SAGGI DI VELLUZZI
Cosa è la scienza giuridica? Meglio: cosa è la scienza? Essa è una via per conoscere la
realtà, che presuppone uno sguardo sulla realtà mirante a comprenderla e a rappresentarla,
nonché a verificare se le teorie proposte sulla realtà sono condivisibili.
Il primo grande scienziato che ha fatto scienza per come la intendiamo oggi è stato Galilei,
contemporaneamente un filosofo della scienza e uno scienziato. Egli ci ha insegnato che la
formulazione di una legge fisica non nasce dall’osservazione: secondo lui il procedimento
della scienza non è un procedimento induttivo (non parte dal caso particolare per ricavare
delle leggi mediante un procedimento ascensionale); le leggi dello scienziato sono frutto di
un’attività abduttiva (osservata la realtà, lo scienziato fa delle congetture sul suo
funzionamento, e a partire da quelle congetture trae delle conseguenze, l’ultima delle quali
è la teoria che deve poi essere espressa in termini matematici e verificata
sperimentalmente).
Cosa è la filosofia della scienza o epistemologia? Si tratta di quella parte della filosofia che
si occupa di capire quali sono i procedimenti intellettuali degli scienziati. I grandi
epistemologi del Novecento sono contemporaneamente quegli scienziati che si sono
occupati a un tempo di filosofia della scienza (es. Bohr, Heisenberg) e quei filosofi che, pur
senza essere scienziati, si sono occupati di capire come ragiona lo scienziato quando
formula le proprie teorie (es. Popper).
Connesso a queste tematiche è il concetto di rapporto tra verità e realtà: lo scienziato,
rispetto alla realtà, formula enunciati dei quali può formularsi il vero o falso o sono solo
convenzioni in grado di rappresentare la realtà in modo ipotetico? Nel Novecento, questo
dubbio si pone forte (specie con l’affermazione degli inosservabili nell’ambito della fisica
quantistica).
Ma il giurista - ci si è domandati - quando ha a che fare con il proprio oggetto è uno scienziato
alla stregua del fisico? Molti autori ritengono che la giurisprudenza (quale sinonimo di
scienza giuridica) non sia una scienza come le scienze fisiche, ma una c.d. scienza pratica
(come la politica, la storia e l’economia). Altri studiosi ritengono invece che la scienza
giuridica sia una scienza come la fisica.
Ebbene, anche Velluzzi ritiene che la giurisprudenza sia una scienza. Anche il professor
Casa ritiene, come Velluzzi, che lo studio del diritto possa dirsi scientifico.
Chiarito cosa è l’epistemologia e che in questi termini è possibile una epistemologia
giuridica, chiariamo cosa sia la metodologia.
La metodologia, che sta poco sotto l’epistemologia, studia la correttezza dei metodi a cui
ricorre il giurista quando intende comportarsi scientificamente rispetto all’oggetto della
propria ricerca (se si vuole, essa è una epistemologia applicata). Il metodologo si occupa
dei metodi che lo scienziato applica quotidianamente per compiere il suo lavoro.
Sia Velluzzi che Casa ritengono che esista un modo scientifico di studiare il diritto, cioè che
esista la scienza giuridica (tanto è vero che abbiamo cercato di rinvenire i nessi logici dei
nostri ragionamenti). Perché, pur ritenendo che lo studio del diritto possa essere scientifico,
Velluzzi e Casa hanno invece idee completamente diverse? Hanno anzitutto idee filosofiche
diverse: Velluzzi è uno studioso di teoria analitica del diritto (dunque un analista); Casa
ritiene che la teoria analitica del diritto possa funzionare a condizione di non avere una
prospettiva normativista (cosa - il diritto positivo - cui invece si concentra Velluzzi)
Velluzzi ritiene che la filosofia della scienza debba premurarsi di sondare la correttezza
dell’applicazione del metodo giuridico da parte degli scienziati. La scuola analitica del diritto
ritiene che il filosofo debba principalmente occuparsi di verificare se i giuristi hanno fatto un
buon uso del metodo giuridico. La sua idea del metodo è dunque prescrittiva e verifica a
partire da casi concreti se quello che hanno detto i giuristi in relazione a essi costituisca un
buon utilizzo del metodo giuridico. La visione del Velluzzi è antimetafisica, nel senso che
ritiene che tutto il diritto coincida col diritto positivo e non attribuisce alcun significato al diritto
naturale. Velluzzi ritiene che la scienza giuridica debba studiare i ragionamenti dei giuristi e
indicare loro delle critiche sull’applicazione del metodo giuridico, che per lui è il metodo
analitico. Il metodo analitico - nato in Italia con Bobbio e Scarpelli - ha la funzione di
purificare il linguaggio del giurista; siccome gli analitici ritengono che tutto il pensiero si
risolva nel linguaggio e che sia il linguaggio stesso a dare le regole del pensiero, ciò che
occorre analizzare è unicamente il linguaggio. Un analitico dunque non può non essere un
normativista, visto che tutto si risolve nel linguaggio e il linguaggio del giurista è il diritto
positivo.
a)
Nel primo saggio, Velluzzi affronta un problema.
La struttura di ogni saggio è uguale: affronto un problema, vedo come è stato risolto dai
giuristi che hanno cercato di risolverlo e verifico se tali soluzioni alla luce del metodo analitico
sono corrette e se anzi i giuristi avrebbe potuto conseguire un risultato diverso se avessero
usato il metodo analitico.
