Riassunto esame Scienza politica, prof. indefinito, libro consigliato Intruduzione alla scienza politica, Della Porta
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trasformare lo scontento in azione. Salisbury elabora una teoria secondo cui nei gruppi di interesse
ci devono essere ‘imprenditori’ dei gruppi che investono risorse promuovendo i gruppi verso
potenziali membri e consumatori che aderiscono ai gruppi. Per quel che riguarda gli interessi deboli
ci saranno altri attori come fondazioni private o istituzioni pubbliche che mettono a disposizione
risorse utili a tal fine. L’organizzazione ha un ruolo notevole nel favorire la partecipazione e
sopperisce quei casi in cui la partecipazione non è supportata da uno status sociale elevato, quindi
un gruppo ben organizzato può innalzare il livello della sua attività al di sopra delle possibilità
individuali dei propri membri compensando l’assenza di risorse (come accade ad es in quei paesi
dove la classe operaia ha una forte organizzazione). La mobilitazione inoltre è favorita se esistono
legami di solidarietà dovuti a rapporti affettivi che si stabiliscono tra persone che condividono
credenze e valori diffusi nel gruppo. Ricerche empiriche mostrano come gli attivisti dei movimenti
sociali spesso sono persone già attive ed integrate nella società. L’adesione al movimento è favorita
dall’inserimento degli attivisti in altre organizzazioni formali che spesso operano come canali di
reclutamento. Molti individui che partecipano ai gruppi hanno certe caratteristiche simili e identiche
relazioni sociali, come ad es. accade per gli operai che trascorrono assieme il lavoro ed il tempo
libero in quanto abitano tutti vicino alle fabbriche, per cui relazioni sociali intense li portano a
cooperare ed a riconoscere di avere interessi in comune rafforzando quella che Marx chiamò la
coscienza di classe. Lo sviluppo tecnologico ha accresciuto la capacità di organizzazione dei
movimenti con la diffusione di nuovi mezzi di comunicazione che riduce i costi di coordinamento,
inoltre il progresso economico e la diffusione dell’istruzione hanno effetti positivi sulla propensione
ad associarsi. 7. Le opportunità politiche. Non solo il processo di democratizzazione con il
progressivo allargamento dei diritti civili, politici, sociali ha aumentato le opportunità di
partecipazione ai movimenti sociali, ma anche altri fattori come il decentramento territoriale dei
poteri che dà ai singoli movimenti maggiori possibilità di accesso nel sistema decisionale. Così il
decentramento dei poteri dello Stato alle regioni, da queste alle città, e dalle città ai quartieri viene
considerata un’ apertura del sistema politico alle spinte provenienti dal basso. Un altro fattore che
contribuisce alla crescita dei movimenti sociali è l’accentuarsi della separazione dei poteri
esecutivo, legislativo e in particolare la maggiore autonomia del potere giudiziario, che consente più
punti di accesso ai movimenti, si pensi alle controversie tra istituzioni e movimenti decise dalla
magistratura. Le strategie prevalenti degli Stati verso i movimenti sono state esclusive vale a dire di
repressione dei conflitti o inclusive cioè orientate ad accogliere le nuove domande. In quei paesi dal
passato assolutista e dalla ritardata introduzione del suffragio universale hanno prevalso strategie
esclusive di divisione del movimento operaio (come in Francia e Germania ad es.) a differenza di
altri paesi che non hanno avuto tali esperienze come Gran Bretagna e paesi scandinavi che hanno
adottato strategie inclusive ed il movimento operaio è stato unito e moderato. I paesi con strategie
esclusive sarebbero inoltre più chiusi verso le nuove domande così ad es. in Italia la durezza della
repressione della contestazione studentesca degli anni ’60 contribuì a radicalizzare la protesta che
sfociò nel terrorismo, i regimi più inclusivi sono invece aperti a nuove domande. I movimenti
sociali interagiscono con vari attori della società civile venendo in contatto con alleati cioè attori
politici che li sostengono e altri attori con i quali entrano in conflitto. I movimenti possono sfruttare
momenti di instabilità elettorale o divisioni nelle elite per mobilitarsi sfruttando l’occasione propizia
o se hanno alleati all’interno delle istituzioni o del governo possono moderare le loro richieste,
mentre il ricompattarsi delle elite al potere tende a radicalizzare i movimenti. 8 Pluralismo e
neocorporativismo. 8.1 Elementi per una definizione. La struttura di rappresentanza degli interessi è
stata definita pluralista, prevede associazioni multiple, volontarie, concorrenti e non gerarchiche,
non sono né create dallo Stato né da esso controllate. La loro attività comprende contatti con i
partiti, il lobbying parlamentare, le campagne per mobilitare l’opinione pubblica e a volte azioni di
protesta. A partire dagli anni ’70 si inizia ad analizzare un modello di rappresentanza degli interessi
tipico ad es. dei paesi scandinavi detto di tipo neocorporativo che si differenzia dal corporativismo
autoritario degli anni tra le due guerre e che designa un sistema di rappresentanza degli interessi
costituito da singole unità, l’adesione è obbligatoria e con un coordinamento gerarchico, esse sono
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riconosciute, sovvenzionate e controllate dallo Stato, i contatti con il governo sono frequenti ed
efficaci (v sch. p. 119). Un sistema pluralista ha una struttura frammentata e con poche risorse e ha
difficoltà a sviluppare programmi di lungo periodo, il sistema neocorporativo ha poche e forti
associazioni di grandi dimensioni e con molte risorse, capaci di sviluppare programmi di lungo
periodo. Mentre il sistema pluralista esercita pressione attraverso le lobby, il sistema neocorporativo
si avvale della concertazione tra interessi organizzati e istituzioni pubbliche per elaborare assieme le
decisioni. 8.2 Cause e conseguenze. Da studi che hanno comparato nei diversi paesi indici di
neocorporativismo e pluralismo emerge che livelli più alti di neocorporativismo sono presenti in
Austria, paesi scandinavi, bassi livelli e quindi alti livelli di pluralismo in Italia, GB, SU. Le
condizioni che favoriscono lo sviluppo di modelli neocorporativi sono le piccole dimensioni dei
paesi, economie molto integrate sul piano internazionale e quindi più vulnerabili, forti partiti
socialisti e forti organizzazioni degli interessi che hanno determinato un crescente ricorso alla
contrattazione centralizzata. Viceversa la frammentazione delle organizzazioni di rappresentanza
degli interessi ha ostacolato lo sviluppo dei modelli neocorporativi. Diverse ragioni nei modelli
pluralisti tengono divisi i sindacati ad es. ideologiche in Italia e Francia, etniche in Spagna, per
categorie occupazionali in GB. Il modello pluralista è stato criticato per l’eccesso di domanda che
genera, mentre il modello neocorporativo per la discriminazione verso i deboli, per la prevalenza
delle categorie economicamente più forti come quelle produttive, sulle altre categorie come
consumatori, disoccupati, studenti, ecc. Inoltre le burocrazie rappresentative prevalgono rispetto alla
base come le gerarchie rispetto alle strutture locali. I vantaggi del neocorporativismo sono la
riduzione del conflitto sociale ed il controllo dell’inflazione consentendo di realizzare scambi
politici di moderazione salariale nel breve periodo in cambio di politiche sociali e di protezione del
lavoro nel lungo periodo, ottenendo così obiettivi economici apparentemente contrastanti come
pieno impiego, stabilità dei prezzi, competitività internazionale.
