Semiotica - i segni
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quale il 'contenuto' di un medium ci impedisce di comprendere le caratteristiche del
medium stesso” (SC, pp.16-17).
“Tutti i media sono estensioni di qualche facoltà umana, psichica o fisica”(MM,
p.26): “Tutti i media ci lavorano in modo globale. Sono così pervasivi nei loro effetti
sulla persona, sulla politica, nelle loro conseguenze estetiche, psicologiche morali,
etiche e sociali, che essi non lasciano parte alcuna di noi intoccata, senza modifiche,
inalterata. Il medium è il massaggio. Non è possibile comprensione alcuna del
mutamento sociale e culturale senza conoscere il modo in cui i media funzionano come
ambienti” (ivi).
La ruota è un'estensione del piede, il libro dell’occhio, l’abbigliamento della pelle,
il circuito elettrico del sistema nervoso centrale (cfr. MM, pp.30-40). “l’estensione di
uno qualsiasi dei sensi modifica il nostro modo di pensare e di agire: il modo con cui
percepiamo il mondo” (MM, p.41).
La grammatica dei media si fonda sul principio dell’equilibrio del sensorio umano:
l’estensione di un senso implica sempre l’amputazione di un'altro. l’introduzione di un
medium implica sempre l’attività di questo doppio principio: estende da un lato ed
amputa dall’altro. La ruota estende il piede e rende l’uomo più veloce nel muoversi, più
indipendente dalla spazialità geografica; ma gli amputa qualcosa nella sua capacità di
osservare e di interagire con gli altri.
La tipologia dei media per McLuhan si fonda sulla loro capacità informativa, sul
grado di partecipazione che impongono, sulla loro temperatura. Se un medium offre
informazione in gran quantità allora non propone o richiede partecipazione e viene
chiamato “caldo”. Se c'è prevedibilità nell’informazione, l’interesse è scarso e la
partecipazione quasi nulla. Se trovate che c'è molta partecipazione in un programma di
Celentano, non ponetevi domande sui contenuti. Cercate di capire come ha allargato la
sfera di canali comunicativi (faccia, toni di voce, ritmi, pause, ...) in modo che il vostro
cervello deve lavorare di più per decodificare tutte le informazioni che la sua
imprevedibilità vi manda. Non vi potete distrarre perché sapete che rischiate di perdere
una battuta, un elemento nonverbale, un elemento informativo che non sarà ripetuto.
Celentano, pur nella fedeltà più assoluta alla sua immagine (artista fantasioso,
imprevedibile, religioso, attivo su temi ecologici e sociali impegnati), riesce a dare di sé
un'immagine “fredda”. Meccanismi diversi sono attivi, invece, in Baudo (la serenità del
ripetuto e del previsto) e in Arbore (il piacere goliardico del gioco tra compagni,
dell’ironia e dello scherzo, anche questo modulo conosciuto. La novità sta non nello
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schema, ma nei modi con cui questo viene attualizzato. Confrontate gente,
confrontate...).
Il codice è un'altro degli elementi che consente la comprensione e lo scambio. La
comunione del codice resta un requisito essenziale. Lo possiamo definire un sistema di
corrispondenze tra entità presenti ed entità assenti. Ogni qual volta, sulla base di
convenzioni, qualcosa materialmente presente alla percezione del destinatario sta per
qualcosa d'altro, si dà significazione e si è in presenza di segni. Segno, quindi, è
qualcosa che, oltre a significare se stesso, è utilizzato per significare qualcos'altro. Si
dice che “È sufficiente che il codice stabilisca una corrispondenza tra ciò che sta per e
il suo correlato, corrispondenza valida per ogni destinatario possibile, anche se di fatto
nessun destinatario esiste o potrà mai esistere. Un sistema di significazione è pertanto
un costrutto semiotico autonomo astratto, indipendente da ogni possibile atto di
comunicazione che le attualizzi”.
Ogni processo di comunicazione tra esseri umani presuppone un sistema di
significazione come propria condizione preliminare. “Sarebbe possibile (anche se non
del tutto desiderabile) stabilire una semiotica della significazione che sia indipendente
da una semiotica della comunicazione; ma è impossibile stabilire una semiotica della
comunicazione indipendente da una semiotica della significazione”.
Non ci pare che siano affermazioni del tutto esatte. l’attività di significazione non
è un'attività autistica ma essenzialmente finalizzata alla comunicazione e quindi è
naturalmente sociale. Si legge nel cap.IV del Cours de Linguistique Générale di F. de
Saussure : “Si può dunque concepire una scienza che studia la vita dei segni nel quadro
della vita sociale...” (CLG p.26), “la sémiologie [è] étude des signes et de leur vie dans
les sociétés humaines” (EC 286; III C 273).
La comunicazione (emissione di un segnale per un destinatario) quasi nella totalità
dei casi si concluderebbe con un fallimento per le ambiguità irrisolubili che si
presenterebbero senza la definizione delle condizioni situazionali e interazionali in cui
avviene. Questo insieme degli elementi della situazione globale in cui avviene la
comunicazione si chiama contesto. È il riferimento a questa visione del mondo (teoria
dei mondi possibili nella comunicazione) che consente di disambiguare il messaggio. È
una parte della comunicazione che ha avuto riconosciuta molta importanza negli ultimi
anni e la scienza linguistica e semiotica che la studia si chiama pragmatica.
