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1. Introduzione.
La Selvicoltura (o Silvicoltura) è la scienza che studia l'impianto, la coltivazione e l'utilizzazione dei boschi.
Il bosco, dal punto di vista delle scienze naturali, è un ecosistema composto da più strati (arboreo, arbustivo, erbaceo) posti sul suolo che, a sua volta, è caratterizzato da strati o orizzonti con specifiche proprietà fisiche, chimiche e biologiche. Le variazioni e gli interventi antropici sullo strato arboreo incidono sull'intero ecosistema. Insieme con gli alberi convivono, inoltre, in perfetta armonia ed in stretti rapporti gerarchici di dipendenza, specie vegetali e organismi animali, superiori ed inferiori, nell'ordine di migliaia di individui per metro quadrato.
Selvicoltura in senso stretto significa tutto quell'insieme di interventi che vanno dai tagli di rinnovazione ai tagli intercalari i quali permettono la coltivazione del bosco garantendo la sua rinnovabilità; il prelievo legnoso che se ne ricava viene valutato in termini di sostenibilità, ovvero uno sfruttamento ponderato di una risorsa che viene mantenuta rinnovabile; in questo si differenzia dalla cosiddetta "utilizzazione di rapina" che non considera questi (fondamentali) aspetti ecologici. Ne risulta quindi che la selvicoltura è una scienza complessa che poggia teoricamente sull'ecologia e all'atto pratico sulla dendrometria, l'auxologia, le utilizzazioni e l'assestamento (che stimano la quantità prelevabile, le dinamiche dei popolamenti, gestiscono il bosco stimando interventi etc..).
La selvicoltura si distingue in selvicoltura Generale, la quale studia le relazioni intercorrenti tra il bosco e l'ambiente in cui esso vive, l'evoluzione del bosco, le modalità di impianto, la rinnovazione e la sua utilizzazione, ed in selvicoltura speciale, che studia le esigenze ecologiche e le tecniche colturali delle singole specie arboree forestali.
Va distinta, inoltre, la selvicoltura dall'arboricoltura da legno, che si occupa delle piantagioni arboree industriali per fini commerciali. La selvicoltura dunque si basa sulle conoscenze scientifiche degli equilibri e delle caratteristiche degli ecosistemi forestali, naturali o creati dall'uomo, tanto che si può parlare di: selvicoltura naturalistica che si occupa della conservazione dell'ecosistema forestale, per mantenerlo il più possibile simile a quelli naturali, subordinando allo scopo principale la quantità e qualità del prelievo di legname per usi commerciali; si parlerà invece di selvicoltura agronomica riferendosi alla disciplina tecnica che cerca di conciliare le esigenze economico-produttive tendenti alla massimizzazione della resa in massa legnosa della foresta; con le esigenze di mantenimento degli equilibri ecologici, geologici e ambientali del patrimonio boschivo. Tutto ciò viene contestualizzato nel bosco antropizzato, quello cioè sottoposto a periodici prelievi, spesso inserito in un’azienda agro-silvo-pastorale.
2. La Selvicoltura naturalistica e l' arboricoltura da legno.
Il bosco è sempre stato oggetto di un notevole ed intenso sfruttamento. In Italia, a partire dagli anni cinquanta, a seguito del progressivo abbandono della campagna, con la conseguente diminuzione delle attività legate alla pastorizia e alla zootecnia, il bosco ha ricominciato a rivivere un momento di sorprendente recupero.
Ma se da un lato il bosco ha recuperato dal lato quantitativo, dall'altro, ha subito nuovi tipi di aggressioni causate da un nuovo modello incontrollato di sviluppo economico.
Il bosco va visto quindi non solo come un ricco patrimonio da sfruttare o come un prezioso bene sociale di cui godere, ma anche come una ricchezza collettiva da tutelare, controllandone attentamente la salute e lo sviluppo.
Da qui nasce la selvicoltura naturalistica, che posa su basi scientifiche, ed è così definita perché opera assecondando, senza forzature, i processi evolutivi naturali. Essa favorisce, con interventi.
puntuali di taglio, il processo di perpetuazione del bosco nei tempi e nei luoghi in cui esso si manifesta spontaneamente. In quest’ottica si inserisce la legge 8 agosto 1985 n. 431 (legge Galasso) che include boschi e foreste tra i beni assoggettati ex lege a vincolo paesaggistico, garantendo la conservazione del bosco da ogni fattore che ne comprometta la forma e la consistenza, in quanto esso acquisita la natura di bene immodificabile nella sua destinazione, poiché qualsiasi mutamento produce alterazioni nel paesaggio di cui esso è parte.
