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OPERA TEATRALE
Ad un occhio ingenuo sembra semplice adattare un’opera teatrale per il
cinema: il lavoro sembra infatti già fatto, quanto il testo è scritto secondo una
scansione in scene, con movimenti dei personaggi e dialoghi.
Le cose, ovviamente non funziona così, in quanto se un’opera è nata per il
teatro ci sono altissime probabilità che non funzioni per il grande schermo.
Alcuni fra i più cocenti fallimenti vengono proprio dal tentativo di adattare le
opere teatrali. In un certo senso un’eccezione sono le opere di Shakespeare:
Shakespeare è stato portato sullo schermo moltissime volte, quasi sempre con
successo perché le sue opere sono di forti passioni, di grandi conflitti, di
personaggi ricchissimi di umanità e non di rado anche di azione. È
quindi relativamente facile adattare i dialoghi shakespeariani al tono più
realistico del cinema, mantenendo inalterata la forza del plot e dei personaggi.
L’unica difficoltà che si incontra nell’adattamento di un’opera shakespeariana
al cinema riguarda il linguaggio verbale: è infatti necessario un
abbassamento del linguaggio verbale, senza il quale lo spettatore avrebbe
grandi difficoltà a entrare nella vicenda partecipando come se essa si stesse
svolgendo davanti ai suoi occhi.
Negli adattamenti shakespeariani di maggior successo mondiale, infatti, la
semplificazione del linguaggio è stata sempre operata per consentire agli
spettatori di entrare pienamente nella storia e nei personaggi.
In genere le differenze tra teatro e cinema sono molto forti (Seger):
il teatro è tematico: il teatro di solito mette in atto una sorta di
− sguardo al microscopio della condizione umana e non ha bisogno di una
forte story line. Grazie alla magia data dalla compresenza di attori e
spettatori il teatro può infatti permettersi un percorso di pura
esplorazione tematica che nel cinema non riuscirebbe a coinvolgere in
maniera sufficiente;
il teatro si preoccupa soprattutto della condizione umana: il plot
− alla base di un’opera teatrale non rende altrettanto bene al cinema
perché l’intensa esplorazione sulla condizione umana ha nel teatro un
suo spazio più adatto;
il teatro usa spazi astratti: nel teatro lo spazio è quasi sempre un puro
− contorno di un’azione che si svolge per lo più nella coscienza delle
persone. Le opere teatrali accettano quindi sia l’ambientazione completa
in un unico spazio immobile, sia l’ambientazione in spazi molto diversi tra
loto, che vengono evocati più che rappresentati. L’accettazione della
“magia” dell’immaginazione e dell’astrattezza dello spazio finno sì che lo
spettatore teatrale accetti che uno stesso angolo di palcoscenico possa
essere tanto la stanza di un castello quanto la collina di un campo di
battaglia;
il teatro si basa sul dialogo: il teatro si basa essenzialmente sulla
− qualità del dialogo, che porta la massima parte del “peso” dell’opera. Al
cinema non è possibile fare altrettanto;
il pubblico del teatro è diverso da quello del cinema: il pubblico del
− teatro è mediamente molto più colto, più attento a cogliere astrazioni,
riferimenti intertestuali e rimandi culturali. I target di riferimento dei due
mezzi sono quindi fasce socio-culturali della popolazione diverse: quella
del teatro è molto più elitaria.
Le opere teatrali suscettibili di un buon adattamento sono:
le opere teatrali che hanno una trama (Shakespeare);
− le opere che reggono in un contesto realistico: ci sono opere che
− per la loro essenza sono pensate per essere astratte e per vivere in
contesti astratti; la trasformazioni in contesti realistici toglie forza e
credibilità alla storia;
le opere che non si basano troppo sul fascino della compresenza
− spaziale di attori e pubblico: se un’opera si basa troppo su questo
“affidarsi” della rappresentazione al pubblico, rischia di perdere parte
della sua forza quando è trasferita sullo schermo.
Alcuni dei più grandi film di successo hanno un’origine teatrale: “Casablanca”
rielabora i contenuti della pièce teatrale “Everybody come to Rick’s”; “Aspasso
con Daisy”, “il mio grosso grasso matrimonio greco”.
Un caso molto interessato è quello di “Viaggio in Inghilterra”, film sulla vita
dello scrittore inglese C.S. Lewis e sul suo rapporto con Joy Gresham: il film è
stato scritto da William Nicholson, che prima aveva realizzato un film tv,
trasformato poi in un’opera teatrale.
Il confronto tra il film è l’opera teatrale è molto interessante perché mostra
alcune dinamiche tipiche del passaggio da un mezzo all’altro, ma evidenzia
come in questo caso il film sia un’opera più completa, più matura,
ulteriormente raffinata ed elaborata.
Il confronto tra le due versioni mostra come l’opera teatrale si svolga quasi
tutta negli stessi interni (casa di Lewis, ospedale in cui è ricoverata Joy). Nel
film, invece, non solo ci sono brevi scene di esterni, ma anche una maggiore
varietà tra gli interni stessi.
