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E
C infatti, conviene lavorare di più perché l’utilità di Rg è maggiore del sacrificio
E che si sostiene.
Volendo andare a valutare la posizione dell’individuo in termini di utilità
avremmo che:
Umg
B OR EA utilità totale al lordo del sacrificio
E
OR EB sacrificio
E
OR EA - OR EB = BEA utilità totale al netto di sacrificio
E E
O R T T R R
1 I C E
Viene introdotta una imposta che toglie al soggetto una quantità T R di reddito. In termini di utilità, il contribuentesi verrà
C E
sottratta T R EC ed in termini di sacrificio proporzionale gli viene imposto T R EC/BEA.
C E C E
Applichiamo questo principio per vedere come vengono trattati due individui che hanno lo stesso ammontare di reddito
OR , ma uno – come il caso appena visto – lo ha ottenuto lavorando e l’altro l’ha ottenuto come reddito da capitale.
E
Paragonando queste due situazioni, i soggetti devono essere tassati allo stesso modo oppure no? Notiamo che rispetto a
ieri stiamo affrontando la questione sotto un profilo diverso: se prima venivano trattati in modo diverso i redditi (imposta
progressiva) in base alla loro quantità, ora prendiamo come punto di riferimento una stessa quantità di reddito R e
E
cerchiamo di capire se c’è un motivo per trattarli in maniera diversa per discriminarli dal punto di vista del tipo, della natura
del reddito (per questo prende il nome di discriminazione qualitativa). Come detto in precedenza, per semplicità
ipotizzando che ottenere reddito da capitale non comporta alcun sacrificio, l’individuo che ha un reddito R potrà godere di
E
una utilità netta che è proprio OR EA. A parità di reddito, l’utilità totale netta per W ed I è diversa.
E
Per fargli subire lo stesso sacrificio relativo (o proporzionale) al secondo occorre sottrarre più utilità (es. T ). In questo modo:
I
!! ! !" !! ! !"
! ! ! !
!"# !reddito!da!lavoro → = ← !"# !reddito!da!capitale
! !
!"# !! !"
!
Naturalmente è una giustificazione per cui valgono gli stessi limiti del principio del sacrificio (bisogna ammettere che le utilità
siano misurabili, confrontabili, etc.).
2) riguarda l’aspetto temporale. Si dice che il reddito da lavoro è temporaneo (c’è fin tanto che perdura l’attività lavorativa),
mentre quello da capitale è perpetuo (fin quando il capitale resterà investito questo continuerà a produrre interessi). La
questione, a proposito della differenza appena illustrata, su come tassare E ed I è nata almeno nell’ 800 e vede contrapposti
padre e figlio:
James MILL, partendo da questa distinzione, sosteneva che il lavoratore e il capitalista (se consumassero tutto il
•
reddito che ottengono) non sono nella stessa situazione poiché solo il secondo può lasciare in eredità qualcosa. Queste due
situazioni possono essere equiparate solo se il lavoratore risparmiasse una parte del proprio reddito guadagnato. A quel
punto anche il lavoratore avrà un reddito da capitale che frutta interessi e che può essere lasciato in eredità. Per riuscire a
fare ciò, però, il lavoratore non può consumare tutto il suo reddito guadagnato. In virtù di questo, come diceva James, allora
i due non sono sullo stesso piano (il secondo deve rinunciare a consumare parte del suo reddito se volesse renderlo
perpetuo). I due redditi, dunque, devono essere tassati in maniera diversa: teoricamente W deve essere tassato solo per la
parte consumata. W è tassato meno di I.
John Stuart MILL diceva che tassando di più i redditi da capitale, si renderà più difficile l’accantonamento dei
•
redditi da capitale per il lavoratore. In fondo i redditi da capitale derivano dall’aver accantonato reddito da lavoro. Questa
tesi fu ripresa, diciamo in maniera più moderna, da una serie di economisti (es. Fasiani) e dette vita a quella che prende il
nome di tesi della doppia imposizione del risparmio. Alla stregua di questa argomentazione, i redditi da capitale non
solo non andrebbero tassati più dei redditi da lavoro, ma non andrebbero tassati per nulla. L’idea (detta in termini più
moderni) è che gli interessi di I non sono una nuova ricchezza, ma semplicemente la remunerazione per aver posticipato il
consumo. Infatti I+i di domani è la stessa cosa in valore attuale di I di oggi. 53!
Appunti di PASQUALE MIELE
!
Per dimostrare quest’ultima tesi Einaudi fa questo esempio: Hp
due individui (A e B) che lavorano nel primo periodo ma non nel secondo
A B
R =R =1000€
t=10%
i=0,05
W e I sono trattati allo stesso modo
A B
A A A B B B
tempo R C S IR R C S IR
1 1000 1000 0 100 1000 600 400 100
2 0 0 0 0 20 420 0 2
VA Imposte 100 101,9
IR 2
= !