Ultimo elemento, quello che chiude tutta la rete, è il messaggio, l’informazione
che si vuole trasmettere, cioè un insieme strutturato di segni. Ma di questo si parlerà più
avanti. 11
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Questa impostazione della rete comunicativa è una rielaborazione degli elementi
cibernetici compiuta da Roman Jakobson. Nonostante la sua originaria formulazione
linguistica, con talune modifiche e sottolineature è comunemente adottato come schema
di riferimento generale.
Per Jakobson ogni elemento del processo comunicativo implica lo svolgimento di
una precisa funzione e quindi in ogni atto comunicativo sono presenti tutte e sei le
funzioni, anche se intenzioni e modalità interattive presenti nell’atto comunicativo
possono far loro attribuire differenti pesi gerarchici e differenti ruoli nello svolgimento
dell’iter comunicativo.
Le sei funzioni sono le seguenti.
a. FUNZIONE ESPRESSIVA O EMOTIVA: viene data quando nel messaggio
prevale l’accentuazione del mittente e del suo atteggiamento riguardo a quello di cui
parla;
b. FUNZIONE CONATIVA O IMPRESSIVA: si ha quando viene evidenziata la
pressione argomentativa o persuasiva verso il destinatario;
c. FUNZIONE REFERENZIALE: si ha quando nel messaggio si privilegia
l’informatività del contesto e i dati relativi all’oggetto cui si riferisce;
d. FUNZIONE POETICA: è costituita dal rilievo dato al messaggio stesso ed è
ovvio far notare che non si identifica con la poesia. Mette in evidenza soprattutto la
strutturazione degli elementi del messaggio e dei segni che lo compongono. Jakobson fa
l’esempio dello slogan politico “I like Ike”, perno della campagna presidenziale del
Gen. Dwight D. Eisenhower, e suggerisce che si possa parlare di funzione poetica
anche quando non si è coscienti del gioco retoricofigurativo che sta dietro al messaggio.
In questo caso si punta, un po' narcisisticamente, sulla propria organizzazione interna
evidenziando il rapporto tra forma dell’espressione e forma del contenuto e i
meccanismi che creano un potenziamento del contenuto informativo;
e. FUNZIONE FATICA: quando si mira a verificare e ad aumentare la vitalità del
canale e l’attenzione del ricevente. È il caso di molti riempitivi tipici del parlato
telefonico e non: “mi senti? ”; “ma che dormi?”; “ci sei ancora? ”.
f. FUNZIONE METALINGUISTICA: si ha quando nel messaggio si precisa o si fa
riferimento al codice. Per es. si veda la differenza tra “quando spunterà la luna... ” e
“'quando' è una congiunzione temporale”.
Il processo comunicativo può essere visto da due punti di vista, quello del mittente
e quello del ricevente. Il primo riguarda la codifica del messaggio (selezione,
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ordinamento e trasmissione), il secondo la decodifica (ricezione, decodifica). I due
processi hanno degli elementi comuni, ma i punti di vista specifici sono del tutto
differenti. Infatti la ricezione non è un processo che si limita a ricevere solo quello che
ci sarebbe nel messaggio, ma è un processo autonomo che nel decodificare difatti ri-
crea il messaggio dandogli un senso specifico. Il messaggio dalla parte del mittente ha
un carattere potenziale che viene definito dall’interpretazione del ricevente. Chi decide
del senso di un messaggio non è chi lo invia, ma paradossalmente chi lo riceve (cfr.
“Lector in fabula” di U. Eco).
Per completare il quadro di questa sezione restano da spendere poche parole su due
punti oggetto di polemica.
Il primo riguarda la volontarietà dell’atto comunicativo: secondo alcuni si avrebbe
comunicazione solo quando il messaggio risultasse emesso pienamente con
intenzionalità e consapevolezza. Ed allora dovremmo escludere tutta la comunicazione
visivo-figurativa, ritmico-musicale e tutte le forme di interazione noverbale di natura
prossemica o gestuale. Esse hanno certamente una loro grammatica (cioè sono sistema)
ma spesso restano implicite (anche se chiaramente esplicitabili) e “inconsce”.
Il secondo concerne la reversibilità dell’atto comunicativo: il percorso mittente-
ricettore dovrebbe poter essere bidirezionale. Più volte questo secondo problema è stato
ripreso, sostenendo che nel caso in cui non si verifichi (meglio, in cui non si possa
verificare) si avrebbe informazione e non comunicazione. Il problema così come è
formulato ci pare di natura non definitoria ma tassonomica all’interno della
comunicazione. Inoltre la competenza metalinguistica (nel senso più astratto del
termine) che caratterizza questo approccio si scontra con forme di linguaggio che
sappiamo praticare senza una teorizzazione metalinguistica a livello di struttura e di
grammatica. In particolare ci riferiamo ai codici nonverbali e a situazioni comunicative
multimediali, cioè in cui esistono codici che si basano su significanti di natura
sensoriale diversa. Posso capire il senso di un spot o di un inserto pubblicitario, ma non
sono in grado di esplicitarne gli elementi ai vari livelli semioticolinguistici presenti.