Capitolo 5 Tra militanza e burocratizzazione: che cosa sono i partiti politici
1 I partiti: una definizione. Per Weber i partiti sono associazioni fondate su una adesione libera che
attribuiscono ai propri capi una posizione di potenza all’interno di un gruppo sociale e ai propri
militanti vantaggi personali o possibilità di perseguire propri fini. Il partito è quindi un’associazione
orientata ad influenzare il potere. Mentre i ceti attengono all’ordinamento sociale e le classi
all’ordinamento economico, i partiti per Weber sono legati alla sfera della potenza sociale. Weber
intende la potenza come la possibilità di imporre il proprio volere ad altri soggetti anche contro la
loro resistenza. In particolare nelle democrazie occidentali i partiti mirano all’occupazione delle
cariche elettive, da cui la definizione di Antony Downs secondo cui i partiti sono compagini di
persone che mirano ad ottenere il controllo del governo a seguito di regolari elezioni. 2 Le funzioni
dei partiti. 1)Innanzitutto i partiti sono mediatori tra lo Stato ed i cittadini (istituzioni pubbliche e
società civile). Essi aggregano e rappresentano più interessi individuali a differenza dei gruppi di
pressione che rappresentano solo specifici interessi. 2)I partiti strutturano il voto incanalando le
differenziazioni politiche in pochi principali canali con i quali gli elettori si identificano. 3)I partiti
svolgono una funzione di socializzazione politica integrando i cittadini nella comunità e a volte
inducendoli a sacrificare i propri interessi per quelli della comunità. 4)I partiti consentono la
funzione democratica di controllo dei governati sui governanti, la presentazione dei candidati alle
cariche pubbliche nelle liste dei partiti consente agli elettori di conoscere la loro proposta politica e
li responsabilizza verso gli elettori stessi. 5) I partiti sono i principali protagonisti della formazione
delle politiche pubbliche, elaborano i programmi, li presentano agli elettori e con essi competono
alle elezioni con gli altri partiti. 3 Alle origini dei partiti. Alle origini delle democrazie parlamentari
i partiti erano comitati elettorali organizzati da notabili che si mobilitavano per proteggere singoli
interessi. Fino al 19° secolo essi si costituivano attorno a notabili come signori fondiari, avvocati,
parroci, insegnanti, cioè a notabili che si occupavano di politica in modo collaterale ma avevano
un’altra attività principale e godevano di una certa considerazione sociale che consentiva di
attribuire loro uffici. L’elezione consentiva ai signori locali di controllare le risorse provenienti
dall’esecutivo per distribuirle in modo clientelare alla propria ristretta cerchia di elettori. I partiti di
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notabili si attivano nella fase della campagna elettorale come dei comitati costituiti da una dozzina
di persone appartenenti ad una elite che è in grado con il proprio status sociale di attrarre altre
persone che si allineano sulla posizione politica di questi notabili. Il partito di notabili si basava su
una rappresentanza individuale cioè si limitava a rappresentare interessi di gruppi di elettori
promuovendo l’elezione di rappresentanti disposti a sostenere tali interessi, questo partito è tipico di
una società con un basso grado di partecipazione e resta inattivo nei periodi tra un’elezione e l’altra.
4. Il partito ideologico di massa. La struttura dei partiti si modifica con la nascita dei partiti di massa
caratterizzati da un apparato burocratico che si avvale di funzionari a pagamento. L’estensione dei
diritti politici ai non notabili cioè a coloro che non dispongono di risorse attraverso cui finanziare la
propria attività politica porta alla professionalizzazione della politica. Con il partito burocratico di
massa si afferma la figura del politico di professione, per Weber chi vive di politica ed è sprovvisto
di rendite e patrimoni ha maggior interesse alla causa della politica e all’idealismo politico in
quanto non è interessato alla conservazione economica della società come possono esserlo i
notabili. I partiti di massa sono organizzati per sezioni e non per comitati, la sezione a differenza del
ristretto comitato di notabili è aperta a tutti e mira ad aumentare il numero degli iscritti a
prescindere dalla loro capacità di influenza sociale, inoltre le cariche non sono onorifiche ma
corrispondono ad una reale divisione del lavoro. Una struttura tipica dei partiti comunisti è la cellula
che coinvolge gli operai delle grandi fabbriche in progetti politici più ampi, la cellula è un
organismo permanente che non concentra le proprie attività come il partito di sezione in riunioni
periodiche, ma è una comunità attiva ogni giorno nelle fabbriche dove gli operai lavorano. Il partito
nelle moderne democrazie svolge una funzione di integrazione sociale e di costruzione dell’identità
per i propri aderenti. I partiti socialisti esercitano un’influenza nei vari aspetti della vita quotidiana
attraverso un reticolo di associazioni vicine al partito che organizzano la vita dell’iscritto e non solo
il suo orientamento elettorale offrendo solidarietà, mutuo appoggio e un’identità riconosciuta dai
compagni e dal resto della società. Alla base del processo di identificazione vi è l’ideologia che
salda la convinzione di condividere fini comuni e rafforza il potere dei leader che conoscono la
dottrina e sono in grado di applicarla 5. Fratture sociali e partiti politici. I partiti politici presenti in
ciascun paese, secondo Rokkan, riflettono fratture sociali che si sono storicamente presentate: due
conflitti si sono presentati nel processo di costruzione dello stato nazionale: un conflitto tra stato
centralizzante contro la resistenza delle popolazioni sottomesse delle periferie e province e un
conflitto dello Stato contro i privilegi storici della Chiesa e due conflitti sono stati prodotti dalla
rivoluzione industriale: un conflitto tra interessi agrari e imprenditori industriali ed un conflitto tra
capitalisti (proprietari agricoli e datori di lavoro) e lavoratori (braccianti e operai). 5.1 La frattura
centro periferia. Il centro è l’area di territorio privilegiata da dove i detentori di risorse economiche,
politiche, culturali emanano decisioni, mentre la periferia è la parte di territorio distante dai luoghi
dove si prendono le decisioni politiche ed è economicamente dipendente dal centro e culturalmente
differente dal centro. Le molte tensioni tra centro e periferia di rado sfociano in una politicizzazione
del conflitto, tuttavia fattori culturali come una lingua propria e diversa contribuiscono a creare una
identità territoriale alimentata da partiti regionalisti che mirano ad esaltare le diversità culturali e di
storia rivendicando forme di autogoverno. 5.2 La frattura Stato Chiesa. La costruzione dello Stato
nazione provocò un aspro conflitto tra Stato e Chiesa, entrambi intendevano affermare le proprie
prerogative nei campi del controllo della morale e delle norme sociali e quindi poter controllare ad
es la celebrazione del matrimonio, la concessione del divorzio, e soprattutto l’istruzione che il
potere temporale avocava per sè ma con l’affermarsi dell’istruzione obbligatoria essa passò sotto il
controllo dello Stato provocando proteste. Nacquero così partiti come in Italia il partito popolare e
poi la democrazia cristiana che espressero le richieste di buona parte dei cattolici. 5.3 La frattura
città campagna. La rivoluzione industriale approfondì il contrasto tra aree rurali ed urbane dando
luogo a schieramenti politici contrapposti all’interno dei parlamenti tra partiti conservatori agrari e
partiti liberali radicali, un tema particolarmente aspro di contrasto era costituito dalle barriere
doganali per proteggere i prezzi della produzione agricola nazionale. 5.4 La frattura capitale lavoro.
