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Al contrario, in Giappone si è più abituati a vivere con i propri tabù in quanto l'individuo, pur temendo

la morte come gli occidentali, sembra averla assimilata nella propria vita quotidiana. A questo

proposito possiamo fare riferimento al capolavoro di Akira Kurosawa Il trono di sangue che è

realizzato sulla base di un'alternanza continua e brutale di scene violente e di scene caratterizzate

invece da un lirismo molto disteso e sostenuto. Ma l'esempio più complesso di questa "dialettica

dell'orrore", nel cinema giapponese, si ha nel film Fantomes japonais di un regista di nome Toyoda.

Questo film si articola sulla base di alternanze originali tra immagini caratterizzate da un pudore

suggestivo e da altre caratterizzate, invece, da un orrore estremamente brutale, che vertono

generalmente sullo stesso elemento. Ad esempio vi è una scena in cui il bandito uccide un vecchio in

una foresta: il colpo mortale e appena visibile mentre il cadavere cade fuori campo. Nell'inquadratura

l'assassino si china sul cadavere senza che lo spettatore possa sapere quello che sta facendo. In quel

momento arriva un altro bandito e a quel punto l'assassino lo informa del delitto dicendogli che ha

scorticato il volto del vecchio affinché nessuno potesse riconoscerlo. In questa scena, il regista sceglie

pertanto di adoperare l'orrore per suggestione mentre successivamente, una dopo l'altra,

successivamente, una dopo l'altra, due inquadrature mostrano brutalmente la testa scorticata del

cadavere a terra, e subito dopo la pelle del volto intatta, appesa a un arbusto. Attraverso questa

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particolare struttura, quindi, il regista dapprima solletica lo spettatore con l'orrore solo suggerito ma,

quando quest'ultimo crede che l'intervento dell'autore si limiti a questo, viene invece posto di fronte

all'orrore in tutta la sua crudezza e brutalità.

Il fastidio come forma di aggressione assume un ruolo sempre più rilevante nel cinema

contemporaneo. Uno degli esempi più significativi, in tal senso, è il film di Marcel Hanoun Il vero

processo di Carl-Emmanuel Jung che attraverso un processo immaginario, ripreso in modo del tutto

stilizzato (cioè con nessuna scenografia per il tribunale, ma semplicemente con dei personaggi filmati

separatamente su fondo nero e messi a confronto gli uni cogli altri attraverso il montaggio), ci mostra

dei documenti autentici sugli orrori dei campi di concentramento nazisti. Nel film, però, non sentiamo

mai le voci degli attori che recitano questi testi in modo intenso e partecipato; essi, infatti, sono letti

dalle voci meccaniche e neutre dei "traduttori", e questa sorta di distanziazione contribuisce già a

creare un senso di fastidio nello spettatore. Un'altra fonte di fastidio, inoltre, è rappresentata

dall'elaborazione formale del découpage e del discorso visivo che si sviluppano in modo arbitrario

rispetto alle frasi atroci che si sentono e che assumono talvolta anche la forma di una fantasia grafica

che appare del tutto gratuita. Quest'ultimo tipo di fastidio, in particolare, raggiunge il suo culmine verso

la fine del film, quando dopo una testimonianza dettagliata sulle condizioni all'interno delle camere a

gas, sullo schermo si hanno una serie di inquadrature che mostrano una ragazza nuda in un letto

disfatto. Questa immagine colpisce subito lo spettatore per la sua apparente gratuità; dopo alcuni

secondi, però, si sente la voce del giornalista che, rivolgendosi direttamente alla donna che ama, e

cioè alla donna sullo schermo, in quanto egli aveva immaginato spiega il suo incubo dal momento che

egli aveva immaginato che la donna avrebbe potuto essere vittima dei nazisti, trascinandosi nuda sul

pavimento di una camera a gas. Di fronte a questo film certamente alcuni spettatori più sensibili

potranno protestare per la gratuità della scena, affermando che non si può considerare la morte e la

sofferenza di milioni di ebrei come un oggetto estetico. Bisogna, però, considerare che molti registi,

anche fra i più importanti, hanno rappresentato il male come un oggetto estetico, solitamente

attraverso l'immaginario erotico. In questo senso, coloro che rifiutano l'atteggiamento di questi autori,

sono quelli che non riescono a considerare i campi nazisti e qualsiasi altro orrore come eventi facenti

parte della "drammaturgia della storia", a cui ogni regista ha diritto di attingere nel modo che più

preferisce.

CAP. 4 - RIFLESSIONI SUL SOGGETTO 19

9. Soggetti di finzione

Ad eccezione dei grandi cineasti dell'epoca primitiva come Méliès, Cohl, Feuillade etc., presso i quali il

soggetto rivestiva già una certa funzione formale, per il resto i cineasti tradizionali hanno adottato nei

confronti del soggetto due differenti atteggiamenti: hanno proclamato importante solamente il

soggetto, affermando che il modo di trattarlo conta solamente nella misura in cui lo si pone in risalto,

oppure hanno affermato, al contrario, che il soggetto non ha nessuna importanza, e che è importante

solo il modo in cui viene trattato. Questi atteggiamenti opposti, però, in realtà riflettono entrambi la

nozione, oggi completamente superata, secondo cui il regista metterebbe in scena dei film, cioè

trarrebbe dal soggetto una sceneggiatura da tradurre poi in immagini. Considerando questi due

atteggiamenti, quindi, per alcuni la messinscena rappresenta uno scopo di per sé, mentre per altri è

solamente un mezzo; entrambi, però, credono in un rapporto gerarchico tra soggetto e forma. Ci sono

comunque state delle eccezioni, come quella rappresentata dal film La regola del gioco di Jean

Renoir. Esso, infatti, si tratta di uno dei primi film "moderni" nel senso che il suo progetto è stato scelto

in funzione di ricerche formali a cui l'autore si stava dedicando in quel periodo, ma soprattutto nel

senso in cui la forma e la fattura stessa del film derivano da tale soggetto. Quando il cinema comincia

a prendere coscienza di tutti i mezzi che ha a disposizione, che permettono di realizzare dei film

coerenti sul piano organico, dove tutto funziona, il soggetto, ovvero ciò da cui si comincia per

l'elaborazione di un film, deve essere pensato in funzione della forma e della composizione finale.