Insomma, sono in grado di capire e di decodificare, ma non di percorrere la strada in
senso inverso. 13
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3. SEMIOLOGIA SAUSSURIANA
Il ruolo della posizione saussuriana nella definizione della semiologia o semiotica
nei confronti delle altre scienze umane soprattutto della linguistica è stato ora
sopravvalutato ora sottovalutato a seconda dei momenti e delle mode. In particolare il
testo fondamentale di riferimento “Cours de Linguistique Générale”, pubblicato come
si sa postumo e costruito con gli appunti delle lezioni presi dagli allievi, è stato
sottoposto ad una lettura in positivo e in negativo, mettendo in evidenza lo specifico
saussuriano rispetto alle conoscenze e alle convinzioni del suo tempo o sottolineando
quello che era il plafond che egli ha condiviso. Inoltre incertezze e contraddizioni del
testo non sono state risolte dalle varie edizioni delle fonti manoscritte ed indicano
realmente le perplessità che Saussure ebbe dinanzi a taluni problemi e alle soluzioni
che egli aveva proposto.
La griglia di riferimento che egli propone, ci pare però che senza esasperazioni
possa stare alla base di un qualsiasi trattato di semiotica, tenuto conto del punto di vista
che guida quelle riflessioni e non tenendo conto delle diatribe di scuola (pro e contro)
che l’hanno accompagnato negli anni.
Il discorso di Saussure che qui riassumiamo in termini molto brevi riguarda una
definizione di semiologia, meglio la definizione del suo territorio epistemologico,
prima ancora che la disciplina esistesse, il rapporto linguisticasemiologia, il concetto di
sistema nelle sue caratterizzazioni più importanti, quello di segno linguistico e i suoi
principi, le dicotomie langue/parole, sintagmatica/paradigmatica, sincronia/diacronia.
1. STATUTO EPISTEMOLOGICO DELLA SEMIOLOGIA.
2. SEMIOLOGIA E LINGUISTICA
3. SISTEMA-STRUTTURA, FUNZIONE, VALORE, NEGATIVITÀ
4. SEGNO E SEGNO LINGUISTICO. SIGNIFICANTE/SIGNIFICATO
5. IL SEGNO LINGUISTICO: CONVENZIONALITÀ-LINEARITÀ
6. LANGUE-PAROLE
7. SINTAGMATICA-PARADIGMATICA
8. SINCRONIA-DIACRONIA
3.1. STATUTO EPISTEMOLOGICO DELLA SEMIOLOGIA 14
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Come si è detto Saussure viene considerato il padre della semiologia e dello
strutturalismo linguistico e il suo influsso sullo sviluppo della linguistica è stato
determinante: nei casi in cui non ha trovato la soluzione di un problema, già le stesse
modalità del porselo sono abbastanza significative. Ma con questo contrariamente a
talune esagerazioni le sue parole (anche perché non sono le sue, ma quelle che gli
allievi avevano appuntato sui loro quaderni) non è la Bibbia, la parola definitiva né per
la linguistica né per la semiologia.
Vediamo i passi del CLG che trattano il nostro problema.
“Si può dunque concepire una scienza che studia la vita dei segni nel quadro della
vita sociale; essa potrebbe formare una parte della psicologia sociale e, di conseguenza,
della psicologia generale; noi la chiameremo semiologia (dal greco SEMEION
"segno”). Essa potrebbe dirci in che consistono i segni, quali leggi li regolano. Poiché
essa non esiste ancora non possiamo dire che cosa sarà, essa ha tuttavia diritto ad
esistere e il suo posto è determinato in partenza” (p.26).
“Quando la semiologia sarà organizzata, dovrà chiedersi se i modi di espressione
che si fondano su segni interamente naturali, come la pantomima, le spettino di diritto.
Supponendo che li accolga, il suo oggetto principale sarà non di meno l’insieme dei
sistemi fondati sull’arbitrarietà del segno... Si può dire che i segni interamente arbitrari
realizzano meglio di altri l’ideale del procedimento semiologico...” (p.86).
Osserva De Mauro nella nota n. 132 che "Nel passo e ancora più chiaramente nella
fonte manoscritta, S. suggerisce che uno dei compiti della semiologia sarà quello di
graduare i vari sistemi a seconda della loro maggiore o minore arbitrarietà: "Dove si
fermerà la semiologia? È difficile a dirsi. Questa scienza vedrà il suo campo estendersi
sempre di più. I segni, i gesti di cortesia per esempio, vi rientrerebbero; essi sono un
linguaggio in quanto significano qualche cosa ... Sarà uno dei compiti della semiologia
di segnare i gradi e le differenze [tra i vari tipi di segni]" (Engler 1131 B) (CLG 412).
Appare chiara dai passi riportati la consapevolezza di Saussure della necessità
dell’approccio semiotico anche nei confronti della linguistica e di una successiva
ricognizione dei vari sistemi di segni e della loro classificazione. Nella sua
impostazione un ruolo molto importante viene attribuito al principio dell’arbitrarietà e
alla natura sociale (quindi comunicativa) di tali sistemi.
3.2. SEMIOLOGIA E LINGUISTICA 15
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Questa definizione dei territori della semiotica, però, si scontrava con abitudini e
orientamenti linguistici di altra direzione, fondati su una prospettiva di comparativismo
e di ricostruzionismo, che ha reso precario il riconoscimento di scientificità alla nuova
disciplina.
Nello schema saussuriano appaiono corretti anche i rapporti con la linguistica.
