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PIASTRINOSI
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Il processo contrario prende il nome di piastrinosi. Un paziente con un aumento del numero di piastrine avrà
una tendenza alla trombosi, che può essere prevalentemente arteriosa e meno frequentemente venosa e può
interessare tutti gli organi, soprattutto quelli nei quali la circolazione è capillare. Sono molto frequenti le
trombosi a livello del circolo cerebrale, che possono dare origine ad una sintomatologia sensitiva o motoria a
seconda dell’area interessata. Da un punto di vista sintomatologico il paziente presenterà segni e sintomi
dell’organo interessato e da un punto di vista diagnostico l’emocromo è il primo esame che si deve fare.
Le cause della piastrinosi possono essere splenectomia, che provoca una diminuzione dell’emocateresi
oppure in linea di massima esse possono essere legate ad una reazione all’evento traumatico che le ha
scatenate (processi emorragici e processi infettivi) e vengono quindi definite reattive. Possono essere legate
ad un’aumentata produzione da parte del megacariocita che diventa una cellula neoplastica.
Le piastrine se sono scarsamente differenziate non arrivano ad un processo di maturazione e quindi invece di
provocare una piastrinosi reale, provocano una piastrinopenia; se invece sono quasi ben differenziate
producono la cellula finale.
Le leucemie del megacariocita possono essere acute o croniche. Nelle forme acute il megacariocita è
talmente anaplastico che non riesce a produrre le piastrine e invade anche il midollo dando origine ad una
aplasia periferica generalizzata. Nelle forme croniche, come nella trombocitemia essenziale, il
megacariocita produce tante piastrine e si avrà una piastrinosi. Il numero delle piastrine aumenta a un livello
molto alto che supera il milione di unità per microlitro. La conseguenza è che l’organo bersaglio diventerà
iperplastico nel tentativo di distruggerle e quindi la milza aumenterà di volume. Quindi anche nelle leucemie
è necessario valutare il volume della milza.
DEFICIT DEI FATTORI DELLA COAGULAZIONE
La coagulazione è la terza fase dell’emostasi; è formata da una via comune che porta alla degradazione del
fibrinogeno in fibrina, e poi da una via estrinseca e da una intrinseca.
La via intrinseca ha una serie di fattori della coagulazione che sono numerati con numeri romani; parte dal
fattore XI fino ad arrivare all’attivazione del fattore X che diventa fattore Xa, dove “a” indica il fatto che è
stato attivato. Le due vie convergono attivando la protrombina in trombina e il fibrinogeno in fibrina. In linea
di massima le patologie genetiche, come le emofilie, determinano un’alterazione e quindi una riduzione nella
produzione di alcuni fattori della coagulazione, prevalentemente quelli della via intrinseca. Quelli della via
estrinseca, da un punto di vista genetico, sono molto meno influenzati da patologie di tipo deficitario.
Un paziente con deficit di uno dei fattori della coagulazione presenterà un maggior rischio di emorragie. Il
sanguinamento da un punto di vista temporale sarà più tardivo ma sarà più profondo (interesserá gli strati più
profondi della cute). Il paziente tenderà ad avere ecchimosi, ematomi ed emartro, ovvero emorragia a
livello delle articolazioni. Da un punto di vista sintomatico il paziente non presenterà nulla se non in seguito
all’evento traumatico che ha scatenato il sanguinamento.
In questi casi, bisogna studiare la coagulazione, valutando la via intrinseca ed estrinseca. Per fare ciò bisogna
calcolare il tempo di protombina (PT) e tempo di tromboplastina parziale (PTT). Il PT valuta tutti i
fattori della via estrinseca, mentre il PTT valuta ciò che riguarda la via intrinseca. Oltre PT e PTT, vi è un
altro esame di laboratorio: la valutazione quantitativa del fibrinogeno. Il fibrinogeno ci dà il valore
numerico della proteina presente nel sangue, mentre il PT e PTT sono metodi coagulativi e quindi vengono
espressi in secondi. Per valutare la coagulazione serve il plasma, cioè la parte non corpuscolata del sangue,
che contiene ancora i fattori della coagulazione.
Quello che ci interessa sapere è se il tempo in secondi che impiega il sangue di un individuo a coagulare è
più o meno normale. Questo si fa rapportando il tempo in secondi con il tempo in secondi di un pool di
donatori definiti normali. Accanto ai due esami di laboratorio sopracitati PT e PTT, troviamo altre due sigle:
INR e RATIO, che sono il rapporto tra il tempo in secondi del paziente e il tempo in secondi del pool dei
donatori. Tanto più è alto questo rapporto, tanto maggiore è il tempo in secondi che il sangue del paziente
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che stiamo esaminando ha impiegato per coagulare. Il rapporto numerico oscilla tra i valori di riferimento di
0,8 e di 1,2.
Le cause di un deficit di un fattore della coagulazione possono essere diverse. In un sistema coagulativo che
funziona bene, deve essere presente il fibrinogeno, prodotto dal fegato (la valutazione di questo parametro ci
dà, infatti, informazioni dirette sulla funzionalità epatica). Se invece troviamo alterati il PT o il PTT, bisogna
capire il perché. Se il PTT è alterato, la prima cosa da pensare è che il soggetto abbia un deficit in uno dei
fattori della coagulazione. Si può procedere andando a dosare ogni singolo fattore della coagulazione, ma ciò
è costoso. In genere si preleva il plasma del paziente e il plasma di un soggetto normale; se questo va a
correggere il PTT o il PT il soggetto ha un deficit di un fattore della coagulazione; se invece non va a
correggerlo è probabile che ci sia un anticorpo che impedisce tutto ciò.