La sopra citata legge Galasso, inoltre, non sottoponeva il taglio colturale (la raccolta del legname al termine del ciclo produttivo degli alberi) ad alcuna autorizzazione, fermo restando la conformità alle prescrizioni di massima che sanciscono il necessario visto dell’autorità forestale in presenza di vincolo idrogeologico, poiché esso è il fine a cui tende l’attività selvicolturale. Un’importante sentenza della Corte Costituzionale (Sent. 29 gennaio 1996 n.14), poi confermata nell’art.152 lett.b, D.Lgs. 490/1999, ha, inoltre, sancito che il taglio colturale non richiede l’autorizzazione paesaggistica, poiché anche nelle zone paesisticamente vincolate non può escludersi l’attività agro-silvo-pastorale a patto che questa non alteri in maniera permanente tali luoghi e che vengano rispettate le prescrizioni di massima.
Scopo primario della selvicoltura naturalistica, comunque resta l’utilizzazione della produzione legnosa, ma se il taglio, viene eseguito secondo precise regole scientifiche, l'effetto ottenuto è prevalentemente biologico ed il miglioramento colturale.
Mentre la selvicoltura tradizionale esalta soprattutto l'azione protettiva, idrogeologica del bosco, quella industriale o propriamente chiamata arboricoltura da legno (rimboschimento) esalta in particolare quella economica e produttiva.
Questo tipo di coltivazione detta anche selvicoltura agronomica si insedia prevalentemente nei terreni agrari incolti.
In tal caso prevale solo lo strato arboreo, realizzato con la messa a dimora di piantine ed anche di semi; spesso tale soprassuolo è monospecifico, coetaneo, posto su seminatavi, impoveriti della ricca vita biologica, presente invece nei boschi naturali. Le specie maggiormente coltivate a questi fini sono appunto le conifere (abete, pino, larice, cipresso, cedro) e le latifoglie (pioppo, eucalipto, ontano, platano, quercia, ciliegio, frassino).
Riguardo all’attività imprenditoriale esercitata nell’arboricoltura da legno, esistono incertezze relative al fatto che essa sia da considerare una sottocategoria dell’attività imprenditoriale di selvicoltura ovvero sia da collocare all’interno dell’ agricoltura in senso stretto. Benché sulla seconda opzione si sia orientato il D.Lgs. 227/2001 definendo l’arboricoltura da legno “coltivazione di alberi in terreni originariamente non boscati, finalizzata esclusivamente alla produzione di legno e biomassa e reversibile al termine del ciclo colturale”, a riguardo permangono molte correnti contrastanti in dottrina, le quali sostengono che in tal maniera si sottrarrebbe all’alla categoria di selvicoltura una delle sue più importanti forme imprenditoriali.
In campo forestale si può scegliere tra la meccanizzazione intermedia e quella avanzata. La prima è una meccanizzazione semplice, basata sulle attrezzature già disponibili in agricoltura, quali la motosega, il trattore, il rimorchio, il verricello. La seconda, invece, è una meccanizzazione che utilizza costose attrezzature, capaci di raggiungere più elevate capacità rispetto alla meccanizzazione intermedia. Le più importanti sono la gru idraulica, la sramatrice, la abbattitrice, il trattore articolato, la scortecciatrice, l'appuntapali, la gru a cavo, la segheria mobile, i decespugliatori forestali.
8. Funzioni del bosco e valutazione dei suoi benefici.
Nella rappresentazione della distribuzione territoriale delle varie colture, fatta dal Thunen, in fasce territoriali concentriche, le foreste sono ubicate nel secondo livello. La distanza di circa 150 anni dalla elaborazione dell'illustre economista tedesco, si può a ragione ritenere che lo schema proposto abbia ancora, sia pur con motivazioni diverse, una sua validità.
I boschi hanno assunto sempre più aspetti e funzioni, un tempo trascurati e sottovalutati, a tal punto che si può ipotizzare come la città del duemila debba essere circondata da una fascia protettiva verde per l'ossigenazione dell'aria, per alleviare e sedare lo stress a cui va incontro l'uomo moderno, per attenuare il rumore, vero inquinamento invisibile sempre più in agguato alla salute fisica e psichica, per rallentare la velocità degli inquinamenti.
Oltre al bosco urbano va rivalutato nel suo complesso, anche in termini economici, il bosco diffuso, sia quello prevalentemente produttivo, costituito da essenze forestali a rapida crescita e destinato all'approvvigionamento di materiale legnoso, sia quello marcatamente protettivo. Quest'ultimo è ubicato lungo i pendii a difesa dei versanti, per rallentare la velocità di deflusso delle acque meteoriche, per ridurre gli eccessi dell'erosione, per la difesa dalle valanghe e contro il rotolamento dei sassi, specie in montagna, per rigenerare la fertilità del terreno.
Distribuzione territoriale di Thunen.
- Pascoli e boschi protettivi
- Colture estensive-bosco produttivo
- Colture semi-intensive
- Colture intensive
- Bosco urbano
- Ortofrutta-fiori
- Città