Ecco qualche passo del CLG:
"La linguistica è solo una parte di questa scienza generale, le leggi scoperte dalla
semiologia saranno applicabili alla linguistica e questa si troverà collegata a un dominio
ben definito nell’insieme dei fatti umani. Tocca allo psicologo determinare il posto
esatto della semiologia; compito del linguista è definire ciò che fa della lingua un
sistema speciale nell’insieme dei fatti semiologici... se per la prima volta abbiamo
potuto assegnare alla linguistica un posto tra le scienze, ciò accade perché l’abbiamo
messo in rapporto con la semiologia...
Perché la semiologia non è ancora riconosciuta come una scienza autonoma, dotata
come ogni altra d'un oggetto particolare? Il fatto è che ci si aggira in un circolo: da una
parte, niente è più adatto della lingua a far capire la natura del problema semiologico;
ma, per porlo in modo conveniente, bisognerebbe studiare la lingua in se stessa;
senonché, fino ad ora, la si è esaminata quasi sempre in funzione di qualche altra cosa,
sotto altri punti di vista... (pp.26-27). "... è perciò (a motivo dell’arbitrarietà che lega
significante e significato del segnolinguistico) che la lingua, il più complesso e diffuso
tra i sistemi di espressione, è altresì il più caratteristico di tutti. In questo senso la
linguistica può diventare il modello generale di ogni semiologia, anche se la lingua non
è che un sistema particolare" (p.86).
Posizione chiara, ripetiamo, e ben documentata, valida soprattutto a livello
astratto. Concretamente, però, si constata che il linguaggio si incontra abbastanza presto
anche quando si tratta di analizzare altri sistemi di segni (scrive Barthes in "Elementi di
semiologia" che "non c'è senso che non sia nominato, e il mondo dei significati non è
altro che quello del linguaggio" (p.14)) per cui lo stesso Barthes propone di rovesciare
l’affermazione saussuriana a favore della priorità metodologica della linguistica: "Si
deve ammettere sin d'ora la possibilità di rovesciare, un giorno, l’affermazione di
Saussure: la linguistica non è una parte, sia pure privilegiata, della scienza generale dei
segni, ma viceversa la semiologia è una parte della linguistica" (ivi, p. 15).
l’affermazione viene ribadita anche in una forma più impegnativa: "... attualmente il
sapere semiologico non può essere altro che una copia del sapere linguistico "(ivi),
nonostante il carattere di temerario con cui viene etichettato il fatto che "questo sapere
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deve già applicarsi, almeno, come progetto, a oggetti non linguistici" (ivi) e
l’avvertimento che "non presumiamo... che la semiologia debba sempre seguire
rigidamente il modello linguistico" (ivi).
È una situazione un po' contraddittoria e paradossale.
Intanto è strana la volontà di definire oggi quello che una disciplina sarà nel futuro
nella consapevolezza di limitazioni obiettive o ritenute tali al momento della scrittura (e
Barthes scriveva questo testo nel 1964) e la necessità di dover necessariamente mutare
il quadro di riferimento che già si intravede stretto e inadeguato.
Secondo un'opinione condivisa da molti, non è corretto definire la totalità,
mutuando i risultati ottenuti nell’esame di una sua parte, anche senza negare o
sottovalutare l’apporto di esperienza e di riflessione che un'analisi parziale può dare
alla definizione del quadro complessivo.
Secondo una nostra personale opinione, inoltre, questo schema cognitivo risente
dei riflessi di un certo uso della macchina cerebrale umana e appare come proiezione e
razionalizzazione di una situazione di fatto (per maggiori dettagli si veda il cap. su
"Emisferi cerebrali e semiotica").
3.3. SISTEMA-STRUTTURA, FUNZIONE-VALORE-IDENTITÀ, NEGATIVITÀ
Gli elementi indicati nel titolo del paragrafo ci appaiono come i più importanti per
la costituzione di una semiotica e per una pratica di analisi che privilegi la
significazione e la comunicazione, i cui principi fondamentali sono: 1. principio della
solidarietà e della sistematicità: "La lingua è un sistema di cui tutte le parti possono e
debbono essere considerate nella loro solidarietà sincronica" (CLG 106); 2. principio
della differenziazione: "Nella lingua non vi sono se non differenze" (CLG 145); 3.
principio della forma: "La lingua è una forma e non una sostanza" (ClG 147); 4.
principio della negazione: "Il segno è una realtà negativa: vale per quello che nega"
(metafora dell'iceberg). Saussure è stato il primo a riconoscere il carattere
"sistematico" della lingua sulla base di tre sue caratteristiche: la socialità (la lingua è
condivisa e comune ad una comunità di parlanti; al deposito storico delle loro
esperienze), l’astrattezza e la necessità/obbligatorietà da parte degli utenti.
Nell’uso dei termini di solito si oscilla tra una definizione di lingua come sistema
di segni e un'altra che la presenta come struttura. Anche qui per alcuni studiosi i due
termini assumono accezioni particolari, ma qui ci sembra opportuno considerarli come
sinonimi interscambiabili, rimandando al futuro ulteriori approfondimenti e distinzioni.
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Inoltre ci contentiamo di una definizione provvisoria di insieme o sistema o struttura: 1)
ci deve essere una pluralità di elementi che lo compongono; 2) questi devono essere
collegati tra di loro da rapporti di mutua interdipendenza. Non viene considerato
sistema o struttura quello costituito da un unico elemento e quello che presenta diversi
oggetti ma disparati tra di loro.
