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La corrente che discende dal lavoro di Hovland si focalizza quindi sulla qualità

del messaggio come vera causa dell’esito persuasivo. Tuttavia tale studio ha

raccolto risultati discontinui e frammentari, non riconducibili a una teoria unitaria.

Le ricerche di Lewin hanno invece portato alla convinzione che le convinzioni

nelle persone dipendono solo da un meccanismo di autopersuasione. In questa

direzione si colloca lo studio di Festinger che, con la teoria della dissonanza

cognitiva, spiega come gli umani cerchino di mantenere una coerenza tra le

proprie conoscenze, opinioni, credenze e i propri comportamenti. L’incoerenza

tra ciò che si pensa e ciò che si fa crea un disagio che va eliminato, alterando

cosi il proprio comportamento o la propria opinione. L’esperimento 1/20 dollari

(vedi pg 22) dimostrò come non sempre una ricompensa stimoli un cambiamento

desiderato.

Dagli anni 60 lo studio degli atteggiamenti entra in crisi, lasciando spazio

all’approccio social cognition, basato sull’idea che i comportamenti umani

possono essere spiegati a partire dalle rappresentazioni che le persone si fanno

del mondo circostante, attraverso la percezione e la memoria: gli atteggiamenti

iniziano quindi ad essere studiati come informazioni immagazzinate nella

memoria in relazione agli oggetti a cui si riferiscono.

McGuire, seguendo questa nuova ottica, tenta una ricostruzione del processo di

persuasione articolata in 6 fasi:

-presentazione del messaggio (collocato nella pausa di un film interessante);

-attenzione (attirata dalle tecniche dell’ad);

-comprensione dei contenuti (codice comprensibile);

-accettazione della posizione sostenuta in esso (raggiungimento di un grado di

accordo);

-memorizzazione della nuova opinione (la questione deve avere rilevanza);

-comportamento.

La comunicazione persuasiva esercita un impatto sul ricevente solo se si attuano

tutte le sei fasi.

In realtà è stato poi dimostrato come un cambiamento nel comportamento è

possibile anche nel caso di una comprensione incompleta.

Negli anni 70 Petty e Cacioppo, resisi conto della frammentarietà della teoria,

formularono il modello della probabilità di elaborazione, sostenendo che si tratta

di un vero passo avanti. Esso sostiene che i comportamenti possano essere

modificati seguendo due diversi percorsi: il percorso centrale e il percorso

periferico. Il primo prevede un processo attento, mediamente più lungo, che

rispecchia similmente le 6 fasi del processo di persuasione di McGuire. Il

secondo, invece, riguarda un processo di cambiamento basato su elementi non

direttamente pertinenti al tema, i segnali periferici: l’attrattività della fonte, la

lunghezza del messaggio, la sua piacevolezza.

Si percorre uno o l’altro percorso in base alla motivazione (ossia in base alla

rilevanza che esso ha per noi) e alla capacità di comprensione (non solo il grado

di istruzione o l’intelligenza, ma anche la stanchezza, il sonno ecc).

Entrambi i percorsi possono portare a un cambiamento del comportamento, ma

in un modo differente: il percorso centrale porta a convinzioni stabili e durature, il

percorso periferico porta a convinzioni temporanee e superficiali.

Se basiamo il nostro interesse verso un veicolo sui segnali periferici (bellezza

della pubblicità) il concessionario potrà facilmente farci cambiare idea

illustrandoci le caratteristiche tecniche dei vari veicoli.

3. La pubblicità

La più diffusa comunicazione persuasiva è la pubblicità, che si pone come

obbiettivi la vendita di un prodotto o di un servizio e la creazione di un

atteggiamento favorevole al consumo. La pubblicità permette anche una spesa

più veloce (ce ne rendiamo conto all’estero) e, in certi casi, ha la capacità di

intrattenere. L’esortazione all’acquisto può essere motivata con fattori espliciti,

oppure indotta indirettamente (testimonial), come per esempio il processo di

mera esposizione che mira alla familiarizzazione del prodotto.

La pubblicità ha quindi al suo interno elementi di contenuto (informazioni sul

prodotto) ed elementi periferici (musiche, packaging ecc). Gli elementi periferici

hanno l’obbiettivo di attirare il cliente risparmiandogli energia cognitiva.

La maggior parte dei messaggi pubblicitari vengono limitati ad un percorso

periferico, cioè un’attenzione superficiale solo agli elementi secondari. La

pubblicità si è adattata a questa situazione di densità comunicativa, puntando

sempre di più (talvolta in modo esclusivo) su elementi periferici, tralasciando le

vere caratteristiche del prodotto/servizio pubblicizzato.

Analizziamo ora i messaggi pubblicitari scomponendoli in fonte, messaggio e

ricevente.

3.1 Fonte

La fonte influisce moltissimo sull’efficacia del messaggio persuasivo: un esperto

sarà ascoltato in maniera diversa rispetto a una persona qualunque. La

credibilità aumenta anche se la fonte non è implicata e non ha interessi in gioco.

La fonte è quindi un insieme di informazioni periferiche.

Nel dettaglio, la credibilità o autorevolezza della fonte dipende dalle conoscenze

(livello di expertise) e l’affidabilità (livello di trustworthiness).

Questi due fattori sono ovviamente legati alla soggettività della percezione.