La rivoluzione industriale non portò solo ad uno scontro tra campagne e città ma anche un conflitto
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interno all’industria tra imprenditori e classe operaia. In tutte le democrazie europee i lavoratori
tentarono di migliorare le proprie condizioni di vita e di lavoro fondando partiti che chiedevano
maggiori tutele allo Stato. Sul tema dell’intervento dello Stato per ridurre le disuguaglianze sociali
si è sviluppata la contrapposizione tra partiti di destra e di sinistra, con la destra favorevole ad un
minor intervento dello Stato e minore tassazione e la sinistra favorevole ad un maggior intervento
dello Stato nei servizi sociali. Le classi dirigenti che reagirono alle rivendicazioni dei partiti operai
con la repressione come in Italia, Austria, Francia, Spagna provocarono la radicalizzazione della
contrapposizione politica in quanto le riforme anche graduali apparivano poco realizzabili, mentre
dove le elite furono più aperte come in Gran Bretagna e paesi scandinavi si ebbe la formazione di
partiti laburisti moderati. 5.5 Le famiglie di partiti. Von Beyme ha introdotto il concetto di famiglie
spirituali di partiti: 1) partiti liberali e radicali: dal 19° secolo difesero gli interessi della borghesia
contro i proprietari terrieri, i diritti civili come la proprietà privata e i radicali rivendicarono
l’estensione dei diritti politici assumendo posizioni anticlericali, ancora oggi mirano a limitare
l’intervento dello Stato in economia e nella società, 2) partiti conservatori: emersero per difendere
gli interessi dei proprietari terrieri e del clero in opposizione ai liberali, contrari all’estensione dei
diritti civili e politici erano fedeli ai diritti tradizionali sostenendo l’ordine e la stratificazione
sociale, i partiti conservatori attuali sono per la deregolamentazione e la limitazione dell’intervento
dello stato come i liberali, rimanendo ostili all’estensione dei diritti civili e politici 3) partiti
socialisti e socialdemocratici: nacquero nel 19° secolo all’esterno dei parlamenti in stretto contatto
con i sindacati per sostenere la classe operaia e le rivendicazioni dei diritti politici e sociali,
intendevano trasformare il sistema capitalista all’interno delle procedure democratiche, alcuni
partiti socialisti nel 2° dopoguerra assunsero la denominazione di socialdemocratici rinunciando alla
socializzazione dell’economia e sostenendo le tesi keynesiane 4) partiti democristiani: formatisi nel
19° secolo in opposizione alle democrazie liberali per sostenere in particolare le tesi della chiesa
cattolica, assunsero posizioni conservatrici, pur favorevoli ad alcuni diritti sociali rimasero contrari
a diritti civili come il controllo delle nascite e in tema di diritto di famiglia, 5) partiti comunisti:
fondati dopo la rivoluzione russa per scissione dal partito socialista, vicini alle posizioni sovietiche
e contrari all’intervento nella prima guerra mondiale, convinti della necessità di una rivoluzione
sociale molti partiti comunisti hanno poi compiuto un processo di revisione accettando le regole
della democrazia e l’economia capitalista. 6) partiti agrari: nati per difendere gli interessi delle
campagne nel periodo della rivoluzione industriale, hanno avuto vita breve confluendo poi in altri
partiti, avevano assunto una connotazione conservatrice tranne che nei paesi scandinavi dove si
erano avvicinati alle posizioni della sinistra. 7) partiti etnoregionalisti: nati in difesa delle minoranze
etno linguistiche furono in contrapposizione con i liberali assertori della centralità dello Stato
nazione, 8) partiti della destra radicale: insieme di partiti anti democratici e anti liberali in passato
costituiti dai partiti fascisti, oggi ci si riferisce ai partiti xenofobi e populisti, hanno tra i loro temi
principali la legge, l’ordine e il controllo dell’immigrazione, 9) partiti ecologisti: nati negli ani ’80
sostengono la necessità di uno sviluppo sostenibile e compatibile con la difesa dell’ambiente
dall’inquinamento, sono allineati a sinistra perché condividono con i socialisti una sfiducia nel
mercato e nell’investimento privato e la fiducia nella redistribuzione egualitaria. 5.6 Fratture e
‘congelamento’. Rokkan e Lipset osservano come i partiti originatisi dalle fratture sociali degli anni
’20 sono rimasti da allora gli stessi se si esclude il partito ecologista, inoltre anche la loro forza è
rimasta sostanzialmente invariata al punto da far parlare di stabilità elettorale o congelamento, come
dimostrato anche dalle analisi sullo spostamento dei voti tra destra e sinistra, la cd volatilità, sia tra i
due blocchi che interna a ciascuno dei due. Le ragioni del congelamento sono molteplici:
l’incapsulamento dei conflitti sociali ha avuto nel lungo periodo un effetto positivo che ha ridotto le
possibili esplosioni violente riconducendo i conflitti all’interno di regole del gioco condivise. 6 Una
legge ferrea delle oligarchie? All’inizio del 20° secolo Michels descrive alcune degenerazioni dei
partiti di massa analizzando in particolare il partito socialista. Tali partiti al momento della loro
comparsa dichiarano di voler cambiare le cose, ma poi ciò non accade, questo avviene per una legge
ferrea che porta alla trasformazione dei partiti da strutture democratiche aperte verso la base in
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oligarchie dove comanda un ristretto numero di dirigenti: Michels afferma che l’organizzazione del
partito è la madre del potere degli eletti sugli elettori. Guidare un’organizzazione complessa
richiede competenze specifiche che vengono inevitabilmente concentrate in una oligarchia, se in
origine i diritti alle cariche elettive e al voto sono accessibili a tutti, la specializzazione tecnica
comporta il delegare poteri ai capi che all’inizio sono organi esecutivi della massa ma poi
divengono indipendenti da essa. L’oligarchia nasce da un bisogno di efficienza dell’organizzazione
che diviene sempre più burocratizzata ed ha necessità di competenze specialistiche. Inoltre chi
occupa cariche di rilievo tende ad imborghesirsi allontanandosi dai lavoratori, gli eletti si
trasformano in funzionari di partito retribuiti e sollevati ad un rango sociale più elevato. Il
parlamentare comincia ad interpretare il suo ruolo in funzione dei vantaggi personali che ne
possono derivare, ne segue spesso una mutazione dei fini del partito che divengono sempre più
moderati ed orientati alla sopravvivenza del partito più che a modificare l’ambiente circostante. La
legge ferrea delle oligarchie è stata criticata da diversi punti di vista. Per Panebianco i dirigenti se è