Questo postulato è stato perfettamente compreso da Renoir nel momento in cui doveva scegliere il

soggetto del suo film. Questa nozione di soggetto che genera una forma, però, si può però ricavare il

meglio confrontando due film di Alfred Hitchcock, Nodo alla gola e Gli uccelli. In Nodo alla gola il

soggetto è caratterizzato da una costruzione classica in tre atti, da entrate e uscite teatrali ecc. La

fattura dell'opera, però, è risultato di un'opzione arbitraria, cioè la soppressione del cambiamento di

piano: in particolare, sul piano poetico essa si adegua perfettamente al soggetto, ma non deriva in

alcun modo da esso. Ne Gli uccelli, al contrario, l'intera struttura e fattura del film hanno origine dal

principio stesso del soggetto.

I cineasti possono definire il soggetto di un film a partire dalla sinossi del film stesso, ovvero ciò che il

letterato contemporaneo definirebbe, in forma riduttiva e in un certo senso spregiativa, il riassunto

dell'azione. Il letterato, infatti, dà maggiore attenzione ai fenomeni trascendenti, mentre al contrario il

cineasta, per via della materialità della sua arte, deve necessariamente collegarsi con la realtà

concreta e immanente. Ad esempio, se l'autore di romanzo definisce il soggetto di quest'ultimo

partendo da un problema di natura astratta, nel caso in cui un cineasta volesse sviluppare lo schema

di questo romanzo al cinema, l'astrazione del soggetto non gli sarebbe di alcuna utilità astratto, questo

perché il cineasta è interessato soprattutto alle strutture visive, concrete ecc. Il cinema, almeno quello

che si può definire "cinema di finzione", infatti, è fatto prima di tutto di immagini e di suoni.

Una delle tappe più importanti verso la definizione del soggetto "funzionale", si ha con l'opera di Alain

Robbe-Grillet, se letteraria che cinematografica, questo perché i suoi romanzi costituiscono un

tentativo del tutto originale di "cinema scritto". Considerando ad esempio il secondo romanzo da lui

pubblicato, Il voyeur, il soggetto di questo libro comprende un itinerario continuo ma spezzato al

centro di una grande ellissi all'interno della quale si verifica l'unico vero avvenimento della storia, cioè

un assassinio. Robbe-Grillet ha in sostanza creato un tipo di narrazione "proliferante" che cresce

progressivamente a partire da un'idea embrionale, per formare un insieme del tutto coerente, anche

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con le sue contraddizioni, vale a dire un insieme che riflette in ogni sua sfaccettatura la cellula,

l'embrione da cui ha avuto origine. Questo proprio grazie all'unità formale che contraddistinge tutti i

tutti i libri di Robbe-Grillet. Questa unità organica viene ulteriormente sviluppata nella sua prima

sceneggiatura, L'anno scorso a Marienbad; dove ogni inquadratura e ogni avvenimento rimanda ad

almeno uno dei momenti del film. Proprio facendo appello alla memoria dello spettatore, l'autore

riesce a far sì che in ogni momento il meccanismo del film rifletta, nel suo microcosmo, il suo stesso

soggetto. All'interno di questo grande principio unificatore, inoltre, si trovano anche gli infiniti fili

incrociati che collegano ogni inquadratura all'altra attraverso un itinerario che rafforza quello lineare

del montaggio. Anche nel suo primo film, L'immortale, Robbe-Grillet arriva a un elevato grado di

coerenza nel découpage, cioè nella successione degli avvenimenti, delle scene e delle inquadrature. Il

soggetto del film, in particolare, produce un graduale deterioramento della verisimiglianza attraverso

una specie di labirinto le cui coincidenze sono caratterizzate da una artificialità via via sempre più

crescente. Questa struttura-itinerario è presente ad ogni livello del film, dalla sequenza

all'inquadratura; infatti, via via che il film progredisce, aumentano sempre di più le sequenze e le

inquadrature che partono da una realtà apparentemente coerente per arrivare, attraverso le

contraddizioni e le coincidenze con cui si scontra il protagonista, a un'artificialità sempre più

stereotipata.

I soggetti di Marienbad e L'immortale sono spesso considerati oscuri. Nel caso di Marienbad, però, il

soggetto è oscuro solo se si intende l'azione che si svolge sullo schermo ispirata da una verità unica

che spiega tutto, cioè se si pensa che il film debba possedere una chiave di lettura che permette di

risolvere le contraddizioni, di stabilire che questa o

Dettagli
Publisher
A.A. 2013-2014
24 pagine
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-ART/06 Cinema, fotografia e televisione

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Valja di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Semiologia del cinema e degli audiovisivi e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Bari o del prof Mancino Anton Giulio.