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Discorso Seminario Archeologia Funeraria
Bisogna precisare che il termine "anomalo" è di per sé ambiguo, un'anomalia esiste solo se c'è un fattore di "normalità" che si frappone. Il problema delle sepolture anomale deve quindi opporsi in uno o più aspetti alle sepolture che potremmo definire "standard". Da questo punto di vista, quando si analizza una sepoltura bisogna calarsi nella cultura e nelle usanze della popolazione che si è occupata della sepoltura stessa e che oggi viene analizzata. Alla luce di tutto ciò l'argomento delle tombe anomale è di difficile approccio poiché quello che al giorno d'oggi sembra inconsueto e anormale, nel passato poteva rientrare nella norma. La sepoltura racchiude in sé un carattere soggettivo che non deve essere dimenticato e che è caratterizzato dalle volontà del defunto, della sua famiglia e della
Collettività. Proprio per questo motivo la sepoltura, in particolare se anomala, può apportare nuove conoscenze dell'uomo del passato, analizzando il suo modo di pensare e le sue credenze relative alla morte. Fatta questa precisazione passiamo agli autori di questo articolo:
Fabio Redi è professore ordinario di Archeologia Medievale presso l'Università degli Studi dell'Aquila. Le tematiche di ricerca del Redi riguardano prevalentemente le problematiche relative all'edilizia medievale, il fenomeno dell'incastellamento, le tecniche e materiali costruttivi.
Alfonso Forgione è archeologo medievista ed è responsabile del Laboratorio di Archeologia presso il dipartimento di Scienze Umane dell'Università dell'Aquila. Si occupa inoltre dei diversi scavi dell'Ateneo.
Francesca Savini si è dottorata presso l'università degli studi dell'Aquila in Archeologia Medievale e le sue ricerche si
concentrano soprattutto sul patrimonio bio-archeologico con l'analisi di sepolture antiche e quello architettonico sul quale sta portando avanti delle ricerche in collaborazione con il CNR dell'Aquila.
Valeria Amoretti è dottoressa in archeo-antropologia. Oggi è consulente scientifico del Parco Archeologico di Pompei e collabora con il Laboratorio di ricerche applicate degli scavi effettuati nel medesimo parco.
Detto questo passiamo alla localizzazione del sito che è stato fonte di ricerche.
La cappella di San Cerbone sorge nella porzione meridionale del golfo di Baratti, a nord del centro urbano di Populonia. La costruzione si affaccia sull'unica via di comunicazione che collega Populonia Alta al comune di Piombino.
A questo punto bisogna spendere qualche minuto sulla figura del santo a cui è dedicato il luogo di culto.
Cerbone fu vescovo di Populonia nel VI secolo. Del santo vescovo parla anche papa Gregorio Magno nei suoi
“Dialoghi”. Scampato alle persecuzioni longobarde, Cerbone si rifugiò nell’arcipelago toscano. Prossimo alla morte, il vescovo chiese di essere seppellito nella sua sede episcopale. Morto, i suoi seguaci attraversarono di notte il canale di Piombino e riuscirono a seppellire il corpo del futuro santo, secondo la tradizione, nel luogo dove ora sorge la cappella a lui dedicata.
Proprio con lo scopo di rintracciare le spoglie del santo vescovo la Soprintendenza di Livorno in collaborazione con L’università degli studi dell’Aquila ha avviato dal 2006 una serie di indagini archeologiche. Gli interventi hanno interessato tutta l’area antistante la facciata dell’attuale edificio di culto e un’ampia porzione a Sud-Ovest.
In totale sono stati individuati 6 edifici collocabili cronologicamente in una forbice cronologica che va dal X-XI secolo al XVIII secolo. Della sepoltura di Cerbone non è stata rinvenuta nessuna traccia. L’evidenza
archeologica più antica risulta essere l'edificio 2 collocabile all'X-XI secolo d.C. L'edificio 4 sembra essere il primo edificio di culto dedicato al santo. Tutti gli altri apparati murari sono riconducibili a strutture funzionali al luogo di culto. Rationes Deciumarum Italiae le documentano nel 1298 la presenza di una chiesa battesimale riconducibile alla chiesa di S. Cerbone. Ciò fa presupporre un probabile uso funerario dell'area circostante l'edificio stesso. Tutto questo è stato confermato con il rinvenimento nelle campagne di scavo 2006-2008 di un cimitero a sud-ovest dell'edificio oggi presente e da mettere in relazione con l'edificio 1. In totale sono state indagate 319 sepolture che sono collocabili cronologicamente dal XII al XVI secolo. Tutto ciò è da mettere in relazione ad un insediamento portuale non ancora individuato. Molto interesse ha destato il rinvenimento della sepoltura 64 avvenuta nel 2008. La sepolturaè stata individuata nel limite S-E dell’area di scavo e acirca 6 metri dal cantonale destro dell’edificio 1.
L’inumato della tomba S64 risulta essere adagiato in una fossaantropomorfa. All’interno è stato individuato uno scheletro di sesso femminile.
Il cranio dell’individuo ospitava 5 chiodi nel cavo orale (3 ricurvi). Altri 13 chiodi circondavano il copro della donna. Un chiodo aveva trapassato la spalla destra conficcandosi nella prima costa. Un altro chiodo aveva intaccato la parte superiore del femore sinistro. Un ultimo si era conficcato fra le costole all’altezza del cuore.