vero che possono controllare i militanti, questi ultimi dispongono però di risorse specifiche, inoltre
le ideologie politiche alla base rappresentate dai partiti non sono manipolabili. Tuttavia ricerche
hanno dimostrato che il potere dei rappresentanti è cresciuto rispetto ai rappresentati, inoltre vi è
stata nelle democrazie occidentali una diminuzione del numero degli iscritti e le decisioni rilevanti
per la vita del partito vengono prese in maniera poco trasparente dalla dirigenza del partito. 7
Seguendo l’evoluzione dei partiti nel 2° dopoguerra, Kircheimer ha elaborato il concetto di partito
pigliatutto che si caratterizza: per la riduzione del contenuto ideologico, il rafforzamento della
dirigenza, la preponderanza del ruolo del partito piuttosto che quella del singolo membro di partito,
il rivolgersi agli elettori in generale piuttosto che ad una specifica classe sociale, apertura a più
gruppi di interesse. Questo tipo di partito concentra tutte le sue energie nella competizione elettorale
e questa priorità gli fa perdere di vista il rapporto con la classe sociale di riferimento cercando il
sostegno anche di altre classi e gruppi di interesse in quanto il principale obiettivo è prendere voti. Il
partito pigliatutto si afferma in seguito a trasformazioni sociali e culturali quando il benessere
economico attenua il conflitto di classe e i sentimenti di appartenenza di classe inducendo i partiti a
cercare il più vasto consenso elettorale. Il comportamento elettorale è stato analizzato negli anni ’40
da due principali scuole americane: la scuola di Columbia nata attorno agli studi di ricerca di Paul
Lazarsfeld che ha sottolineato il ruolo del gruppo socioeconomico di appartenenza nel voto cioè
l’influenza di norme e valori dominanti nei diversi gruppi sociali, per Lazarsfeld lo status socio
economico, la famiglia, la religione, il luogo di residenza sono i principali fattori della decisione di
voto, la scuola di Michigan ha invece sottolineato il ruolo della psicologia individuale nel
determinare le scelte di voto in base a tematiche e programmi politici proposti dai partiti che
influenzerebbero l’elettore, oltre ai valori di identificazione con il partito assimilati dai propri
genitori. La ricerca attuale mostra uno sfaldamento dell’elettorato di appartenenza e aumenta invece
sia l’elettorato di opinione che vota anche cambiando partito da un’elezione all’altra sulla base di
tematiche specifiche che l’elettorato di scambio che scambia il proprio voto con favori. Secondo
una recente ricerca sulle democrazie avanzate la percentuale di coloro che si identificano con i
partiti è in declino, inoltre è in declino l’influenza della classe sociale sul voto. I più recenti
approcci razionali alla politica tendono ad attribuire all’elettore una capacità di valutazione delle
performance dei politici, per cui egli premierà i governi che avranno assicurato un certo benessere e
punirà i governi che riterrà responsabili di peggioramenti delle condizioni di vita. Aumenta quindi
la volatilità elettorale, la percentuale cioè di elettori che cambia partito specie dagli anni ’90 dopo il
crollo del socialismo reale e dopo l’ondata di scandali che ha investito molte democrazie occidentali
(ad es. l’Italia nel ’92), è inoltre in aumento l’astensionismo elettorale. 8 Partiti mediali? 8.1 Il
partito professionale-elettorale per Panebianco ha le stesse caratteristiche del partito pigliatutto con
in più invece che la burocrazia di partito esperti specializzati nel rapporto con gli elettori. Il
progresso socioeconomico e tecnologico modifica il rapporto tra partiti ed elettori: si riduce il ruolo
degli attivisti, le richieste degli elettori non sono più recepite dalle sezioni ma dai sondaggi, la
propaganda viene diffusa dai mass media come la televisione che collega i partiti agli elettori (vedi
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schema pag. 153). Questo tipo di partito è debole da un punto di vista organizzativo, è influenzato
dalle domande provenienti dall’esterno e non è in grado di proporre un’identità nè programmi di
lungo periodo, punta a strategie di marketing affinando le tecniche di comunicazione televisiva
avvalendosi di consulenti che preparano i candidati curando l’immagine del partito e del candidato
nelle campagne elettorali. 8.2 Il cartel party. Secondo alcuni studiosi vi è stato un declino dei partiti
nella società compensato da un rafforzamento dei partiti nelle istituzioni cresciuto in parallelo al
finanziamento pubblico. A questo proposito il concetto di cartel party sottolinea la crescente
collusione tra i partiti che attraverso alleanze (cartelli appunto) si accordano per ottenere risorse
pubbliche. I militanti riducono l’impegno nei partiti sia in termini di lavoro che di contributi
impegnandosi in altre organizzazioni meno burocratizzate come il volontariato, così i partiti devono
cercare altrove risorse finanziarie per cui il finanziamento pubblico ai partiti pur variando da paese
a paese costituisce oggi una delle maggiori risorse. 9. Sistemi di partito e competizione. 9.1 Il
numero dei partiti. Per Duverger i sistemi di partito si distinguono in: 1)sistema monopartitico che
caratterizza i regimi autoritari detti infatti a partito unico, 2)sistema bipartitico caratterizzati dalla
presenza di due soli partiti (SU, GB, Colombia, Costa Rica e Malta), considerati particolarmente
efficienti e dove l’elettorato elegge direttamente il governo, le responsabilità per il buongoverno o
malgoverno sono facilmente attribuibili, non si perde tempo in negoziati per cercare coalizioni,
l’aspettativa dell’alternanza rende moderati governo e opposizione 3)sistemi multipartitici con la
presenza di più partiti (da 3 a 5 in paesi come Germania, Irlanda, Norvegia, Paesi bassi, Austria,
Francia, ecc. e oltre 5 in paesi come Belgio, Italia, Finlandia, Svizzera, ecc.), le coalizioni sono
eterogenee e instabili ed è più difficile per l’elettore attribuire meriti e demeriti. La legge elettorale
maggioritaria a turno unico favorisce il bipartitismo, mentre il sistema proporzionale favorisce il
multipartitismo, è da osservare comunque che può essere semplicistico associare l’ingovernabilità al
multipartitismo e la stabilità al bipartitismo ma subentrano altri fattori come ad es. la dimensione
dei partiti. 9.2 Come contare i partiti. Sartori ha proposto due correttivi alla teoria di Duverger che
riguardano il modo come contare i partiti per cui un partito conta se ha 1)potenziale di coalizione se
cioè è necessario per determinare la maggioranza d governo, 2)potenziale di ricatto se il partito è
abbastanza grande per influenzare le tattiche della competizione tra partiti. 9.3 Per Sartori più che