1 + ! 1,05
B ha consumato 600 nel primo periodo e 420 nel secondo (1020 che in VA è 1000). Quindi sia A che B hanno entrambi consumato per
1000 (rapportando i consumi al primo periodo), ma uno paga l’imposta. Se si accettasse di tassare B sulla base del suo reddito inter-
temporaneo, allora apparirebbe chiaro che i due hanno consumato lo stesso ma B avrebbe pagato di più. Ipotizzando B non
consumasse subito il suo reddito capitale, tassando gli interessi per un periodo molto lungo si arriverebbe addirittura ad una
imposizione per B che è quasi doppia rispetto a quella per A. È per questo motivo che si chiama doppia imposizione. Accettando
questo punto di vista, a fronte di una stessa utilità e di uno stesso reddito in valore attuale, per non tassare di più B ci sono due
alternative:
esentare i redditi da capitale, B non pagherà 2 nel secondo periodo: tutti e due pagherebbero 100 e sarebbero stati trattati
• allo stesso modo;
non tassare il reddito nel momento in cui viene percepito ma quando viene consumato: tassare la spesa dell’individuo, dato
• che prima o poi l’individuo spenderà il reddito. Facendo ciò, accadrebbe che:
A B
A A A B B B
tempo R C S IR IS R C S IR IS
1 1000 1000 0 100 100 1000 600 400 100 60
2 0 0 0 0 0 20 420 0 2 42
VA Imposte 100 100 101,9 100
IS 42
= = 40 !
1 + ! 1,05
Naturalmente non è un problema di efficienza, ma di equità. Per questo tale ragionamento si può accettare o meno.
In realtà, come vedremo, la differenza sta nel periodo di riferimento del calcolo dell’imposizione:
colpendo i redditi anno per anno, la cosa più naturale è quella di calcolare anche i redditi da capitale;
• i redditi vengono presi in considerazione per tutto il ciclo di vista dell’individuo.
•
Dal punto di vista dell’efficienza, poiché non si può avere una imposta lump sum entriamo nell’ottica dell’imposta ottima. L’obiettivo
sarà quello di creare le minori distorsioni possibili. Redditi da capitale: tassare di più o di meno il consumo futuro rispetto al consumo
presente? Verrà tassato di più se la domanda di consumo diventasse più rigida.
Oltre a questo, c’è poi l’alternativa tra tassare di più redditi da capitale o redditi da lavoro. Mettendosi solo nell’ottica dell’efficienza,
infatti, basta andare a tassare la curva di offerta più rigida tra W e I perché sicuramente sarà quella meno distorsiva.
L’imposta ottima sarà il frutto delle combinazioni di efficienza ed equità che più si addicono ai giudizi di valore di chi applica l’imposta.
La differenza fra W e I è una questione che viene anche affrontata nell’ottica di come tassare il risparmio. Ci troviamo così di fronte a
tre alternative:
1) tassare di più i redditi, sia da lavoro che da capitale;
2) escludere dalla tassazione i redditi da capitale;
3) spostare la tassazione dal momento in cui il reddito viene prodotto a quello in cui viene speso.
Queste soluzioni possono essere viste anche rispetto a come si trattano le diverse fasi del ciclo del risparmio. Essenzialmente si
individuano tre fasi del risparmio (che non coincidono necessariamente con dei periodi temporanei):
1) destinazione di una parte del reddito prodotto al risparmio;
2) maturazione degli interessi;
3) disinvestimento del risparmio (montante = capitale + interessi).
Fasi del risparmio imposta sul reddito (IR) imposta solo sul reddito da lavoro (IR ) imposta sul consumo (IS)
L
investimento tassato (T) tassato (T) esente (E)
maturazione interessi tassato (T) esente (E) esente (E)
disinvestimento esente (E) esente (E) tassato (T)
!
54$ Appunti di PASQUALE MIELE
! 28 novembre 2013 – Lezione 17
Gli effetti generali dell’imposizione.
Derivano dal fatto che l’individuo, quando viene colpito da una imposta, cerca in qualche modo di subirne il minor onere possibile. I
modi per reagire all’imposta sono legati alla tipologia dei beni a cui mira l’imposta. Distingueremo i tre gruppi in base al fatto che
l’imposta viene effettivamente pagata o meno.
1) Fenomeno della rimozione dell’imposta. Esso fa riferimento ai redditi derivanti da un’attività e consiste nella
modificazione dell’attività produttiva dell’individuo al fine di raggiungere una curva di indifferenza più elevata rispetto a
quella in cui si verrebbe a trovare se, una volta colpito dall’imposta, non facesse nulla.
2) Fenomeno della traslazione dell’imposta. Avviene quando l’imposta colpisce i beni di consumo e nello specifico è quel
processo per cui l’onere dell’imposta, alla fine, non grava su chi formalmente è tenuto a pagare l’imposta stessa, ma su
qualcun altro. È un processo che si verifica quando c’è un atto di scambio, una tassazione (tipicamente la compravendita di
un bene). Apparentemente l’imposta sembra gravare sui produttori, ma di fatto chi la paga sono i consumatori (perché
devono sopportare ad esempio un prezzo più alto) o viceversa. Quindi c’è una differenza tra chi formalmente è colpito
dall’imposta (fra chi è tenuto a pagare l’imposta allo Stato) e chi invece sostanzialmente ne sopporta l’onere.
A pensarci è un fenomeno importante, anche per valutare gli effetti dell’imposizione.
Quello che importa, dunque, è vedere effettivamente chi sopporta l’onere dell’imposizione - che non è per forza chi è
colpito formalmente dall’imposta, ma dipende dalle condizioni del mercato.
È un fenomeno che implicitamente abbiamo già visto quando abbiamo trattato l’imposta indiretta ottima e la regola di
Ramsey. Hp.
introduciamo, in un mercato di un bene, u