu

Benito Mussolini. Ex direttore dell’”Avanti” (giornale organo del Psi) ed ex esponente della corrente rivoluzionaria del

partito, venne espulso dal Psi nel 1914 per la sua propaganda interventista e nazionalista. Mussolini fondò a Milano il

23 marzo 1919 in una sala di piazza San Sepolcro il Movimento dei fasci e delle corporazioni. Il movimento (che solo

due anni dopo si sarebbe trasformato in partito politico col nome di Partito Nazionale fascista) fu all’inizio un

movimento composito, che intendeva catalizzare variegate correnti di opposizione prive di chiari riferimenti politici e

composte prevalentemente da ufficiali e sottoufficiali delusi e dagli strati medi colpiti dalla crisi. In esso erano presenti

numerosi sindacalisti rivoluzionari (cosa che sottolineava il carattere di azione diretta che Mussolini voleva dare al

movimento), sia i nazionalisti (per la proposta di una “Nazione armata” )→ come disse Sorel, Mussolini aveva inventato

“qualcosa che non è nei miei libri, l’unione del nazionale col sociale”, presente già nel programma dei fasci pubblicato a

giugno, (ma non fusione: i due elementi restarono separati).

L’azione del fascismo si intrecciò all’inizio con l’iniziativa politica del movimento nazionalista, che si era fatto interprete

delle spinte antiparlamentariste e antidemocratiche che già si erano manifestate prima del conflitto. Dopo la guerra i

nazionalisti sfruttarono il sentimento dell’opinione pubblica per i risultati deludenti degli accordi di Versailless: si creò il

mito della “vittoria mutilata”, usata dalla propaganda nazionalista contro il governo liberale a cui si attribuiva uno

“spirito rinunciatario” per non aver fatto valere i diritti che la nazione si era conquistata in trincea; su questo mito si

innestò la contrapposizione politica tra “l’Italia di Vittorio Veneto”, ossia la nuova Italia forgiata dalla guerra e dalla

vittoria, e l’italia prebellica liberale.

Alcune settimane dopo la conclusione del conflitto sembrò profilarsi un accordo in base al quale Fiume sarebbe

diventata “città libera” posta per 15 anni sotto l’egida della Società delle Nazioni, e di fronte a questa prospettiva i

nazionalisti si scagliarono contro il governo; il loro risentimento fu an

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I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher francesca.olivieri510 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia contemporanea e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi della Basilicata o del prof Attorre Lucio.