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La pubblicità: un vortice coinvolgente
L’influenza della pubblicità dalla Pop Art a oggi
1. Premessa: cosa intendiamo per «pubblicità» ?
2. L’avvento del consumismo e l'interpretazione artistica della Pop Art.
3. Il cambiamento dello statuto del brand.
4. La persuasione pubblicitaria: il caso Coca-Cola e l’economia affettiva.
5. La pubblicità accende le emozioni.
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1. Premessa: cosa intendiamo per «pubblicità»?
Oggigiorno la nostra sfera sociale è costantemente invasa dalla pubblicitá: manifesti, brochures,
locandine, spot televisivi, banner, spam... Ma cosa significa realmente pubblicità e quali sono le sue
radici storiche?
La parola “pubblicità” assume significati diversi a seconda della lingua a cui si fa riferimento.
Questo è dovuto alle diverse reazioni delle culture alla nascita della comunicazione pubblicitaria.
In francese, si utilizza il termine réclame, che significa richiamo, dal latino clamare. Quest’ultimo
mette in evidenza l’aspetto di richiamo insito nel messaggio, destinato ad un pubblico più o meno
ampio.
In inglese, il termine pubblicità viene tradotto con advertising che deriva dal verbo to advertise,
ovvero avvertire. A sua volta, questo deriva dalla lingua latina advertoe. Questa espressione esalta il
processo volto al raggiungimento del destinatario del messaggio.
Infine, il termine pubblicità in italiano deriva da publico, ed assume quindi il semplice significato di
rendere noto ciò che prima non lo era.
Oltre alle differenze etimologiche, è necessario ricordare che la pubblicità ha radici remote. Già
nell'antica Grecia, le piccole botteghe possedevano delle insegne per promuovere i propri prodotti
non avendo più a disposizione le grandi piazze del mercato.
Durante il Rinascimento, la pubblicità era utilizzata per esaltare i benefit (benefici) dei primi
prodotti di consumo. In Francia nel corso del XVII secolo, si diffusero le prime inserzioni
pubblicitarie sui quotidiani; a Parigi venne successivamente aperto il Bureau d'Adresse, una piccola
e primordiale agenzia pubblicitaria.
Grazie all'invenzione della linotipia (sistema compositivo tipografico a linee di piombo fuso),
nacquero i primi manifesti murali facendo così diventare i cartelloni pubblicitari una delle tipologie
di comunicazione più diffuse e apprezzate.
Con il passar del tempo, la componente grafica e figurativa dei manifesti iniziò ad arrichirsi di
immagini e illustrazioni a colori, ma anche dei primi slogan.
Si possono infatti individuare quattro grandi periodi storici di fondamentale importanza:
1. dall’Ottocento fino al 1929: prende l'avvento la “società dei consumi”. Con questa espressione si
intende il momento in cui la nascente “società di massa” incontra la tecnica pubblicitaria.
2. dal 1929 al 1950: gli Stati Uniti prima e l’Europa poi, vivono “l'eta del progresso.” Il difficile
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dopoguerra e la crisi di Wall Street del 1929, risulteranno determinanti per l’avvento del marketing
moderno.
3. dal 1950 al 1980: entra in scena il più grande medium moderno: la televisione. Nella trasmissione
“Carosello” tra sketch comici si inseriscono i primi spot pubblicitari. L'obiettivo era conquistare il
pubblico senza far risultare la pubblicità troppo invasiva
4. dal 1990 ai giorni nostri: nascono diverse forme di pubblicità tra cui quella sociale e quella sul
web. 2
2. L’avvento del consumismo e l'interpretazione artistica della Pop Art.
Già dagli anni Venti, il marketing supportava le vendite con attività di promozione, pensando che
qualsiasi prodotto avesse un mercato. Con l’avvento della crisi del 1929, nacque una nuova filosofia
chiamata “new marketing”, basata sulla necessità di dover conoscere il consumatore per creare o
soddisfare i suoi bisogni. Le agenzie di pubblicità diventano così agenzie di marketing sempre più
concentrate su attività di ricerca destinate a conoscere a fondo il consumatore.
Negli anni Quaranta, Reeves con il suo scritto “Reality in advertising” teorizza la Unique Selling
Proposition al fine di esaltare i benefici del prodotto e la sua esclusività. Le tre componenti della
strategia comunicativa sono:
- promessa: ciò che fa il prodotto;
- reason-why: l’obiettivo che ha;
- atmosfera: chi è il target.
Gli anni Cinquanta accolsero un nuovo medium: la televisione. Essa diventa un mezzo intelligente e
capace di promuovere «prodotti specifici destinati a utilizzi specifici per un pubblico specifico».
Il primo spot televisivo del 1953 pubblicizza un detersivo all’interno di un telefilm per casalinghe.
Oggigiorno la pubblicità utilizza un approccio informale e se vogliamo più semplice rispetto
all’epoca del dopoguerra. Se oggi la pubblicità si prende gioco dei prodotti facendo a sua volta
giocare il consumatore, in una società del dopoguerra era impossibile “scherzare” con il prodotto.
Si avviarono, in questa società così consumistica, tutta una serie di teorie volte a comprendere le
funzioni dei media e della pubblicità.