dal numero dei partiti il sistema partitico è influenzato dalla polarizzazione ideologica cioè la
collocazione degli elettori lungo l’asse destra-sinistra. Sartori distingue tre tipi di sistemi
monopartitici: partito singolo (un solo partito legale), partito egemonico (quando anche altri partiti
sono legali ma satelliti di un unico partito principale con cui non possono competere per il potere),
partito predominante (quando gli altri partiti possono competere e andrebbero al governo in caso di
vittoria elettorale, ma nei fatti non riescono a vincere mai). Il sistema bipartitico si ha quando 1)due
partiti sono effettivamente in grado di competere ed almeno uno ottiene la maggioranza e può
governare da solo, 2)è realizzabile l’alternanza. Il sistema multipartitico prevede 1)il multi
partitismo o pluralismo moderato che si ha quando ci sono meno di 5 partiti che contano, la struttura
di governo è bipolare ed è costituita da governi di coalizione, 2)il pluralismo polarizzato con più di
5 partiti, compresi partiti antisistema che cambierebbero cioè non il governo ma la forma di governo
non condividendo i valori dell’ordine politico in cui operano, presenza di due opposizioni che non
potrebbero allearsi tra loro, il centro è occupato, cioè il sistema è basato sul centro, ci sono due poli
a destra e sinistra per cui il sistema è ideologicamente polarizzato, i partiti di destra e di sinistra si
allontanano dal centro e restano sulle loro posizioni in quanto temono di perdere elettorato alle ali
estreme se si spostassero al centro senza guadagnare elettorato moderato, emergono opposizioni
irresponsabili perché sono consapevoli che non verranno chiamate al governo, anche il partito di
centro avrà scarsa responsabilità non potendo essere escluso dal governo, un altro sistema
multipartitico Sartori lo ha poi definito come multipartitismo segmentato con più di 5 partiti e bassa
polarizzazione ideologica. 9.4 Per Sartori il pluralismo polarizzato ha riguardato almeno fino agli
anni ‘70 l’Italia con pci e msi partiti antisistema posizionati alle ali estreme, i partiti più di 5, la dc
con altri partiti occupava saldamente il centro, ma altri autori come Pizzorno hanno criticato questa
tesi sostenendo che il pci non poteva essere considerato antisistema perché non si poneva in
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alternativa al regime democratico e si dimostrava fedele alla costituzione, inoltre molte leggi
passavano con il voto favorevole dell’opposizione. Discorso simile si poteva fare per l’msi. Inoltre a
partire dagli anni ’90 con la nascita di an e dei ds si è avuto un avvicinamento di questi partiti verso
il centro. 9.5 Quale competizione oggi: bipolarismo o dispersione? Ultimamente in molti paesi
europei si è assistito ad un aumento della frammentazione dei partiti, in Italia l’introduzione del
sistema maggioritario nel ’94 non ha portato ad una riduzione del numero dei partiti a causa del
permanere di una quota proporzionale, per il formarsi di coalizioni puramente elettorali, per effetto
degli scandali politici. Inoltre ovunque in Europa i partiti antisistema sono in declino, si è parlato
infatti di una moderazione ideologica, ma nonostante la riduzione dell’asprezza del conflitto
ideologico sembra essersi ridotta la capacità di governo dei partiti.
Capitolo 6 Tra maggioranza e consenso: che cosa è la rappresentanza.
1. Rappresentanza: alcune definizioni. Le democrazie moderne sono democrazie rappresentative. Il
sistema rappresentativo ha forti elementi di oligarchia nel senso che solo una piccola elite prende le
decisioni, esse sono quindi delegate ai professionisti della politica a differenza delle città greche
dove un piccolo numero di cittadini si riuniva e decideva delle cose che li riguardavano. La
rappresentanza può assumere tre significati: 1) la r. come mandato o delega, nella concezione
giuridica, sta ad indicare un preciso mandato che affida al mandante un compito in base alla delega
conferitagli dagli elettori che poi possono ritirarla. Nello stato moderno il mandato imperativo è
stato superato in nome della r. indipendente, cioè mentre nell’antico regime il rappresentante era
delegato dai vari corpi sociali, la r. moderna è in nome della popolazione nella sua globalità, cioè
rappresenta il corpo elettorale. Ne consegue che i rappresentanti non seguono più istruzioni scritte
ma interpretano la loro funzione seguendo gli interessi generali della nazione. La costituzione
francese del 1791 attribuisce ai rappresentanti il potere di rappresentare l’intera nazione e di
decidere a suo nome senza vincolo di mandato, concetto ripreso dalla costituzione italiana all’art.
67, 2) una concezione sociologica della r. la assimila alla rappresentatività cioè alla somiglianza,
alla base di questa concezione vi è il fatto che ciascuno si sente rappresentato da chi proviene da
una stessa estrazione sociale, per cui i diversi gruppi sarebbero rappresentati o sotto rappresentati a
seconda che la distribuzione sociale della classe politica rispecchi o meno la composizione della
società. La teoria del parlamento specchio della società è stata ritenuta insufficiente al fine di
realizzare la democrazia in quanto seppure fosse realizzata non è detto che recepirebbe le richieste
provenienti dalla società, 3) la r. come responsabilità indica una concezione politica secondo cui i
rappresentanti devono essere responsabili verso i rappresentati per cui i governi rispondono verso i
rappresentati del loro operato e si devono comportare con efficienza e competenza. La r. politica
investe i rappresentanti dell’autorità di governare in nome e nell’interesse dei cittadini verso i quali
si assumono una responsabilità politica. 2. L’evoluzione storica del parlamento. Il Parlamento è la
principale istituzione della r.. Prototipi del parlamento erano presenti anche prima che si affermasse
la democrazia: il potere decentrato tipico dell’organizzazione feudale si bilanciava con la presenza
di autorità più accentrate che furono realizzate prima con corti ristrette del sovrano costituite dai
grandi feudatari, poi si costituirono istituzioni dove erano rappresentati territori da attori sociali
rilevanti, tra il 12° ed il 16° secolo questi organi assunsero funzioni di controllo dell’operato del
sovrano e entrarono a farvi parte anche rappresentanti delle città per esercitare un controllo
sull’impiego da parte del sovrano dei tributi da essi versati. Le monarchie assolute tra il 16° d il 17°
secolo ridusssero il ruolo dei parlamenti se si eccettua il parlamento inglese che uscì rafforzato dopo
la rivoluzione del 1688 e che fu di esempio per le monarchie costituzionali nate dopo l’assolutismo.
