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Possiamo notare come non esista una formula TR>TS, che sarebbe una specie di
scena al rallentatore, in quanto non è un genere utilizzato in letteratura.
Le scene “lente” sono infatti rallentate da elementi extranarrativi, non da un vero
rallentamento della narrazione.
2.2 Sommario
In Proust manca la forma del sommario, altresì presente nella maggior parte della
letteratura. Il romanzo è da sempre costruito sull’alternanza tra sommari e scene, che
invece approfondiscono un momento significativo.
Il Proust manca quest’alternanza, quest’accelerazione. Troviamo solo ellissi pure, che
spesso vengono confuse con le accelerazioni.
2.3 Pausa
Proust è noto per le sue descrizioni, tuttavia ad uno studioso attento risulta chiaro
come le descrizioni non siano molte (circa una trentina), non troppo lunghe, sempre
collegate alla narrazione. Inoltre le descrizioni non hanno mai la funzione di pausa,
ma corrispondono sempre a pause, o introspezioni, del personaggio stesso: sono cioè
descrizioni immerse nella trama. Non abbiamo quindi la classica descrizione
extratemporale tipica di Balzac.
2.4 Ellissi
Il romanzo proustiano è quindi composto da scene ed ellissi, senza sommari e pause
descrittive. Analizziamo le ellissi temporali. In base al tempo eliso, possiamo
individuare ellissi determinate (in cui esso è dichiarato) o indeterminate.
2.5 Scena
Il racconto di Proust è quindi interamente scena. E’ chiaro notare come Proust abbia
stravolto il movimento narrativo tradizionale, anche dal punto di vista del ritmo,
analizzato di seguito.
3. FREQUENZA
3.1 Singolativo-iterativo
Sia nella realtà sia nella narrazione, una reale ed effettiva ripetizione non è mai
possibile. Anche scrivendo tre volte la stessa frase, ogni frase condiziona le altre due,
alterandole. La storia e il racconto possono quindi comporsi di eventi che si ripetono o
meno e di narrazioni che ripetono un evento o meno. Si vengono cosi a creare 4
combinazioni:
-Raccontare una volta sola quanto è avvenuto una volta sola (racconto singolativo)
-Raccontare n volte quanto è avvenuto n volte (ancora singolativo)
-Raccontare n volte quanto è avvenuto una volta sola (racconto ripetitivo)
-Raccontare una volta sola quanto è avvenuto n volte (racconto iterativo: es vado a
letto presto tutti i giorni).
Il primo caso è indubbiamente il più diffuso. Da un punto di vista gerarchico, il
racconto iterativo è spesso subordinato al racconto singolativo, che caratterizza le
scene. Proust fu il primo a utilizzare largamente il racconto iterativo. Ovviamente è
necessaria la sospensione di incredulità di Coleridge per poter dare per vera ogni
espressione iterativa: in realtà sappiamo come nessuna situazione possa ripetersi
esattamente allo stesso modo. Il racconto iterativo è sfruttato da Proust per la
costruzione della sua realtà proustiana, nella quale luoghi diversi e momenti diversi si
confondono in un unico continuum.
3.2 Determinazione, specificazione, estensione
Ogni racconto iterativo è narrazione sintetica di eventi riprodotti durante una serie
iterativa costituita da una serie di unità singlari.
Per esempio: “le domeniche dell’estate dell’89” si compone di una dozzina di unità
reali, la serie è definita dai suoi limiti diacronici (tra giugno e settembre) e poi dalla
ricorrenza delle sue unità (una ogni sette). La determinazione è il primo tratto, la
specificazione è il secondo. L’estensione riguarda invece l’ampiezza diacronica di
ogni unità: ogni singola domenica, potenzialmente di 24 ore, può avere un’estensione
di, per esempio, 10 ore.
L’alternanza in Proust non è quindi data da sommario e scena, ma da iterativo e
singolativo.
Il romanzo proustiano è un vero e proprio gioco del tempo, che viene stravolto,
modificato, sovvertito e pervertito.
4. MODO
4.1 Modi del racconto?
Non avendo il discorso narrativo un fine pragmatico, se non quello di narrare, è ovvio
che l’unico modo in cui si configura il testo è l’indicativo, se si eccettuano le metafore
linguistiche.
Il modo è il nome dato alle diverse forme del verbo usate per affermare la cosa che si
tratta, esprimendone i diversi punti di vista da cui si considera l’esistenza o l’azione.
L’informazione narrativa ha quindi i suoi gradi: può essere più o meno dettagliato, più
o meno diretto, a più grande o piccola distanza da ciò che narra, può avere diverse
prospettive (o punto di vista), ecc.
Queste ultime due, distanza e prospettiva, sono le modalità essenziali per la
regolazione dell’informazione narrativa.
4.2 Distanza
Platone per primo differenziò i modi narrativi in base alla voce parlante: poteva essere
il “poeta che parla espressamente a proprio nome”, cioè il racconto puro, o una
mimesi.
Fu invece Henry James, nel 900, a opporre normativamente lo showing e il telling.
Ricordiamo però come le ambizioni imitative del racconto siano pure utopie, in
quanto il linguaggio può significare, non imitare.
Come funziona allora la mimesi? Come può il narratore fingere di dare la parola a un
personaggio terzo? La mimesi verbale può essere solo mimesi del verbo. Dobbiamo
allora distinguere il racconto di avvenimenti e racconto di parole.