Un’altra differenza è quella relativa ai dialoghi: alcuni dei discorsi di Lewis sul
dolore nel testo teatrale sono significativamente più lunghi ed elaborati,
mentre il film abbrevia molto alcuni brani di conferenze che diventano quindi
molto brevi, ma li incastona meglio nello svolgersi della storia.
Inoltre il film crea un intero subplot che arricchisce molto la storia è il
personaggio Lewis: il rapporto di Lewis con uno studente ribelle, che dorme a
lezione, ma poi la notte sta sveglio per leggere i libri che ruba in libreria.
L’unico aspetto in cui il film perde rispetto all’opera teatrale è un versante
tematico importante: in uno dei discorsi che nel film vengono molto tagliati,
Lewis riprende la questione, già platonica, del rapporto tra il mondo fisico e
l’aldilà, considerando il mondo in cui siamo ora come più che l’ombra della vita
futura (pag. 165),.
Questa chiusura, che in astratto può sembrare triste, in realtà fa riferimento al
fatto che la pienezza sarà soltanto in Paradiso.
La dimensione esplicita di rimando forte all’aldilà nel film è invece molto
ridimensionata,, sia perché manca quella parte di conferenza in cui veniv
introdotto il tema delle ombre sia perché di conseguenza il film si chiude sulla
battuta che collega il dolore di oggi alla felicità di ieri, senza più citare la
questione delle ombre.
Ne consegue un film che rimane ancorato alla saggezza umana “non c’è gioia
senza dolore”, ma con l’assenza dell’affermazione forte presente nell’opera
teatrale, ovvero che la “logica” della vita su questa terra non si comprende
senza l’aldilà.
Infine, quando parliamo di genere teatrale, non si può non fare riferimento al
musical, un genere teatrale molto specifico caratterizzato dalla presenza
importante de musica.
Uno dei più grandi successi di tutti i tempi è l’adattamento cinematografico di
“Tutti insieme appassionatamente” (1965).
Un altro successo da ricordare è “Chicago”, il quale tuttavia rimane molto più
teatrale che cinematografico per la raffinatezza e alla freddezza del film.
FUMETTO
L’adattamento da fumetto è oggi di grandissima attualità.
Di solito si ha a che fare con personaggi ben rodati nel tempo, che hanno
un pubblico che li ama, spesso lo stesso pubblico, per cultura media ed età,
che è anche forte consumatore di cinema.
Di norma nel fumetto c’è un mondo ben costruito, con conflitti chiari e forti e
un’alta posta in gioca: il “cattivo” spesso vuole distruggere completamente una
città o addirittura il mondo intero.
Tuttavia si tratta di un tipo di adattamento che richiede investimenti molto alti
e quindi ad alto rischio.
Dopo la saga di “Spiderman” negli anni ’80 e quella di “Batman” negli anni ’90,
entrambe con esiti discontinui, gli adattamenti di questi ultimi anni sembrano
aver preso una strada diversa, quella di un lavoro attento sui personaggi, per
far sì che lo spettatore adolescente possa affezionarvisi in un modo non
superficiale.
È la scelta del sceneggiatore David Koepp in “Spider-man” ed è anche l’ottimo
lavoro fatto sui personaggi della saga di “X-Men”.
In “Spider-man” il personaggio principale è costruito in maniera ottima per
creare empatia nello spettatore: è un ragazzo timido, innamorato di una
ragazza che gli presta minimamente qualche attenzione, scopre i suoi poteri
straordinari e ne resta spaventato. Non vuole metterli al servizio degli altri, fino
a quando si rende conto che questo causa la morte di suo zio. Da qui il lemma
che accompagnerà il personaggio “da un grande potere derivano grandi
responsabilità”.
Altrettanta attenzione è stata messa per costruire e introdurre i personaggi di
“X-men”, il quale vuole trasmettere chiaramente un messaggio antirazzista e a
favore di una società aperta verso altre culture.
Il fumetto, come avviene frequentemente nei prodotti seriali, è basato su un
team di eroi piuttosto che su un singolo, cosa invece più frequente nelle storie
per il cinema. Agli sceneggiatori si poneva quindi il problema se lasciare il plot
come storia “di squadra” o accentuare il ruolo di qualcuno di questi personaggi,
facendolo diventare un protagonista e renderlo quindi la chiave di accesso alla
storia per lo spettatore. Questo ruolo è incarnato da Wolverine, interpretato da
Hugh Jackman, un ex agente segreto, il cui corpo ora è costituito da metallo
resistentissimo che trasforma i suoi arti in armi affilatissime. Logan/Wolverine è
un solitario, che imparerà ad aprirsi verso gli altri attraverso l’amicizia con
Rogue, che avverte come simile a sé nell’isolamento causatole dalla sua
diversità.
Wolverine è quindi il classico eroe solitario, ma dal cuore d’oro.
Questi sono solo alcuni accenni semplicemente per mostrare che anche un film
incentrato su super eroi dotati di poteri speciali ha basato la sua vera forza e il
suo appeal su un’adeguata costruzione dei personaggi e su un setting delle
loro relazioni che li rende interessanti con problemi e caratteristiche che in
modo abbastanza agevole possono essere riferiti a ogni situazione e a ogni
persona. Altri adattamenti da fumetti so