Tutti e due questi requisiti si trovano nella definizione saussuriana di lingua. La
lingua quindi è un tutt'uno, cioè un insieme costituito da elementi collegati tra di loro
da rapporti mutui: ciascuno di essi non è staccato o staccabile dagli altri e le sue
vicende di mutamenti o di scomparsa o di rivitalizzazione implicano la ridefinizione
degli elementi dell’intero sistema.
"Nei sistemi semiologici, come la lingua, in cui tutti gli elementi si tengono
reciprocamente in equilibrio secondo regole determinate, la nozione di identità si
confonde con quelle di valore e viceversa" (CLG 134).
Che cosa distingue un segno dall’altro?
Il ruolo di questa nozione nel pensiero saussuriano è essenziale. Il valore è diverso
dalla significazione; esso proviene "dalla situazione reciproca delle parti della lingua",
"ciò che c'è di idea o di materia fonica in un segno è meno rilevante di ciò che gli sta
attorno negli altri segni" (cit. Godel 166). Paradossalmente il valore di un segno è dato
da quello degli altri segni che l’accompagnano o che richiama.
L’identità di un segno è data dal suo valore e dalla sua funzione, e a loro volta
questi sono fondati sul sistema di differenze che oppongono e distinguono i segni tra di
loro. Il sistema si fonda su queste contrapposizioni. Un segno vale per la differenza che
crea nei confronti di un altro. "Nella lingua non vi sono se non differenze" (CLG 145).
"Nella lingua, come im ogni sistema semiologico, ciò che distingue un segno, ecco tutto
ciò che lo costituisce. La differenza fa il carattere, così come fa il valore e l’unità"
(CLG 147).
Un esempio fatto da Saussure è quello del treno: "Noi parliamo di identità a
proposito di due treni "GinevraParigi delle 20,45", che partono a ventiquattrore di
intervallo. Ai nostri occhi, è lo stesso treno e tuttavia probabilmente locomotiva,
vagoni, personale, tutto è diverso... Quello che costituisce il treno è l’ora della sua
partenza il suo itinerario e in genere tutte le circostanze che lo distinguono da altri treni.
Tutte le volte che si realizzano le stesse condizioni si ottengono le stesse entità. E
tuttavia queste non sono astratte, poiché un treno non si concepisce fuori di una
realizzazione materiale" (CLG 132). 18
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Si legge nel CLG: "D'altra parte è impossibile che il suono, elemento materiale,
appartenga per se stesso alla lingua. Per questa non è che un elemento secondario, una
materia che ssa mette in opera. Tutti i valori convenzionali presentano il carattere di
non confondersi con l’elemento tangibile che serve loro da supporto. Così non è il
metallo d'un pezzo di moneta che ne fissa il valore... e avrà valore maggiore o minore
con questa o quella effige, di qua di là d'una frontiera politica" (CLG 143-144).
"La lingua è il regno delle articolazioni: ogni termine linguistico è un membretto,
un articulus in cui un'idea si fissa in un suono ed un suono diviene il segno dell’idea"
(CLG 137).
La spiegazione di Saussure si appoggia a due esempi. Il primo: "Ci si rappresenti
l’aria in contatto con una estensione d'acqua: se la pressione atmosferica cambia, la
superficie dell’acqua si decompone in una serie di increspature; appunto queste
ondulazioni daranno una idea dell’unione e, per dir così, dell’accoppiamento del
pensiero con la materia fonica" (CLG 137).
Il secondo ricorre all’immagine di un foglio di carta: 1. se ritagliato in diversi
pezzi, ciascuno di questi ha valore in rapporto a quelli vicini; 2. ciascuno di essi ha un
recto e un verso, che sono stati tagliati nello stesso tempo. "La lingua è ancora
paragonabile a un foglio di carta: il pensiero è il recto ed il suono è il verso; non si può
ritagliare il recto senza ritagliare nello stesso tempo il verso; similmente nella lingua,
non si potrebbe isolare né il suono dal pensiero né il pensiero dal suono" (CLG 137).
Osserva Barthes: "la lingua è l’ambito delle articolazioni, e il senso è in primo
luogo scomposizione. Ne consegue che il compito futuro della semiologia non consiste
tanto nello stabilire dei lessici di oggetti, quanto nel ritrovare le articolazioni che gi
uomini impongono al reale" (ES p. 52). E così si ritrovano nuovamente i rapporti
lingua, pensiero e realtà (cfr. Hjelmslev).
3.4. IL SEGNO LINGUISTICO: SIGNIFICANTE/SIGNIFICATO
Saussure, occupandosi di linguistica, anche se ha postulato la nuova disciplina e si
occupa, en passant, anche di segni non verbali, nel definire il segno linguistico, lo fa
senza preoccuparsi di dare preliminarmente una definizione generale di segno
all’interno della quale collocare i tratti specifici di quest'ultimo. Ma è necessario farlo.