4.3 Racconto di avvenimenti
L’imitazione (per Platone il “racconto puro”) comporta un breve segmento non
dialogato, che esclude i dettagli inutili allo svolgimento delle azioni. Il racconto di
avvenimento è però la trascrizione del non-verbale in verbale: la mimesi è quindi
sempre illusoria, e dipende strettamente dal rapporto emittente-ricevente, a sua volta
dipendente dall’epoca storica (la mimesi classica è sicuramente diversa dalla mimesi
naturalista). Le caratteristiche del racconto di avvenimenti, o racconto puro, o
showing, sono quindi:
-racconto particolareggiato;
-assenza o presenza minima del narratore;
-predominio della scena;
-trasparenza del narratore.
La mimesi è quindi il massimo di informazione e il minimo di informatore.
Osserviamo come in realtà il modo sia l’espressione di altri fattori: velocità e voce.
Salta all’occhio la contraddizione della teoria applicata alla Recherche, dove
nonostante prevalga la scena (singolativa o iterativa), cioè la forma narrativa più
dettagliata e quindi più mimetica, il narratore è fortemente presente in tutto il
racconto. Proust è quindi, alla stregua di Dickens, Balzac e Dostoevskij, all’estremo
limite sia dello showing che del telling, arrivando in certi momenti (praticamente privi
di narrazione) ad un mero talking.
4.4 Racconto di parole
La conversione in testo di parole pronunciate (e non di azioni) è sicuramente più
semplice. La semplice ricopia di un dialogo non è però racconto. Per es:
Discorso imitato: “Vattene, non mi irritare, perché sano e salvo tu parta…”.
Discorso narrativizzato: “Gli comandò di andarsene e di non irritarlo…”
Discorso puro: “Agamennone mandò via Crise.”.
Formalizzando, in base alla distanza possiamo classificare i discorsi (effettivamente
pronunciati o interiori) in tre modi:
-Discorso narrativizzato: lo stadio più distante, il più riduttivo;
-Discorso trasposto (in stile indiretto): leggermente più mimetico, non si pone
comunque come effettiva copia delle parole pronunciate (o pensate), ma lascia
pensare a una rielaborazione del narratore, che è piuttosto evidente nel modo di
scrivere;
-Discorso riferito (rifiutato da Platone): la forma più mimetica. Il narratore finge di
cedere la parola al personaggio. Tipica della tragedia, che per secoli si è posta come
genere supremo della tradizione classica. Una delle grandi emancipazioni del
romanzo moderno è proprio l’estremizzazione di tale mimesi, in cui un personaggio
assume completamente il ruolo di narratore. La totale emancipazione del discorso
dalla tutela narrativa avrà luogo con Joyce e Beckett, che proporranno per primi il
vero e proprio discorso immediato, quasi totalmente assente in Proust.
4.5 Prospettiva
La prospettiva narrativa può essere analizzata dopo aver chiarito la seguente
differenza:
-voce: chi è il narratore? (chi parla?)
-modo: qual è il personaggio il cui punto di vista orienta la prospettiva narrativa?
(chi vede?)
E’ evidente la confusione tra i due termini.
Todorov propose questa distinzione, basata esclusivamente sul punto di vista, una
suddivisione quindi modale:
Narratore>personaggio: narratore onnisciente;
Narratore=personaggio: il narratore dice solo ciò che il personaggio sa;
Narratore>personaggio: racconto oggettivo, o visione dall’esterno.
4.6 Focalizzazioni
Genette rielabora questa triplice categorizzazione in base alla focalizzazione:
• Focalizzazione zero (Racconto non focalizzato. Narratore onnisciente)
Focalizzazione interna (la prospettiva è collocata all’interno della coscienza di un
personaggio)
Fissa
Variabile
Multipla
• Focalizzazione esterna (omissione totale dei pensieri dei personaggi; Il fuoco (o la
prospettiva) è situato/a al di fuori di ogni personaggio, in un punto dell’universo
diegetico.
Sottolineiamo come la focalizzazione possa variare all’interno del medesimo
racconto. Analizziamo meglio i tre tipi:
Focalizzazione zero
• Il racconto classico situa il suo punto focale in un luogo tanto determinato o così
lontano, con un campo tanto panoramico (il famoso “punto di vista di Dio”) che non
può coincidere con nessun personaggio
Focalizzazione interna
• Restrizione di campo, cioè una selezione dell’informazione narrativa rispetto alla
cosiddetta onniscienza della tradizione, termine che è , letteralmente, ssurdo, perché
l’autore non è tenuto a sapere niente, poiché inventa tutto. Il focolaio è situato. Il
focolaio è situato, cioè è una specie di strozzatura d’informazione che lascia filtrare
solo quel tanto autorizzato dalla situazione. IL punto focale coincide con un
personaggio che diventa il soggetto fittizio di tutte le percezioni., comprese quelle che
lo riguardano come oggetto.
Focalizzazione esterna
• Il fuoco si trova situato in un punto dell’universo diegetico sclto dal narratore, al di
fuori di qualsiasi personaggio, escludendo con ciò qualsiasi possibilità d’informazione
sui pensieri di chicchessia
Alterazioni
Variazioni di punto di vista