Nel 1958 Packard scrisse “The hidden persuaders”, una ricerca sui sistemi subdoli con cui la
pubblicità tenta di conquistare il favore dei compratori, utilizzando messaggi subliminali, destinati a
lasciare una traccia inconscia nella memoria delle persone che li percepiscono.
Un’altra critica alla società consumistica arrivò da Marcuse con “One dimension man” in cui egli
sottolineò come la pubblicità oscurasse il valore delle merci e mascherasse la natura della società
capitalistica.
Negli anni Sessanta in Italia, presero piede le agenzie pubblicitarie tra cui quella di Armando Testa.
Qui di seguito sono riportati alcuni esempi di pubblicità curate dallo stesso Testa. 3
Sempre negli anni Sessanta, ma in America esplose il fenomeno della Pop Art, nato dall’incontro tra
l’arte e la nascente cultura dei mass-media. Il principale e più famoso espontente di questa tendenza
artistica fu Andy Warhol.
La Pop Art è il risultato dell’unione tra società e cultura americana, ricca di immagini provenienti
dal cinema, dalla televisione e dalla pubblicità, trasformate in arte. Avvenne, così, un
capovolgimento di valori nel rapporto tra arte e pubblicità: se prima l’arte condizionava la
pubblicità, ora è la pubblicità a influenzare l’arte. Questa tendenza documenta, quindi, in maniera
precisa la cultura popolare americana. Infatti, il termine “Pop” è l’abbreviazione di “popular”. La
Pop Art trasforma in icone le immagini più note o simboliche tra quelle proposte dai mass-media,
senza alcun intento ironico o di denuncia. Il più grosso pregio della Pop Art è quello di
documentare, senza paura di sporcarsi le mani con la cultura popolare, i cambiamenti di valori
portati dal consumismo.
Il quadro “Coca-Cola 210 bottles” di Andy Warhol (1962) che ripete l’ossessiva immagine di una
bottiglia di Coca-Cola testimonia come quell’oggetto sia oramai divenuto un referente (in sem.
realtà esterna) più importante, rispetto ad altri valori interiori o spirituali, per giungere a quella
condizione esistenziale che i mass media propagandano come vincente nella società contemporanea.
La Coca-Cola è una delle icone americane per eccellenza; la sua inconfondibile bottiglietta ed anche
il font del marchio sono divenuti un emblema di vita giovanile e dinamica. Warhol realizzò diverse
opere con un’ossessionata volontà di riempire la tela di bottigliette, indicando la produzione in
serie. Analizzando il packaging, la bottiglia è tozza ma allo stesso tempo sinuosa. Il suo contenuto,
un liquido gassato dal colore scuro (poco gradevole alla vista), fornisce piccole dosi di
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soddisfazione istantanea. Nonostante i diversi restyling del packaging, la bottiglia definisce un
universo che resta statico. Il modo giusto di “indossare” la Coca-Cola è berla con la cannuccia o
"dalla bottiglia", esaltandone quindi l'aspetto ludico-performativo.
La Coca-Cola è un premio per il palato ed è una forma di trasgressione dalle regole normative
dell'infanzia. I valori inglobati dai genitori come la moderazione e la scarsità si frantumano quando
si usufruisce di questo prodotto. .
4. Il cambiamento dello statuto del brand
Il brand nel corso del tempo ha modificato il proprio statuto e la propria funzione principale.
In un primo momento, la marca ha assunto un valore funzionale cioè, intendeva assicurare benefit e
imporsi sul mercato secondo il valore dell’utilità.
Quando poi il mercato ha cominciato ad essere più ricco di proposte e di brand capaci di
assicurare lo stesso tipo di benefit, si è imposta la necessità di rendere comprensibile il proprio
differenziale creando un mondo semantico più astratto, ma più vicino agli stati emozionali dei
consumatori. Si tratta di quella che è stata definita marca aumentata, la quale affida alla pubblicità
il compito di far provare nell’animo del consumatore un benefit esclusivo legato al prodotto e alla
sua unicità. Questo lavoro è stato compiuto soprattutto nel corso degli anni Settanta e Ottanta,
periodo durante il quale lo sforzo comunicativo era teso alla costruzione della brand identity e
image.
Negli anni Novanta, si assiste ad una marca che punta in misura sempre maggiore sugli elementi
emozionali, rendendo la dimensione affettiva ed emotiva il canale di comunicazione privilegiato con
i propri consumatori. È attraverso lo scuotimento emotivo che il brand riesce a conquistare l’amore,
il rispetto e la fiducia del proprio consumatore.
Esistono le brand community for consumer che rappresentano l’impegno dell’azienda di utilizzare i
new media per costruire una comunità di relazioni attorno alla marca stessa. Ancor più importanti,
da questo punto di vista, risultano essere le brand community by consumer, intese come ambienti
comunicativi costruiti e abitati dai veri e propri fan di un determinato brand. Essi si scambiano
pareri, esperienze, idee e alimentano quell’alone di affettività verso quella marca. In questo caso è
opportuno ricordare che marche circondate da queste dimostrazioni di affettività, coinvolgimento,
esclusività, sono considerate dei lovemarks, ovvero dei brand specialissimi che mobilitano la
passione dei propri consumatori, i quali si riconoscono e si sentono parte di una comunità che
condivide la stessa visione del mondo, ovvero quella promossa dalla marca. 5