3.4.1. CONCETTO DI SEGNO 19
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Sia nella vita quotidiana che nella ricerca filosofica, il concetto di "segno" assume
significati e definizioni diverse: per es. "é un gran brutto segno", "fammi un segno
quando sei pronto", "se dici così è segno che non hai capito niente", "fai un segno sul
tuo spazzolino da denti così non usi sempre il mio": "Bauli è segno" (di ché? segno
orfano). A livello filosofico tanto per restringere il campo a pochi elementi è difficile
avere una accezione da tutti condivisa per termini come "segno, simbolo, indice,
segnale, allegoria, sintomo, icona".
Eco (nel volume "Segno", pubblicato nel 1973 e ristampato nel 1980) inizia la sua
analisi spingendo a constatare le incredibili diversità attestate dai dizionari. Ecco le sue
parole in una lunga citazione: "Consideriamo l’uso linguistico comune rivolgendoci ad
una fonte autorizzata e cioè un Dizionario della Lingua Italiana. Per evitare parzialità
costruiremo una voce ideale "segno" deducendola dalle varie accezioni individuate da
tre buoni dizionari: il Devoto-Oli di Le Monnier (10 accezioni), lo Zanichelli (17
accezioni) e il Garzanti (9 accezioni).SEGNO (dal lat."signum", marchio, intaglio) s.m.;
A.1. Sintomo, indizio, accenno palese da cui si possono trarre deduzioni e simili
riguardo a qualcosa di latente. Elemento caratteristico di una malattia riferito da un
malato.
2. Imperfezioni fisiche, specie lievi, quali nei, cicatrici, eccetera, dalle quali sia
reso più facile il riconoscimento di una persona e che vengono citate dai documenti di
identità.
3. Qualunque traccia e impronta visibile lasciata da un corpo su una superficie.
4. Gesto, atto e simile che manifesta un certo modo di essere o di fare e simili,
quale ad esempio -dar segni di gioia eccetera.
B.5. Gesto con cui si vuole comunicare o esprimere qualcosa, come un ordine, un
desiderio e simili.
6. Contrassegno, elemento distintivo impresso su qualcuno o qualcosa per poterlo
riconoscere. Marchio.
7. Linea, figura o simili che si traccia per contrassegnare il punto a cui si è arrivati
(da cui l’espressione figurata -sei giunto a questo segno!e l’accezione di S. come
"punto" o "grado"); oppure un punto di riferimento (da cui l’accezione di S. come -
Bersaglio-); o la direzione e la posizione voluta (da cui ancora -Bersaglio-). Tutti i
segni di questa categoria possono essere indicati con un apparente sinonimo di S. che è
"Segnale". 20
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8. Qualunque espressione grafica, punto, linea, retta, curva, e sim.
convenzionalmente assunta a rappresentare un oggetto astratto. Qualunque entità
grafica ugualmente intesa a rappresentare un oggetto astratto, quali numeri, formule
chimiche, espressioni algebriche, operatori logici et sim. In certi contesti è chiamato
anche Simbolo, da non confondersi con l’omonimo dell’accezione n.12 o n.13.
9. Qualunque procedimento visivo che riproduca oggetti concreti, come il disegno
di un animale per comunicare l’oggetto o il concetto corrispondente.
10. (in linguistica) Processo per il quale un concetto (o un oggetto) è rappresentato
da una immagine acustica (come le "parole" et sim.). Talora, qualsiasi componente
minore del processo precedente.
11. Ogni singola parte di un procedimento visuale che rimanda ad una emissione
fonica, a un concetto, a un oggetto, a una parola: (segni diacritici), i segni della
notazione musicale, dell’alfabeto Morse, Braille, e simili.
12. Simbolo, entità figurativa o oggettuale che rappresenta per convenzione o a
causa di sue caratteristiche formali, un valore, un evento, una meta e simili: come la
Croce, la Falce e il Martello, il Teschio (sovente usato come sinonimo di Emblema,
anche araldico).
13. Simbolo, entità figurativa o oggettuale che rimanda a un valore, un evento, una
meta non esattamente definiti, in modo oscuro e allusivo (talora usato nel senso di
"parola poetica").
C.14. (raro e lett.) Insegna, bandiera.
15. (obsoleto) Immagine scolpita o dipinta, statua, effige.
16. (obsoleto) Stella.17. Configurazione astronomica, S. zodiacale.
18. (obsoleto) Campione di orina da analizzare.
19. In "per filo e per segno": minutamente e con ordine.
20. Qualsiasi evento naturale assunto come manifestazione di una volontà occulta,
intenzione divina, fato, potenze magiche.
Dobbiamo avvertire che i dizionari consultati, per rendere ragione dell’uso
concreto, hanno assortito le varie accezioni in modi più disordinati del nostro. Noi ci
siamo sforzati di organizzare le varie accezioni in modo che:
1. fossero distinti in (A) i segni non emessi intenzionalmente e che costituiscono
per così dire eventi naturali che noi usiamo per riconoscere qualcosa o inferirne
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l’esistenza, come quando dalla spirale di fumo in cima a una collina deduciamo la
presenza di un fuoco acceso; e in (B) fossero distinti i segni cosiddetti "artificiali" i
quali sono invece posti convenzionalmente da esseri umani per comunicare con esseri
umani;
2. fossero distinte le accezioni di base da quelle derivate per metafora o estensione
che abbiamo inserito tra parentesi accanto alle varie accezioni basilari;
3. fossero distinte in (C) talune accezioni obsolete o poetiche, anch'esse derivate
per estensione; come si vede l’accezione (15) dipende dall’accezione (9), mentre la (18)
dipende dall’accezione (1),perché si analizzano le orine proprio per trovarvi i sintomi di
qualche malattia; l’accezione (19), citata perché reperita su un dizionario come voce
autonoma, ci dice qualcosa che dovremo ricordare nel corso della nostra indagine, e
cioè che ci sono dei termini che acquistano valore preciso solo nel contesto di altri
termini, anche se il "Segno" di -per filo e per segno dipende dall’accezione (17). Infine
l’accezione (20), che pure è così diffusa da parere ampiamente autonoma, non è altro
che l’estensione della (1), della (5) o della (10), a seconda della ipotesi metafisica,
religiosa o magica che presiede all’identificazione di tali segni: i quali non sono altro
che sintomi, ordini, indizi o vere e proprie parole del presunto linguaggio divino." (Eco,
"SEGNO", pp. 15-17).