La fonte ha però un effetto sulla persuasione molto limitato nel tempo: lo sleeper

effect fa si che col passare del tempo il messaggio si oggettivizzi nella mente dei

riceventi. Nonostante questo, molti messaggi pubblicitari vengono costruiti

intorno a questi aspetti (camice bianco per pubblicizzare un dentifricio).

Ci sono però aspetti della fonte che poco o nulla hanno a che vedere col

messaggio, eppure vengono utilizzati per rafforzare l’efficiacia della fonte: è il

caso della bellezza, che spesso viene immotivatamente collegata ad affidabilità,

simpatia, gentilezza, ecc.

Anche i tratti fisici sono importanti: alcuni adulti mantengono i lineamenti infantili,

e danno più l’impressione di ingenuità e onestà, altri più “vissuti” danno più l’idea

di essere esperti e pacati, mentre altre figure stereotipate aiutano ad identificarsi

nell’acquirente.

3.2 Il messaggio

Soltanto pochi messaggi oltrepassano la soglia di attenzione minima e vengono

analizzati a fondo. Per questo le pubblicità vengono ripetute più volte, in modo da

sfruttare al massimo le poche risorse cognitive che l’individuo “concede” allo

spot. La vividezza è il termine che identifica quanto un messaggio riesca a

colpire i nostri sensi. La psicologia cognitiva ci dice che la vividezza dipenda dal

grado di concretezza dell’informazione, l’emotività, di stimolare inferenze e

immaginazione. Tutto ciò porta a una più probabile memorizzazione, anche se

spesso tale memorizzazione si limita agli elementi periferici e non al prodotto

pubblicizzato. È curioso notare come i singoli casi (una singola signora obesa

che dimagrisce con un prodotto dietetico) sia più efficace di una statistica.

Sappiamo inoltre che il cervello tende a memorizzare maggiormente le prime

(primacy) e le ultime (recency) informazioni.

Utile è anche l’argomentazione bilaterale, con cui si accenna con delicatezza ad

alcuni lati negativi del prodotto in modo da sembrare più imparziali e in modo da

proteggere il potenziale consumatore dalla contro-propaganda della

concorrenza.

3.3 Il ricevente

Il forte orientamento al consumatore delle aziende negli ultimi anni ha portato a

uno studio sempre più approfondito del target (attraverso la segmentazione del

mercato), dei suoi bisogni e delle sue caratteristiche. Esistono però soggetti più

facili da persuadere e soggetti più difficili. Negli anni 70 era convinzione diffusa

nella psicologia il fatto che le donne fossero più influenzabili, ma si è scoperto

come in realtà ciò fosse vero esclusivamente nelle comunicazioni persuasive

faccia a faccia, in cui la donna tende a essere più dipendente per motivi naturali

e sociali.

3.4 Pubblicità e bambini

Fu Packard per primo, negli anni 50, a analizzare il fenomeno persuasivo occulto

sui bambini, in modo da renderli propensi al consumo. Solo dopo i 7-8 anni

nasce un atteggiamento critico e consapevole verso i messaggi pubblicitari. La

pubblicità ha però un effetto più ampio sui bambini, in primis quello della

stereotipizzazione del mondo (es: differenza tra i sessi). Gli elementi periferici

sono sicuramente più efficaci nel target infantile / preadolescenziale.

3.5 La persuasione subliminale

Nel 1957 ci fu il famoso episodio della pubblicità subliminale della Coca Cola in

un cinema americano. In realtà non è provata l’efficacia e si scoprì che il fine era

quello di dare notorietà all’agenzia pubblicitaria. Lo stimolo attraverso messaggi

subliminali è sicuramente possibile, ma l’induzione ad un determinato

comportamento desiderato (es: consumo) è molto dubbio.

4. La pubblicità sociale

La pubblicità viene oggi utilizzata anche per diffondere informazioni e

promuovere il consenso su argomenti come salute pubblica, rispetto

dell’ambiente, patrimonio artistico ecc. Negli anni 70 in Italia è nata la Pubblicità

Progresso. Spesso la pubblicità sociale è commissionata da enti pubblici.

Uno dei temi più ricorrenti è la prevenzione, anche se è evidente come una

consapevolezza e una conoscenza dei comportamenti a rischio non

necessariamente porta le persone ad evitarli (es droghe, preservativi ecc). La

decisione in relazione ad un comportamento dipende infatti sia dalle conoscenze

circa le conseguenze sia da dalle conseguenze sulle norme sociali. Ad esempio,

in certe città allacciarsi la cintura è quasi causa di derisione, quindi per una

norma sociale qualcuno decide di non utilizzarla, nonostante sia conscio dei

rischi. Gli ostacoli sociali e psicologici ai messaggi di prevenzione sono:

-il piacere dato dalla condotta a rischio;

-l’ottimismo irrealistico verso la propria salute;

-lo scetticismo circa l’efficacia delle raccomandazioni;

-la contradditorietà dei messaggi (i film e i vip trasmettono messaggi contrari a

quelli della pubblicità sociale).

4.1 L’appello alla paura

L’accento viene allora messo sulle conseguenze spaventose dei comportamenti

a rischio. Questa è sicuramente la tecnica più efficace. Tuttavia il ricevente può

decidere deliberatamente di innalzare le 4 barriere psicologiche viste poco fa.

La pubblicità sociale, nella stragrande maggioranza dei casi, promuove un

divieto più che

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A.A. 2013-2014
9 pagine
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SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-FIL/05 Filosofia e teoria dei linguaggi

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher pietrolicini di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Semiotica e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Bergamo o del prof Pisanty Valentina.