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Nel piano, si sostiene il metodo da osservare nelle scuole primarie comunali, cioè normale o lancasteriano a
seconda delle esigenze della popolazione; il metodo normale doveva essere adottato nelle scuole private e in
quelle dei comuni con una popolazione inferiore ai 4000 abitanti; il metodo lancasteriano doveva essere
adottato nelle scuole di quei comuni con più di 4000 abitanti. La scuola normale pubblica risultava essere
composta di due classi: la prima classe, dove si insegnavano il saper leggere, scrivere, le prime quattro
operazioni dell'aritmetica e il catechismo di religione; nella seconda classe, si insegnavano la declinazione e
coniugazione dei verbi italiani, le quattro operazioni e il catechismo di religione. Per l'ottava classe (che
sarebbe la 5° elementare) veniva utilizzato il metodo lancasteriano, e la commissione indicava i libri di testo
da adottare.
Completava la riorganizzazione delle strutture scolastiche l'istituzione di deputazioni comunali composte dal
sindaco, di un arciprete e di un decurionato (amministrazione comunale). A tali deputazioni erano affidati
alcuni incarichi come il controllo delle somme stanziate per il mantenimento delle scuole; osservazione dei
doveri di studio; assiduità nella frequenza della scuola; formulazione di un quadro complessivo della
situazione delle scuole popolari; l'elaborazione di una relazione mensile da cui doveva emergere il metodo
adottato e l'attività dell'insegnante; il profitto degli alunni; i sussidi di cui la scuola era fornita; verificare che
gli insegnanti istruissero con dolcezza e persuasione i loro allievi.
All'impegno della commissione non corrispose però un pari interesse da parte delle amministrazioni
comunali su cui ricadevano le spese per il mantenimento e funzionamento delle scuole popolari.
• Gli Anni della Speranza
Alla morte di Francesco I, la situazione economia e politica nel Regno delle due Sicilie, si presentava piena
di difficoltà, e da ciò vi era la necessità di prendere dei nuovi provvedimenti.
Con la salita al trono l'8 novembre 1830 di Ferdinando II, la situazione si trovava quasi sul fronte
rivoluzionario, che a momenti poteva anche investire il regno borbonico.
Egli la prima cosa che fece fu sconfessare l'operato del padre ottenendo consensi da parte del popolo, i quali
lo sentirono parte di loro. Infatti Ferdinando II, emanerà una serie di proclama nei quali inizialmente
prometteva una retta e imparziale amministrazione della giustizia e una riduzione del carico fiscale.
Successivamente furono pubblicato due provvedimenti: il primo prescriveva il contenimento delle spese di
corte; il secondo riguardava il dimezzamento del dazio sul macinato (grano), che a sua volta comportava
anche una riduzione del carico fiscale dei comuni. Questo nuovo atteggiamento politico rafforzato dal senso
di napoletaneità e dal fatto che il re spesso interveniva al fine di far sentire la sua volontà determinò nel
paese un clima di fiducia.
Meno solleciti furono i provvedimenti riguardanti i domini insulari per via dell'incertezza del re e per
l'opposizione della classe dirigente napoletana e infine per le difficoltà esistenti tra le due parti del regno.
Non bisogna dimenticare che anche dopo l'unificazione dei domini borbonici in un unico regno, le due entità
erano due società diverse, le quali tentano l'una di colonizzare l'altra.
1. L'istruzione primaria
Con questo clima che si venne a creare, si contribuì all'emanazione di alcuni provvedimenti che investirono
l'istruzione popolare. Tra le prime disposizioni vennero sbloccati gli arretrati, perché si è verificato che la
retribuzione, per i più svariati motivi, veniva data molti anni dopo rispetto all'anno in cui il servizio veniva
prestato. 5
Ketty Aloisi
Con l'emanazione di questo provvedimento venne eliminata una delle cause che incise negativamente sul
processo di alfabetizzazione; ma non avendo un valore retroattivo, non eliminò il contenzioso degli anni
precedenti e perse di efficacia col tempo. Un secondo atto fu emanato per rimarginare le piaghe del regno e
contenere i deficit del bilancio statale. Questo provvedimento oltre a rivelarsi inadeguato, si rivelò deleterio
per la diffusione dell'istruzione pubblica.
Le conseguenze dei due decreti e della circolare inviata dal Ministero dell'Interno, provocarono in tutte le
provincie continentali una contrazione del numero di maestri e allievi e dei comuni forniti di scuole popolari.
Molte amministrazioni comunali sospesero le nomine e interruppero i pagamenti di stipendio.
In Sicilia nei primi anni di Ferdinando II nonostante i provvedimenti si limitassero ad affrontare gli aspetti
marginali del problema dell'alfabetizzazione, non si verificò quel processo verificatosi nei domini
continentali dove l'emanazione dei decreti tendenti a ridurre il deficit, determinarono la diminuzione del
numero di maestri e contrazione del numero degli allievi. In Sicilia quindi si assistette all'incremento del
numero dei comuni nei cui bilanci era scritta la spesa per il mantenimento del maestro, ma a tale aumento
non corrispose l'aumento del numero delle scuole e degli allievi presenti nel territorio.
Alla mancanza di un vero e proprio interesse da parte delle autorità centrali per i problemi legati
all'istruzione di ogni ordine e grado, la commissione mandò dei solleciti per far fronte alla situazione.