I regimi parlamentari nel 19° secolo sostituirono le monarchie costituzionali e si fondarono sulla
responsabilità del governo dinanzi al parlamento. Nei parlamenti moderni la funzione di r. dei
cittadini sulla base di un preciso mandato perde di rilevanza e si afferma la funzione del parlamento
di governare sui cittadini portando ad una maggiore autonomia dei rappresentanti dai rappresentati.
I parlamenti moderni hanno la funzione principale di controllo dell’operato dei governi e sono
quindi assemblee rappresentative che hanno un potere di intervento sulle scelte politiche al fine di
garantire la rispondenza con la volontà popolare. Il parlamento moderno è dunque un’assemblea
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rappresentativa dalla struttura ampia, collegiale ed egualitaria, è permanente cioè si riunisce
stabilmente e si può anche auto convocare, il suo mandato è limitato nel tempo ed è pluralista nel
senso che nell’assemblea sono presenti le minoranze. 3 I parlamenti: strutture e tipologie. Una
prima distinzione è tra parlamenti monocamerali, dotati appunto di una sola camera e bicamerali
dove la seconda camera può avere funzioni più limitate rispetto alla prima (come la camera dei lord
britannica) o può avere poteri simmetrici (come in Italia), nei sistemi federali la seconda camera
può avere competenze specifiche territoriali ed essere eletta dagli stessi cittadini o dai governi
federati, spesso come ad es in Italia la seconda camera può rallentare il processo decisionale. Le
commissioni spesso aumentano l’efficienza delle camere, operano per gruppi di lavoro e
rispecchiano la composizione dei partiti nel parlamento, in Italia hanno poteri considerevoli ad es
possono approvare le leggi. Gli eletti si riuniscono in base all’appartenenza partitica in gruppi
parlamentari che sono i principali soggetti collettivi della vita parlamentare anche se varia molto la
possibilità per i partiti di controllare il comportamento di voto dei singoli parlamentari. Il numero
dei partiti influenza la capacità decisionale del governo, se aumenta la frammentazione dei partiti
c’e’ pluralismo e più autonomia del parlamento dal governo ma anche più ostacoli alla rapidità delle
decisioni. Si distingue quindi un parlamento avversariale che tende ad essere monocamerale, con
scarso potere delle commissioni e sistema bipartitico con scarsa autonomia del parlamento e
parlamento policentrico che è bicamerale, con commissioni forti, molti partiti e maggiore
autonomia del parlamento dal governo. 4 Le forme di governo. La teoria della divisione dei poteri
assegna al parlamento la funzione legislativa e al governo l’esecutiva, in realtà il governo condivide
la funzione legislativa con il parlamento. La divisione dei poteri tra parlamento e governo varia
nelle diverse forme di governo. Nei governi parlamentari il potere esecutivo è diviso tra capo dello
stato e capo del governo, il parlamento elegge il capo dello stato che nomina il governo, ma questo
deve ricevere la fiducia del parlamento. Nei sistemi bipartitici il capo dello stato assegna il compito
di formare il governo al segretario del partito che vince le elezioni, nei sistemi multi partitici il capo
dello stato deve avviare spesso consultazioni tra i leader di partito per poter assegnare il compito di
formare il governo per questo i governi sono più instabili, le crisi di governo più lunghe e i governi
durano in carica di meno. La funzione legislativa assegnata al parlamento negli ultimi anni si è
indebolita a vantaggio del rafforzamento dell’esecutivo con l’emanazione di regolamenti, e il
ricorso ai decreti legge e alla legislazione delegata. Ai parlamenti restano importanti funzioni di
controllo del governo con le presentazioni di mozioni, interpellanze, interrogazioni, l’esame della
legge di bilancio, il voto di fiducia e di sfiducia. Nel sistema presidenziale il presidente è capo dello
stato e del governo, eletto dai cittadini ha una posizione di superiorità sui ministri che nomina e
revoca, il presidente non può sciogliere le camere e queste non possono sfiduciare il presidente se
non per attentato alla costituzione. Il parlamento può ritardare l’iter dei disegni di legge di iniziativa
presidenziale se non li condivide ed il presidente può porre il veto ai progetti di legge di iniziativa
parlamentare per la cui approvazione occorrerà una maggioranza qualificata di due terzi. Nelle
forme di governo semipresidenziali il presidente eletto dai cittadini non è titolare esclusivo del
potere esecutivo che condivide con il primo ministro a sua volta nominato dal presidente. Il
presidente può sciogliere le camere, ma il parlamento non può sostituire il presidente, ma può
metterlo in stato d’accusa. Per Linz nei sistemi parlamentari il parlamento è l’unica istituzione
legittimata in quanto il governo viene legittimato dalla fiducia del parlamento che deve mantenere
per tutta la legislatura, nei sistemi presidenziali il presidente ha poteri notevoli: il potere esecutivo
ed è capo dello Stato, viene eletto dal popolo e non dipende dal voto di fiducia del parlamento. Il
presidente ed il parlamento eletti godono entrambi di una propria legittimità, il sistema è quindi di
doppia legittimità democratica, è inoltre un sistema rigido in quanto presidente e parlamento
permangono in carica per un periodo di tempo prestabilito ed indipendente. Vantaggi del sistema
presidenziale sono ritenuti la maggiore stabilità e responsabilità verso gli elettori e la riconoscibilità
di meriti e demeriti del governo. Circa la stabilità il governo non può essere rovesciato prima della
fine del mandato e non deve cercare sostegno in parlamento. Tuttavia la doppia legittimità può
creare problemi di governabilità se il presidente non ha la maggioranza in parlamento. Circa la
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responsabilità in realtà i candidati presidenti sono spesso meno conosciuti dagli elettori e la clausola
di non rieleggibilità li rende irresponsabili verso gli elettori in quanto non potrà da loro essere
punito per i suoi insuccessi né premiato per i suoi successi. In conclusione il presidenzialismo
comporta sia accentramento del potere ma anche separazione del potere in quanto è legittimato
anche il parlamento e paradossalmente questo può limitare i poteri del presidente, recenti ricerche
hanno dimostrato che i sistemi parlamentari offrono maggiori garanzie per la democrazia. 5.
