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ramo del potere legislativo, di mantenere le funzioni di alta giustizia che le erano proprie
sin dalla notte dei tempi.
Il principio di legalità, tra le altre cose, assicura la garanzia dell'irretroattività della legge
(la legge può disporre solo per il futuro e non colpire comportamenti tenuti o ricchezze
accumulate in passato) e della completezza dell'ordinamento giuridico (le leggi che
limitano la libertà e diritti sono eccezioni rispetto alla regola generale e residuale delle
libertà). La legge definisce le competenze degli organi dello Stato ed in questo sistema di
competenze i poteri pubblici si esauriscono. Il fine dello Stato è la "conservazione dei
diritti naturali ed imprescrittibili dell'uomo"; la legge deriva dal Parlamento, organo
rappresentativo della società civile, per cui la legge è l'autolimite che la società civile si
impone per "evitare le azioni nocive della società".
L'ultimo elemento fondamentale dello Stato liberale è la divisione fra Stato e società civile.
Il modello di regolamentazione dei rapporti sociali della società nello Stato liberale si rifà
alle teorie proposte da Adam Smith, cioè ai principi della mano invisibile e del libero
mercato (anche se Smith non fu un liberista assoluto). La classe borghese, infatti, tende ad
avere un rapporto diffidente nei confronti dello Stato, perché voleva che il suo intervento
si limitasse il più possibile per non intralciare con i loro affari: in pratica è la formulazione
dello Stato "gendarme", dove quest'ultimo ha il solo scopo primario di mantenere l'ordine
(nell'età borghese si intendono come gli obblighi connessi alla società dell'epoca),
assicurare il rispetto della legge e garantire la difesa esterna. Il tutto, ovviamente,
finanziato da tributi che vadano ad intaccare il meno possibile le risorse dei privati.
In questo contesto il principio di legalità deve anche assicurare certezza e prevedibilità: il
mercato, infatti, ha estremo bisogno di garanzie di sicurezza (ad esempio, gli imprenditori
devono sapere con chiarezza quale sia l'importo dei tributi da pagare o come deve
avvenire la regolamentazione dei contratti). Sulla base di ciò, lo studioso A. Hirshmann,
teorizzò l'esistenza di tre possibilità di un'economia di mercato: "exit", l'uscita dal mercato;
"voice", la protesta; "loyalty", cioè il mantenimento di fedeltà da parte del consumatore.
Occorre però precisare che, per permettere alla società civile di "autoregolamentarsi", lo
Stato deve necessariamente riconoscere all'uomo (e non al cittadino) una serie di diritti
inviolabili ed insopprimibili. Precedentemente allo Stato liberale, i diritti dei cittadini si
basavano su strutture di potere tradizionale: la rivoluzione francese, introducendo i
concetti di libertà ed eguaglianza, ha permesso il superamento di questa antica situazione
di particolarismo giuridico, garantendo l'eguaglianza formale di tutti i cittadini di fronte
alla legge.
Il principio di legalità ha un difetto: sebbene sia vincolante per i poteri esecutivo e
giudiziario, rischia di non esserlo per l'apparato legislativo stesso, provocando una sorta
di "onnipotenza" del legislatore. Ciò ha indotto gli Stati liberali ad introdurre le
Costituzioni, cioè le leggi fondamentali a cui anche il potere legislativo deve attenersi. Che
lo Stato di diritto e il costituzionalismo moderno siano due fenomeni contemporanei che si
sono sviluppati sovrapponendosi a vicenda e intrecciandosi è indubbiamente vero: la
Costituzione scritta ha rappresentato la codificazione delle regole e dei principi che
costituiscono il contenuto dello Stato di diritto. Ma, così come i contenuti dello Stato di
diritto hanno subito un'evoluzione, altrettanto è avvenuto per le prime costituzioni.
Dopo la Rivoluzione francese, il modello delle carte costituzionali gentilmente concesse
(octroyé / ottriata) dai sovrani europei "restaurati" sui loro troni dopo la sconfitta di
Napoleone era invece flessibile. Questo significa che, di fatto, il legislatore limita