In questi tentativi di definizione, dai tempi antichi ai giorni nostri, anche se
proposti da linguisti o da filosofi, una caratteristica pare evidente: sono tutti fondati
sull’uso comune e riflettono una pratica di simbolizzazione che caratterizza per
definizione l’esistenza stessa dell’uomo come animale ragionevole.
3.4.2. SIGNIFICANTE E SIGNIFICATO.
Per Saussure il segno linguistico è l’unione, convenzionalmente stabilita da una
comunità di parlanti ma arbitraria rispetto alla realtà esterna delle cose, di un
significante e di un significato. Il primo è dato dall’organizzazione fisica che per il
processo di significazione, che si viene a stabilire, veicolerà, farà da supporto al
significato. Nel caso della lingua parlata il significante è dato da una particolare
struttura (selezione e concatenazione) degli elementi fonici; nella lingua scritta dalle
lettere dell’alfabeto. Il significato non è la "cosa", ma la rappresentazione psichica che
della "cosa" abbiamo, cioè il suo concetto. Utilizzando la terminologia di Hjelmslev,
nel segno quindi si concretizza una dicotomia tra piano del contenuto e piano
dell’espressione e quella tra forma e sostanza. 22
DI SPARTI Segno comunicazione linguaggio
A questa definizione di segno, oltre le limitazioni che vengono dalla sua natura
chiaramente linguistica estesa ad altri sistemi (donde la "temerarietà" di cui parla
Barthes, ma dai brani riportati ci si accorge che Saussure è consapevole delle
limitazioni di questa formulazione e della necessità di approfondire e di precisare la
tipologia dei segni), sono state mosse parecchie obiezioni, per es. il suo carattere
mentalistico, l’assenza di un collegamento tra segno e realtà extralinguistica, di una
definizione del termine "concetto", ecc ...
Non c'è dubbio che tra segno linguistico e segno semiologico ci siano differenze
anche facilmente riscontrabili nella realtà di ogni giorno; la più importante, forse quella
sostanziale, però sta nell’elemento che sta alla base del processo di significazione:
arbitrarietà e convenzionalità da un lato, analogia e nessi causali dall’altra. Restano in
comune, però, quelli che Saussure chiama "caractéres" del segno, i quali rinviano più
apertamente alla "dimensione sociale" del segno: 1) i segni significano qualcosa: sono
destinati alla comunicazione; esistono perché esiste una volontà collettiva di significare
e comunicare; 2) i segni sono impersonali: l’esistenza del segno non può essere
garantita solo dal fatto che c'è qualcuno che lo produce, ma necessita di una massa
sociale che si faccia proprietaria collettiva del segno; 3) i segni sono indipendenti da
chi li usa: essendo di proprietà collettiva, essi sfuggono in qualche misura al controllo
del singolo individuo che non li può modificare con un atto volontario.
3.4.3. IL SEGNO LINGUISTICO: CONVENZIONALITÀ-LINEARITÀ
Una volta stabilita la natura del segno linguistico, Saussure si premura di precisare
i due "principi" che ne regolano la vita: la linearità e l’arbitrarietà.
LINEARITÀ
Quello della linearità è così formulato da Saussure: "Il significante, essendo di
natura auditiva, si svolge soltanto nel tempo ed ha i caratteri che trae dal tempo: a)
rappresenta un'estensione, e b) tale estensione è misurabile in una sola dimensione: è
una linea" (CLG 88). È una caratteristica spesso sottovalutata, ma che ha un'importanza
nella struttura sensoriale e percettiva della lingua parlata.
ARBITRARIETÀ 23
DI SPARTI Segno comunicazione linguaggio
Il paradigma linguistico che sta alla base della semiologia saussuriana facilita per
certi versi la definizione della natura dei rapporti tra significante e significato e tra il
segno nella sua globalità e il referente esterno. Tra la parola e la cosa infatti è facile
notare una potenziale base di arbitrarietà di convenzioni e di codifiche, mentre lo
sarebbe stato indubbiamente meno nel caso di un significante visivo (una fotografia) e
il suo referente esterno.
I termini "arbitrario" e "immotivato" introdotti dal Saussure presentano qualche
ambiguità per il riferimento immediato ad una condizione attualmente esistente tra
significante e significato e quindi già stabilita e per i parlanti niente affatto "arbitraria";
mentre apppare del tutto corretta e adeguata se riferita al momento dello stabilirsi di
quella convenzione, cioè al momento dello stabilirsi della "significazione", cioè della
convenzione di un legame semiotico tra un significante e un significato.