Le amministrazioni comunali erano anche sollecitate a formulare la terna degli aspiranti e a retribuire con
regolarità gli insegnanti. Questi solleciti dimostrarono come mancasse una vera coscienza del problema e
della volontà a risolverlo.
La mancanza di una politica attiva, le basse retribuzioni e lo scarso interesse delle scuole popolari per
l'istruzione non impedirono l'incremento del numero delle scuole popolari maschili. Nonostante questo lieve
miglioramento, la situazione rimaneva precaria.
Contro la scarsa considerazione in cui era tenuta l'istruzione numerosi reclami furono inoltrati da parte di
consigli provinciali e comunali, i quali non mancarono di avanzare anche delle proposte. Tra le proposte
ricordiamo un regolamento nel quale venivano definiti i programmi di ogni ordine di scuola. Il 10 gennaio
1843 si ebbe la pubblicazione di un decreto che affidava alle autorità ecclesiastiche l'istruzione primaria.
L'istruzione primaria fu affidata ai vescovi, i quali furono autorizzati a scegliere i maestri e le maestre delle
scuole primarie. Le scuole dovevano essere stabilite per preferenza, per i fanciulli nei conventi e monasteri,
per le fanciulle nei ritiri e nei conservatori di donne. In ogni capoluogo di provincia e nei comuni in grado di
mantenerle, vi si prescriveva l'istituzione di scuole di mutuo insegnamento le quali erano dirette per la
disciplina con i metodi e i libri elementari approvati dalla commissione e dai vescovi. La nomina (per la
prima volta) dei maestri era affidata nei domini continentali al Ministro degli Affari Interni; nei domini
insulari al Presidente della Commissione di Pubblica Istruzione.
Alle amministrazioni comunali, era affidato il compito di assicurarsi del servizio prestato prima di disporre il
pagamento degli onorari ai maestri e alle maestre, e di far conoscere ai vescovi, i maestri e le maestre che
mancano all'insegnamento. Agli ispettori circondariali, l'incarico di vigilare le scuole e gli istituti privati. Le
scuole primarie, secondo le nuove disposizioni potevano essere messe nei locali pubblici o in altre case di
proprietà o a carico dei comuni; ai vescovi era affidata, per quanto riguarda la morale e la religione, anche la
vigilanza delle scuole superiori; era facoltà dei vescovi consultare o meno gli intendenti sulla condotta
morale e religiosa dei soggetti destinati alla pubblica istruzione.
L'avere affidato la gestione della scuola ai vescovi, fu la causa del decadimento dell'istruzione, ma
quest'affermazione non è confermata nei domini insulari (il tutto secondo il Nisio).
Non è da dimenticare che prima del decreto del 1843, la gestione della scuola era affidata alle
amministrazioni comunali. Con l'emanazione di questa disposizione, la tutela tecnica e disciplinare delle
scuole e la scelta degli insegnanti vennero affidate ai vescovi, la sorveglianza venne affidata ai parroci e il
compito di incrementare l'istruzione con l'istituzione delle scuole, rimase alle amministrazioni comunali; ed è
in questo specifico settore che le amministrazioni comunali si mostrarono fiacche. Si sostiene anche che
l'emanazione del decreto privilegiò l'educazione morale e religiosa, e rese funzionale un tipo di istruzione
popolare alla conservazione di uno status quo politico e sociale, colpendo l'intero corpo docente che fu
privato di ogni autonomia pedagogica.
La parte dedicata all'educazione religiosa occupò ampio spazio nel processo di alfabetizzazione, per il
semplice fatto che non sempre gli insegnanti religiosi assumevano un significato morale. Infatti nella
maggior parte dei casi l'insegnamento religioso si limitava ad esercizi di memorizzazione del catechismo e/o
preghiere, la cui incidenza sulla formazione scolastica era quasi assente o nulla.
L'autorità civile aveva un forte interesse a mantenere una determinata struttura economico – politica
caratterizzata da un forte immobilismo. Per quanto riguarda l'autonomia pedagogica degli insegnanti, essa
presuppone una piena competenza che manca agli insegnanti di questo periodo. Da documentare sono invece
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Ketty Aloisi
gli abusi perpetrati dai vescovi da parte di sindaci e amministrazioni comunali.
L'aver affidato ai vescovi la tutela disciplinare e tecnica delle scuole non poteva risolvere il problema
generale dell'incremento dell'istruzione popolare che avrebbe richiesto un diverso assetto economico –
politico del regno, un cambiamento radicale delle amministrazioni nei riguardi dell'istruzione popolare e un
impegno finanziario da parte dell'autorità centrale.
Al disinteresse della classe politica e all'insufficienza dell'insegnamento, si cercò di supplire con
l'elaborazione di una serie di proposte tese a sperimentare nuovi itinerari formativi e sollecitando delle
iniziative che non mettevano in discussione l'assetto economico e politico dato.
Tra le proposte vi è da segnalare quella promossa da Nicola Scovazzo nel 1836, direttore generale del
metodo lancasteriano in Sicilia, il quale chiamava le dame e le signore colte di Palermo, a farsi carico delle
spese di stabilimento e mantenimento di sei collegi di Maria esistenti a Palermo.
Alle scuole femminili aggregate ai collegi di Maria, dovevano afferire gli asili che affidati a donne vedove
mature, armate di pazienza e buone di carattere, dovevano accogliere per l'intero giorno i piccoli di entrambi
i sessi. Nonostante si fosse costituita una comm