Nel caso del PT aumentato, i fattori della via estrinseca saranno deficitari o non prodotti. Siccome i fattori
della coagulazione della via estrinseca sono prodotti al livello epatico e necessitano prevalentemente della
presenza della vitamina K, è possibile che i pazienti che abbiamo un’alterazione del PT siano o epatopatici o
stiano assumendo farmaci che interferiscono con il metabolismo della vitamina K.
ECCESSO DEI FATTORI DELLA COAGULAZIONE
Le patologie in eccesso di fattori della coagulazione (processo della coagulazione iperattivato) possono
portare a trombosi venose (si possono avere anche patologie arteriose, ma quelle venose sono molto più
comuni).
Per parlare di tromboembolismo venoso, dobbiamo riferirci alla triade di Virchow:
1. Stasi: tutto ciò che rallenta il flusso determina una maggiore probabilità di un’attivazione piastrinica
e della coagulazione;
2. Flusso: in genere in un vaso è laminare, ma se il vaso è alterato il flusso diventa turbolento;
3. Trombofilia.
Nel tromboembolismo venoso rientrano la trombosi venosa profonda e l’embolia polmonare.
TROMBOSI VENOSA PROFONDA
Le possibili cause di una trombosi venosa profonda sono diverse. Una causa è l’immobilità, che crea stasi.
Tutte le condizioni che predispongono all’allettamento rappresentano un fattore predisponente all’insorgenza
della trombosi venosa profonda.
Altre cause sono le alterazioni della parete del vaso, come nel caso delle varici, che si formano
prevalentemente a carico degli arti inferiori. In assenza di varici, la causa più comune di alterazione vasale è
il trauma. Un evento traumatico può alterare la parete del vaso e ciò porta a trombosi venosa profonda. La
spugna plantare è fondamentale per garantire il ritorno venoso al cuore. Quando camminiamo o quando
stiamo in piedi (in questo caso dovremmo metterci ogni tanto sulle punte), la compressione dei vasi presenti
nel piede permette di spingere il sangue verso il cuore.
L’unico sintomo di trombosi venosa profonda è il dolore. Il paziente potrebbe presentare anche prurito o
rialzo termico.
ESAME OBIETTIVO
Ispezione: la gamba o il piede risultano tumefatti perché è ostacolato il ritorno venoso, quindi ci sarà edema.
A seconda del grado di ostruzione il paziente è cianotico. Ci possono essere segni di varici.
Palpazione: il soggetto al termotatto presenta piede o arto caldo perché il sangue non defluisce (a differenza
di una patologia arteriosa in cui l’arto sarà pallido e freddo). Si valuta la dolorabilità: la palpazione evocherà
dolore.
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Ci sono alcuni segni caratteristici: il primo è la flessoestensione del piede sulla gamba, che evocherà
dolore, e il secondo è la contrazione del muscolo del polpaccio. Il paziente presenterà una postura
caratteristica: tenderà ad alzare il piede perché ciò facilita il deflusso venoso. L’arteriopatico, invece, tenderà
a lasciare il piede fuori dal letto, per ostacolare il ritorno venoso.
Se si va a comprimere la parete del vaso in caso di trombo, la parete stessa diventa anaelastica.
TEST DIAGNOSTICI
Il test che si sceglie è l’ecocolordoppler, che ci consente di valutare con la metodica ecografica la parete del
vaso, che nella maggior parte dei casi si presenterà non canalizzata. Possiamo valutare anche la turbolenza
del flusso: in presenza di trombi, all’ecocolordoppler si osserva un flusso turbolento.
Un parametro che deve essere valutato è quello relativo alla fibrinolisi, considerata come tutto ciò che porta
alla degradazione del fibrinogeno. L’esame prende il nome di D-dimero. In tutte le patologie venose che
determinano l’attivazione della coagulazione non si va a valutare la coagulazione in quanto tale ma
l’attivazione della coagulazione in maniera indiretta attraverso il D-dimero.
Nds: Il D-dimero è un prodotto di degradazione della fibrina (FDP), un frammento proteico rilevabile nel
sangue in caso di fibrinolisi. Il nome della sostanza deriva dal fatto che è costituito da due frammenti D di
fibrina, stabilizzati da legami crociati covalenti. Il peso molecolare del D-dimero si aggira intorno a
180.000 dalton e l'emivita è pari a 4-6 ore. La sua determinazione mediante un esame del sangue oggi trova
indicazione clinica nella diagnosi dell'embolia polmonare, della trombosi venosa profonda e della
coagulazione intravascolare disseminata. La misurazione presenta alta sensibilità (poiché se basso ci può
permettere di escludere una patologia trombo-embolica di tipo coagulativo) ma bassa specificità (se D-
dimero è alto, non è detto che ci sia esclusivamente patologia trombo-embolica).
A questo punto il paziente con trombosi venosi profonda deve essere trattato con un insieme di farmaci che
agiscono sul sistema della coagulazione, per evitare che si formi un embolo.
EMBOLIA POLMONARE
Un embolo è un corpo estraneo al normale flusso sanguigno, che si stacca da un trombo presente all’interno
di un vaso e può spostarsi grazie al flusso sanguigno. Può