Modelli di rappresentanza tra maggioranza e consenso. Si ritiene che il sistema proporzionale sia il
più adatto a rappresentare, il sistema maggioritario più adatto a governare, si sono quindi sviluppati
due modelli di democrazia che hanno privilegiato l’una o l’altra funzione: un modello maggioritario
dove i rappresentanti raggiungono le decisioni in base ad un principio di maggioranza ed uno
consensuale critico verso il modello maggioritario perchè non attento alle esigenze delle minoranze,
sottolinea l’importanza del compromesso per la risoluzione pacifica dei conflitti. Per Lijphart il
modello maggioritario che caratterizza il sistema inglese detto per questo anche modello
Westminster consiste in otto principali elementi: accentramento del potere in governi monopartitici
con maggioranze risicate e un’ampia minoranza, predominio dell’esecutivo che adotta le principali
decisioni, quasi tutto il potere è detenuto da una sola camera, sistema bipartitico, un’unica linea di
conflitto lungo l’asse destra-sinistra, sistema elettorale maggioritario, sistema di governo unitario e
centralizzato, sovranità parlamentare e costituzione non scritta. Per Lijphart il modello consensuale
si caratterizza per la ricerca del più ampio accordo nelle scelte politiche e la maggior tutela delle
minoranze, prevede: il potere esecutivo condiviso in governi di grandi coalizioni, la separazione dei
poteri con l’indebolimento dell’esecutivo rispetto all’assemblea, bicameralismo a tutela delle
minoranze, sistema multipartitico, diverse linee di conflitto basate su fattori religiosi, di classe, ecc.,
rappresentanza proporzionale, ampio decentramento, costituzione scritta modificabile solo da
maggioranze qualificate e con possibilità di veto per le minoranze. Il modello maggioritario appare
adatto a paesi con società omogenee e partiti poco distanti tra loro, il modello consensuale favorisce
la ripartizione del potere tra maggioranza e minoranza e si afferma in società plurali con molte
divisioni ideologiche, religiose, culturali, ecc., in particolare il caso italiano descritto come una
democrazia consociativa vede la divisione principale sul piano ideologico tra cultura cattolica e
socialista. 6. Il governo di partito. La relazione tra partiti e politiche del governo è cruciale nella
democrazia rappresentativa in quanto se i partiti promettessero certe politiche agli elettori ma poi
formassero governi che realizzassero altro vanificherebbero il diritto di voto degli elettori. Perché vi
sia governo di partito (party government) per Robert Katz è necessario 1)che tutte le decisioni di
governo siano prese da persone scelte nel corso delle elezioni, 2)che le politiche siano decise dal
partito o dalla coalizione di governo: tra partiti e governi ci possono essere vari gradi di autonomia,
in particolare i governi acquisiscono autonomia dai partiti nelle situazioni di emergenza o su
problematiche tecniche, in generale ricerche condotte nelle principali democrazie occidentali
mostrano una certa coerenza tra programmi elettorali dei partiti e programmi di governo, 3)che le
cariche principali di governo siano affidate a personalità selezionate all’interno dei partiti, su questo
ricerche evidenziano un rafforzamento dei politici nelle istituzioni rispetto ai politici con cariche nei
partiti e spesso la leadership dei partiti proviene dalle istituzioni piuttosto che dalla base del partito.
I partiti hanno un ruolo importante nella selezione dei governanti, tuttavia anche se partiti coesi
sono in grado di esercitare un certo controllo sui propri rappresentanti, a volte essi sono solo
formalmente nominati dai partiti ma espressione di gruppi di interesse. 7. Competizione e
coalizioni. Le coalizioni di governo si formano quando nessun partito ottiene la maggioranza
assoluta dei seggi, la scienza politica soprattutto americana ha analizzato la coalizione minima
vincente, cioè l’aspettativa basata sulla teoria dei giochi che porta ad allearsi il numero minimo di
partecipanti necessari senza accrescere inutilmente il numero di coloro che si ‘divideranno’ i
vantaggi. In realtà studi empirici hanno dimostrato che spesso le coalizioni sono sovradimensionate
specie nelle democrazie dove la frammentazione partitica è maggiore, mentre il principio della
coalizione minima vincente tende a funzionare nelle situazioni a bassa frammentazione partitica. I
partiti che entrano a far parte delle coalizioni possono impegnarsi a perseguire diversi obiettivi 1)
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vote seeking, cioè ricerca di voti, 2) office seeking cioè ricerca di cariche pubbliche, 3) policy
seeking cioè tentare di realizzare determinate politiche. Il far parte di coalizioni non garantisce la
possibilità di realizzare determinate politiche ed a volte i partiti preferiscono uscire dalle coalizioni
se temono che certe politiche possano far perdere elettorato o preferiscono appoggiare il governo
dall’esterno. 8. Governo e congiuntura economica. Studi hanno rilevato l’esistenza di vincoli socio
economici che pongono limiti all’azione dei governi, per cui le politiche pubbliche sono influenzate
più dal grado di sviluppo economico che dal colore dei governi. Di recente le politiche economiche
dei governi nazionali hanno trovato limiti nella globalizzazione. La competizione sul mercato
mondiale induce i paesi ad aumentare la capacità di attrazione degli investimenti riducendo la spesa
sociale per detassare i profitti, deregolamentando il mercato del lavoro aumentando la flessibilità
del lavoro, le scelte dei governi nazionali sono vincolate da istituzioni come l’UE che decide su
questioni di politica economica e sociale. Nonostante la crescente interdipendenza economica altre
ricerche indicano che persistono notevoli differenze che dipendono dall’ideologia dei partiti di
governo: i governi di sinistra cercano di aumentare la produttività del lavoro e del capitale con
interventi nel settore pubblico, i governi conservatori puntano ad aumentare gli investimenti privati.
Nonostante una convergenza nei programmi socioeconomici dei partiti, l’ideologia del partito al
governo influenza ancora oggi le sue strategie specie in tema di politiche redistributive e di
intervento dello Stato in economia. 9. Partitocrazia e caso italiano: un excursus. Circa l’uso che i
partiti fanno dei posti occupati nelle istituzioni di governo, per il caso italiano si è parlato di un
particolare tipo di governo di partito: la partitocrazia cioè un controllo ampio sulle risorse e sui
processi decisionali al punto da poter parlare di un vero dominio dei partiti stessi. Il sistema
partitocatico italiano controllava i gruppi di pressione che contavano solo se avevano rapporti
clientelari con i partiti, controllava i tecnici e la società civile, distribuiva posti di lavoro e facilitava
carriere sia nel settore pubblico che privato, l’occupazione partitica della società se all’inizio poteva
avere lo scopo di coordinare la politica economica, divenne poi un modo per far confluire rendite ai
partiti. La corruzione politica ha accelerato l’indebolimento dei partiti rispetto agli amministratori di
risorse pubbliche che hanno acquisito potere politico e risorse personali. Il ruolo del partito è
diventato quello di assegnare politici corrotti ai posti chiave della pubblica amministrazione, il
denaro serviva ai partiti per ottenere i voti e poi distribuire cariche nella p.a. trasformando la
politica in business. I partiti con l’aumentare della corruzione si sono disinteressati delle scelte
politiche e interessati sempre più dell’arricchimento personale. La produzione legislativa si è
limitata a ‘leggine’ trascurando i grandi temi della politica economica, estera ed istituzionale.
Almeno fino al ‘92 i vertici di governo erano subordinati ai vertici di partito ed i segretari di partito
contavano più dei primi ministri sia nella scelta dei ministri che nella formazione dei governi in
generale i quali scaturivano da summits e negoziati extraparlamentari tra i segretari di partito.
Capitolo 7 Tra locale e globale: che cosa è un sistema di governo multilivello.