Il problema del primo saggio riguarda l’interpretazione dell’art. 1362 cc. La prima domanda
cui Velluzzi cerca di rispondere è: come si interpreta un contratto, visto che il Legislatore ha
disciplinato agli artt. 1362 e ss. cc e ha dato ampio spazio al significato letterale del contratto
e alla comune intenzione dei contraenti? L’art. 1362 cc è a sua volta, nella prospettazione
di Velluzzi, oggetto (come l’art. 12 preleggi) di interpretazione.
Velluzzi compulsa la giurisprudenza della Corte di Cassazione per capire come si è risposto
nel tempo alla sua domanda.
Lì, comincia a leggere le prime risposte che sono state date alla sua domanda iniziale: come
si procede nell’interpretare un contratto e quale è il criterio più importante per farlo?
Velluzzi individua e analizza quattro risposte diverse che sono state date in giurisprudenza.
Egli le analizza e osserva se sono coerenti col metodo analitico: ossia disposizione giuridica
- lettura mediante argomento dell’intepretazione - norma.
Velluzzi enumera le quattro soluzioni date in giurisprudenza:
1. se il testo contrattuale è chiaro, non si fa luogo a interpretazione = la Cassazione
applica in pratica il brocardo dell’in claris; è inutile domandarsi il significato recondito
di un testo chiaro, ma ci si accontenta del significato letterale.
2. non si fa luogo all’interpretazione, se il testo è chiaro e univoco = se il testo esprime
chiarezza di significati e non vi sono dubbi circa il risultato interpretativo.
3. se il significato ha un elevato grado di chiarezza (significato altamente chiaro), non
si fa luogo all’attività interpretativa = non si useranno tutte le regole interpretative dei
contratti del codice.
4. non si fa luogo all'interpretazione se il significato letterale è coerente col
comportamento tenuto dalle parti = cioè se le parti si sono comportate coerentemente
con quanto pattuito.
Per osservare se sono buone, Velluzzi tenta di confutare le quattro tesi. Come? Mediante
l’art. 1362 cc, il quale dice che l’interpretazione del contratto va fatta riferendosi alla comune
volontà dei contraenti e non limitandosi al significato letterale. Cosa c’entra allora il 1362
con l’in claris non fit interpretatio? C’entra poco: perché l’art. è stato letto come “non si fa
luogo all’interpretazione e dunque ci si limita al significato letterale delle parole, se il testo
contrattuale è sufficientemente chiaro”; dunque per Velluzzi tutte queste quattro proposte
interpretative violano il dato letterale.
Si domanda poi cosa significa chiarezza. Per poter dire che il significato di un termine è
chiaro si deve avere in mente l’interpretazione preferibile, quella giusta. Ma allora la
chiarezza presuppone come già risolto il problema dell’interpretazione migliore.
Se poi si parla di chiarezza e univocità che rapporto vi è tra queste? Un testo contrattuale
può essere chiaro e non univoco? E può essere non chiaro ma univoco? E, nell’ipotesi in
cui lo si voglia chiaro e univoco, da dove si trae - dal punto di vista positivo - il concetto di
univocità?
Guardando poi al terzo argomento (la chiarezza elevata): quando un significato e chiaro e
quando è molto chiaro? Può esistere una gradazione di chiarezza?
L’ultimo criterio non spiega rispetto a cosa debba esservi coerenza. Se vi è coerenza
rispetto a un comportamento ideale, significa che ho già esaurito l’attività interpretativa
rispetto a ciò che è chiaro.
Ebbene, tutte queste soluzioni allora non aiutano, ma anzi rendono ancora più incerta
l’attività interpretativa poiché non chiariscono quale sia il momento in cui si passa
dall'interpretazione letterale a quella fissata dal Legislatore.
Dunque, ciascuno di questi modi interpretativi va abbandonato e soprattutto va abbandonato
il principio di in claris non fit interpretatio, concetto ambiguo e foriero di equivoco.
b)
Il giurista ragiona sempre nello stesso modo o il suo ragionamento cambia al mutare
dell’idea che ha a proposito del diritto?
Per l’approccio positivista del Velluzzi, il giurista deve essere soprattutto un buon
ragionatore: egli deve imparare a usare un metodo di ragionamento che prescinda
totalmente dall’idea che abbia di diritto. In altri termini: ritenere che il metodo sia neutro
rispetto all’idea che si abbia del diritto è idea tipicamente positivistica. Il metodo è uno:
questo serve per purificare – come vuole la scuola analitica – il linguaggio; parlare bene,
posto che tutto il pensiero coincide col linguaggio, significa avere buone idee.
Il professore ritiene che il metodo di ragionare del giurista al contrario risenta dell’idea di
diritto adottata dal ragionatore. Anzi: l’idea stessa è che il metodo dialettico-retorico-
argomentativo presupponga un’idea giusnaturalista per effetto della quale non è possibile
affermare che esista solo il diritto positivo, ma esso non è il precipitato di un diritto naturale
che lo sovrasta, e che anzi vi siano alcuni principi propri dell’uomo ai quali non può non farsi
riferimento nel ragionare. L’idea del confronto tra le ragioni e del prevalere di quella che
maggiormente regge la confutazione sia perfettamente in linea con la natura dialogic
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
-
Riassunto esame Metodologia della Scienza Giuridica, prof. Ancona, libro consigliato Ordinamento Giuridico tra Virt…
-
Riassunto esame Metodologia della Scienza Giuridica, prof. Ciaramelli, libro consigliato Nichilismo Giuridico, Irti
-
Riassunto esame Metodologia della scienza Giuridica, prof. Ciaramelli, libro consigliato Metodologia delle scienze …
-
Riassunto esame Metodologia, prof. Cuzzocrea, libro consigliato Metodologia della ricerca psicologica, Pedon e Gnis…