Più adeguato è il termine "convenzionale", perché sottolinea che i padroni del
segno linguistico sono i parlanti con le loro convenzioni significative e comunicative e
che il valore del segno è dato dalla rete di rapporti che attiva in positivo(collegando) e
in negativo (escludendo) negli utenti.
Saussure è ben consapevole che nella lingua non tutti i segni hanno questo grado
di totale convenzionalità, per cui introduce la distinzione tra ARBITRARIETÀ
ASSOLUTA e ARBITRARIETÀ RELATIVA. "Il principio fondamentale
dell’arbitrarietà del segno non impedice di distinguere in ciascuna lingua cié che è
radicalmente arbitrario, cioè a dire immotivato, da ciò che lo è solo relativamente. Solo
una parte dei segni è assolutamente arbitraria; presso altri interviene un fenomeno che
permette di riconoscere dei gradi nel’arbitrarietà senza però eliminarla: il segno può
essere relativamente motivato" (CLG p.158).
I processi che portano a questa limitazione del grado di arbitra sono almeno tre: A.
l’onomatopea, in cui la forma fonica del segno linguistico cerca di riprodurre un suono
o un rumore esistente (per es. ticchettio, chicchirichì, ecc.); B. la composizione
lessicale, per effetto della quale il grado di arbitrarietà assoluta dei singoli componenti
risulta ridotto quando essi sono utilizzati per formare un nuovo segno. Così "venti" e
"due" singolarmente presi non suggeriscono nulla del loro significato, mentre il
significato di "ventidue" (qualora fosse sconosciuto al parlante) può essere ottenuto
agevolmente collegando quello dei suoi due componenti. C. il fonosimbolismo, in cui,
sulla base delle sensazioni tattili provocate dal meccanismo di produzione del suono,
vengono attribuiti ai singoli suoni valori simbolici come quelli di luminosità, di
grandezza, ecc. Per es. in una serie inventata come "pat, pet, pit, pot, put" si tende ad
24
DI SPARTI Segno comunicazione linguaggio
attribuire dimensioni maggiori a "pat", medie a "pet", minime a "pit" e un grado di
luminosità più grande a "pit" e minimo a "put".
Le discussioni, però, su questo aspetto della teoria sono state molto complesse e
continuano ad esserlo, senza per altro riuscire a trovare una soluzione soddisfacente per
tutti i problemi e per tutti gli studiosi. Ci pare che tentativi di soluzione più efficaci
dovrebbero partire non da una definizione di segno, ma dalla constatazione di tipologia
dei segni fondata sulle caratteristiche specifiche della macchina cerebrale che li
produce ed elabora, dando un imprinting specifico e rispondendo a criteri di specificità
funzionale ben delimitate (si cfr. il capitolo su "Emisferi cerebrali e semiotica").
Questa limitazione del segno per mezzo della convenzionalità, che di fatto ne
esclude o riduce la forza di richiamo sulla base di analogie e di somiglianze tra
significante e significato, è soltanto apparente perché paradossalmente l’assenza di un
legame mnemomico di tale tipo tra l’oggetto (o la sua rappresentazione mentale) e la
sua rappresentazione iconica in realtà libera all’infinito la capacità semiotica dell’uomo
sia qualitativamente che quantitativamente (può usare segni sensorialmente diversi e
più segni (dello stesso tipo) per indicare un'oggetto, conservando lo stesso carico
denotativo (significato essenziale) e arricchendolo connotativamente (con attributi e
qualifiche) con il collegarlo ad altre reti semiotiche e comunicative.
Così per esempio, se nella scrittura dovessimo fondare il legame tra significante
grafico e significato-referente sulla base di un rapporto di somiglianza tra il primo e il
secondo, come di fatto avviene nelle scritture ideografiche e logografiche, il numero dei
segni, dovendo corrispondere uno specifico segno per ogni oggetto, dovrebbe essere
molto grande (mentre nella convenzione asemantica attuale ce la caviamo bene con un
massimo essenziale di una trentina di segni) e con molte confusioni possibili quando la
differenza tra un segno e l’altro è molto piccola.
È chiaro quindi che l’arbitrarietà e la convenzionalità che stanno alla base del
legame tra significante e significato libera l’uomo da queste pastoie e rende certa la
delimitazione dei suoi segni. Una parola è quella che è (fatta di lettere e suoni
rigorosamente identificati e non da una globalità che si rassomiglia).
Nel parlare di arbitrarietà del segno linguistico, si intende sia quella che lega
significante-significato, sia quella che lega significato-realtà significata, e quella del
segno e la sua realtà esterna al segno: cioè il referente.
Nella prima parte del CLG Saussure insiste su questa dimensione bipolare
(significante/significato) e mentalistica del segno (la sostanza fonica del segno
DESCRIZIONE APPUNTO
Appunti di Semiotica sui segni con analisi dei seguenti argomenti trattati: informazione (ridondanza, rumore, prevedibilità, feed-back), comunicazione e significazione, reti e funzioni comunicative, mittente, destinatario, canale, codice, contesto, messaggio, funzione espressiva o emotiva, funzione referenziale.
I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher flaviael di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Semiotica e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università La Sapienza - Uniroma1 o del prof Gensini Stefano.
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