1. Le politiche pubbliche: dal governo alla governance. 1.1 Politiche pubbliche: definizioni. Le
politiche pubbliche sono programmi d’azione attuati da autorità pubbliche, cioè un insieme di prassi
e direttive provenienti da attori pubblici in relazione ad un problema collettivo. 1.2 Tipi di politiche.
Le politiche pubbliche si distinguono in base al tipo di distribuzione costi benefici che comportano,
la distinzione principale è tra politiche redistributive che tolgono risorse ad alcuni gruppi per darle
ad altri e quindi configurano un conflitto tra gruppi di interesse organizzati che rappresentano classi
sociali contrapposte dove i gruppi che danno denaro sono contrapposti ai gruppi che domandano
servizi e politiche regolative che introducono vincoli ai comportamenti di tutti i gruppi sociali
determinando conflitti trasversali ai diversi gruppi in quanto si pongono obiettivi di tutela generali e
possono colpire interessi diversi sia di imprenditori che di singoli cittadini. Le politiche si possono
poi distinguere in base alla concentrazione di costi e benefici: se i benefici sono diffusi ed i costi
concentrati (es costruzione di un inceneritore di rifiuti) ci sarà una forte opposizione, se i costi sono
diffusi ed i benefici concentrati (es aiuti per l’industria automobilistica) l’opposizione sarà scarsa e
ci sarà un forte sostegno dei gruppi organizzati. 1.3 Gli attori delle politiche pubbliche sono sia
attori pubblici come parlamenti, governi, burocrazie pubbliche, magistratura che privati come
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gruppi di pressione, movimenti, partiti, esperti con competenze tecniche. Le politiche pubbliche
configurano un processo divisibile per tappe: identificazione del problema con l’inserimento di un
certo tema nell’agenda politica, formulazione di una soluzione da parte dei tecnici, adozione di una
decisione da parte degli attori pubblici, attuazione della decisione ad opera delle burocrazie
pubbliche o di attori privati, infine la valutazione dei risultati per verificare il raggiungimento
dell’obiettivo. 1.4 Le reti. Tra questi attori si stabiliscono varie interazioni: negli SU si parla di
triangolo di ferro per indicare il legame tra rappresentanti degli interessi che aiutano i burocrati con
informazioni e consulenze private, burocrazie pubbliche che favoriscono i collegi elettorali dei
parlamentari membri delle commissioni, e parlamentari che offrono ai gruppi di interesse contributi
pubblici in cambio di voti. Nel processo decisionale intervengono oltre che gli attori pubblici
istituzionali, attori privati come giornalisti, giudici, movimenti sociali in una configurazione
variabile in base al tema specifico, si è parlato a queto proposito di reticoli. La configurazione di
attori pubblici e privati rappresenta una comunità (policy communities) di soggetti che condividono
idee e soluzioni per specifici problemi. 2 Il processo decisionale. 2.1 Quanta e quale razionalità?
L’amministrazione pubblica persegue i suoi fini scegliendo razionalmente le diverse alternative per
raggiungerli, l’approccio razionale proposto per primo da Weber ha comunque sollevato critiche:
per Herbert Simon la razionalità è limitata da una serie di fattori come il costo per acquisire tutte le
informazioni necessarie, per cui il decisore deve accontentarsi di una soluzione soddisfacente
evitando di analizzare tutte le possibili soluzioni. Lindbolm ha proposto le comparazioni limitate: se
il modello razionale presuppone che i mezzi sono scelti sulla base di fini predefiniti, egli propone
un processo decisionale attraverso un adeguamento successivo per adattare i mezzi ai fini. Poiché
nella p.a. cooperano ed interagiscono interessi ed attori diversi non è pensabile un modello di un
attore unico cui attribuire una serie di obiettivi, la teoria del garbage can afferma appunto che tali
obiettivi sono a volte incompatibili e le organizzazioni li perseguono a volte in modo
contraddittorio. Il modello neoistituzionale ha rivalutato la presenza di una certa coerenza nel
comportamento all’interno delle diverse organizzazioni dove gli individui agirebbero rispettando
regole routinarie da cui deriverebbe anzi una tendenza alla conservazione dell’esistente che non si
concilia con il mutamento. 2.2 Top-down o bottom-up. La teoria del flusso decisionale top down
della p.a. secondo cioè una struttura gerarchica dall’alto verso il basso viene criticata se si considera
la discrezionalità dei livelli più bassi dell’amministrazione e gli effetti del decentramento politico
che assegnano la gestione delle politiche a diversi livelli di governo non tra loro gerarchici, inoltre
l’approccio top down non funziona perchè nella realtà intervengono vari processi di adattamento: i
conflitti emergono in un momento successivo alla fase di decisione, alcune decisioni vengono prese
in momenti successivi quando tutti i fattori sono disponibili, perché decisioni chiave vengono
lasciate agli esperti o perché talune decisioni dovranno comportare mediazioni con gruppi potenti.
Queste osservazioni hanno messo in discussione il principio gerarchico ed è stato sviluppato un
approccio bottom up che analizza la realizzazione di politiche pubbliche a partire dal basso della
gerarchia piuttosto che dal vertice. Oggi la p.a. si presenta come una serie di apparati semi autonomi
e più snelli, a partire dagli anni ’80 sono state create unità autonome come le agenzie che si
differenziano dalla tradizionale struttura gerarchica dei ministeri. 3. Il potere della burocrazia. Per
Weber lo Stato moderno si fonda sul potere razionale legale dei suoi funzionari, il potere è
impersonale e basato sull’applicazione neutrale di regole astratte, gli ordini sono legittimi se
rispettano l’ordinamento giuridico, i funzionari hanno competenze specifiche disciplinate mediante
leggi e regolamenti amministrativi. La burocrazia deve rispettare il criterio di uguaglianza dei
cittadini dinanzi alla legge ed i funzionari devono essere reclutati in base alle loro competenze,
tuttavia la burocrazia non ha una legittimazione rappresentativa e quindi non essendo responsabile
dinanzi all’elettorato deve dipendere dal potere politico. Ai politici spetta il compito di definire
l’indirizzo generale delle politiche pubbliche e ai burocrati di rendere operativo l’indirizzo politico
rimanendo neutrali rispetto agli interessi (neutralità che la p.a. nella pratica di rado adotta). Il potere
della burocrazia è rafforzato dal fatto di essere autosufficiente nella propria sfera di competenze e
che i funzionari durano in carica per più tempo dei politici garantendo la continuità delle istituzioni.
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DESCRIZIONE APPUNTO
Riassunto per l'esame di Scienza politica, basato su appunti personali e studio autonomo del testo consigliato dal docente Intruduzione alla scienza politica, Della Porta. in cui vengono trattati i seguenti argomenti utili ai fini dell'esame: principio di verificazione, distinzione dalla sociologia politica, Maurice Duverger, fenomeni politici,
I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher trick-master di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Scienza politica e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università La Sapienza - Uniroma1 o del prof Scienze Sociali Prof.
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