La tomba è stata realizzata per una donna adulto-matura. Bisogna sottolineare l’assenza di tracce organiche riconducibili ad una cassa lignea che custodiva il copro durante la sepoltura.
La donna è stata rinvenuta in giacitura primaria in decubito dorsale orientata verso Sud-Ovest/Nord-Est.
L’uso di un laterizio come cuscino funebre appartenente
Ad una struttura funeraria antecedente ha comportato il rinvenimento del cranio della defunta ad una quota maggiore rispetto al resto del corpo. Nel cavo orale della donna sono stati individuati 5 chiodi. Altri erano posti intorno al corpo con lo scopo di affiggere il sudario a terra. Inoltre, altri studi hanno evidenziato che alcune parti del corpo erano state inchiodate. Alcuni distretti scheletrici sono stati rinvenuti distanziati da altri a causa della forza di gravità, dei gas di decomposizione e all'azione di animali terricoli. Il sudario funebre ha comportato la verticalizzazione delle clavicole. L'individuo di sesso femminile risulta essere deceduta in un'età compresa tra i 45 e i 55 anni. Sono assenti segni di denutrizione, dato che farebbe pensare all'appartenenza della defunta ad una classe sociale non fra le più povere. Alcuni muscoli appartenenti al cinto scapolare e arto superiore sono stati particolarmente utilizzati. A ciò si somma un
evidente logorioextramasticatorio a carico degli incisivi superiori. Questi dati fannoipotizzare che la donna conducesse un lavoro collegato alla filatura.Sono da escludere operazioni di tortura che abbiano lasciato segnivisibili sulle ossa.3 dei 5 chiodi posti nella bocca della defunta erano ricurvi, dunquepiù di valore simbolico che funzionale. 3 chiodi hanno trapassato lecarni intaccando l'apparato scheletrico. Inoltre, i chiodi si trovavanoin corrispondenza di punti nodali della circolazione sanguigna.Dunque ricapitolando l'inumato di sesso femminile della tomba S64ha evidenziato le seguenti anomalie: - La presenza di 5 chiodi nel cavo orale, 3 dei quali ricurvi; - Un chiodo ha intaccato la spalla destra, conficcandosi nellaprima costa; - Un chiodo ha intaccato la parte superiore del femore sx; - Un chiodo è stato conficcato tra le costole in prossimità delcuore; - Altri chiodi (10?) circondavano lo scheletro della defunta con ilprobabile compito diBaratti, in cui si ipotizza la presenza di rituali necrofobici e/o apotropaici. bloccare e tenere ben saldo il sudario funebre a terra. Alla luce di questi dati possiamo ipotizzare che dietro la sepoltura dell'inumata di Baratti si celino rituali necrofobici e/o apotropaici. La paura dei redivivi è attestata già in epoca antica. Attestazioni di pratiche necrofobiche si attestano già nel IV-III secolo a.C. in sepolture di popolazioni celtiche presso la necropoli di Casalecchio del Reno (Bologna), in cui è presente un inumato che presenta tracce nerastre sulle ossa riconducibili a cinghie in pelle animale con lo scopo di stringerlo e legarlo a terra. Historia rerum Anglicarum Qui riportato è un passo della di Guglielmo di Newburg in cui si racconta un episodio di revenantismo (tizio di dubbia moralità morto che nella notte girava in città per spaventare i vivi. Alla fine, i notabili della città decidono di mutilare il cadavere e bruciarlo). Caso con cui può essere confrontato il caso dell'inumata di Baratti.Baratti è quello della cosiddetta "vampira" di Venezia. Nella fattispecie durante gli scavi che interessarono l'isola del Lazzaretto Nuovo fu rinvenuta una sepoltura di un individuo di sesso femminile che ospitava un laterizio nella bocca. Il contesto in questione è stato datato al XVI-XVII secolo. Considerando la stagione epidemica che interessò il territorio di Venezia in questo periodo, e considerando il laterizio posto nella bocca della defunta come una cosa voluta e non casuale, il tutto potrebbe essere ricondotto ad un caso di "masticatori di sudario". Il termine "masticatori di sudario" era ben conosciuto in epoca medievale. Questa categoria rientrava nella grande classe dei redivivi. Il termine potrebbe derivare da eventi fisiologici che interessano il copro del defunto in fase di decomposizione. In particolare modo, i liquidi fuoriusciti dal copro bagnavano il sudario funebre e causavano il deterioramento di questo, dandoL'idea di essere effettivamente mangiato. Si pensava che questo processo fosse causa di stagioni epidemiche. Nella fattispecie riporto un caso di masticatore di sudario riportato nel Malleus Maleficarum (testo scritto tra il 1486-1487).
Città quasi fantasma per una morte generalizzata degli abitanti. La causa fu imputata ad una donna da poco morta che masticava il suo sudario funebre. Allora il prevosto della città estrasse la spada dal suo fodero e recise la testa della defunta e la gettò in una fossa. Improvvisamente l'epidemia di peste finì.
Ultimo caso che qui riporto è quello di un individuo che evidenzia una chiodatura a terra. Durante gli scavi che interessarono una porzione a nord della Stazione Centrale di Bologna per la costruzione della stazione per i treni ad