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CAP II

Prospettiva diacronica e prospettiva sincronica nello studio delle P.A.

Allo scopo di definire sia il metodo che la finalità della scienza dell’amministrazione, occorre

partire da due distinte prospettive di analisi del fenomeno amministrativo: diacronico e

sincronico.

PROSPETTIVA DIACRONICA. Con questa prospettiva la nostra organizzazione

complessa <<P.A.>>, va esaminata nella sua dimensione storica a partire dalla formazione

degli Stati moderni cosiddetti <<di diritto>> (metà del XIX sec).

Questa prospettiva permette, quindi, di cogliere il processo evolutivo che ha condotto la P.A.

a trasformarsi nel tempo, dallo stato liberale dell’800, allo Stato sociale e interventista del

‘900, sino allo Stato contemporaneo “regolatore”. Seguendo questo percorso è possibile

cogliere tutte le trasformazioni delle P.A. e delle rispettive tipologie organizzative.

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PROSPETTIVA SINCRONICA Con questa prospettiva, invece, la P.A. della quale ci

.

occupiamo è invece solo quella contemporanea. L’analisi ed il raffronto non avviene quindi

nel tempo, ma nello spazio costituito dall’arena delle organizzazioni complesse. L’analisi

prende le mosse dal raffronto tra pubblica amministrazione da un lato e l’impresa privata

dall’altro.

Evoluzione dei modelli di Stato e trasformazioni del modello di welfare.

XVIII secolo. Lo Stato che si forma in Europa a partire dalla fine del XVIII secolo viene

definito “Stato democratico monoclasse”, “Stato Borghese” “Stato censitario” o meglio

ancora “Stato di diritto”, questo ad indicare che ogni sua azione si svolgeva non solo nel

rispetto della legge, ma è sottoposta al sindacato di un giudice.

Era uno Stato “liberale” per indicare i principi ideologici e politici del liberalismo politico e

del liberismo economico. Il motore ideologico di uno Stato liberale è la rivendicazione della

libertà individuale, in particolare del diritto di proprietà associato al principio di

eguaglianza fra gli uomini.

In economia la libertà individuale si traduce in libertà d’iniziativa, lo Stato borghese deve

astenersi da qualsiasi intervento nella vita economica e sociale.

Il compito dello Stato è quello di provvedere alla difesa, alla polizia, all’ordinamento

giudiziario e alla giurisdizione. Il nuovo Stato cede ai privati tutte le imprese in mano

pubblica, statali e locali ed esclude qualsiasi tipo di aiuto pubblico all’imprenditoria privata.

Ed è proprio in questo Stato borghese che agisce e svolge una funzione fondamentale

l’organizzazione amministrativa, inaugurando così quell’apparato pubblico e quella

burocrazia professionale che costituiranno la base per il futuro sviluppo degli Stati moderni

in Europa.

XX secolo. Nel corso del XX secolo lo Stato ha finito di essere solo Stato di diritto

<<guardiano notturno>> della libera iniziativa dei privati. Nella seconda metà del sec XX

tutti gli Stati industriali avanzati hanno vissuto lo stesso dramma organizzativo: nel giro di

pochi decenni essi, partiti come enti di funzione di ordine e di base, tipicamente autoritativi,

sono diventati anche enti gestori di servizi ed infine anche enti di trasferimenti di ricchezza.

Le amministrazioni statali che hanno saputo adeguarsi al rapido mutamento hanno retto, le

altre no e tra esse la nostra.

Mortara ha rappresentato le trasformazioni avvenute nel ruolo dello stato che prima

assistenziale, sarebbe divenuto imprenditore e successivamente programmatore.

L’assoluto centralismo statale dello stato di diritto, si è sostituito con una forma assai

ampia di decentramento e perfino di federalismo.

Dappertutto in Europa il richiamo alla razionalità economica espressione del paradigma di

amministrazione imprenditoriale efficiente, produttiva, ecc., si è affiancato alla

tradizionale razionalità giuridica espressione del paradigma (weberiano) di amministrazione

legale-razionale con tutti i suoi corollari circa la specialità delle norme che fanno riferimento

al diritto amministrativo e che disciplinano la P.A.

Oltre il processo irreversibile di europeizzazione si aggiungono le conseguenze, non meno

incisive sul terreno delle trasformazioni, il processo di globalizzazione ormai pienamente in

atto, per cui quasi ovunque, le pubbliche amministrazioni sono sottoposte a continue spinte di

riforma – come un fiume in piena – i cui argini fissati dai governanti sono stati in due parole

chiave:

- Privatizzazione: con questo termine si deve intendere la politica intrapresa dai maggiori

governi dei paesi occidentali avanzati tendente a ridurre l’intervento diretto dello stato

nell’economia attraverso le dismissioni delle imprese pubbliche e delle partecipazioni

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statali in favore del privato. Il periodo temporale che va dagli inizi degli anni ’30 del ‘900

fino alla fine degli anni ’60 è stato caratterizzato da un forte intervento pubblico

nell’economia, mentre a partire dagli anni ’70 sono iniziati i primi segnali di fallimento per

l’inefficienza di buona parte delle imprese pubbliche. La privatizzazione è stata talmente

invasiva al punto che lo Stato è andato oltre sino a mostrare una certa voglia di recedere

anche molti servizi di pubblica utilità e da importanti settori della vita sociale e assistenziale.

- Aziendalizzazione: con il termine aziendalizzazione si intende invece il processo di

trasformazione di enti pubblici in aziende dal regime giuridico non privatistico, ma

comunque con una minore influenza del controllo politico, con l’obiettivo di assicurare

una gestione agile ed efficace, oltre che efficiente, dei servizi di interesso pubblico.

Ambedue i termini hanno un comune denominatore, ovvero la possibilità offerta al settore

pubblico di accogliere esperienze tradizionalmente maturate nel settore privato,

intraprendendo la strada del superamento del modello burocratico, attento soprattutto al

rispetto delle regole in favore di quello manageriale ed imprenditoriale, maggiormente

attento al risultato. Nel nostro paese il dibattito sulla modernizzazione dell’amministrazione

pubblica che potesse coniugare i principi di legalità con quelli di efficienza ed efficacia ebbe

dunque inizio già a partire dalla fine degli anni ’60, dibattito che si allargava anche a come

riformare di conseguenza il tradizionale sistema di welfare che da tanto tempo assicurava a

tutti le conquiste del cosiddetto stato sociale.

Trasformazione del modello di welfare e pubbliche amministrazioni

Nel corso dei secoli si sono avute, in tutti i paesi avanzati d’Europa, varie trasformazioni

riguardanti il modello di stato. Tra la fine dell’800 e gli inizi del ‘900 si passa da uno Stato

di diritto, monoclasse, ad uno Stato del benessere o “Welfare state”, pluriclasse, cioè uno

stato che, come dice Beveridge, accudisce i propri cittadini dalla culla alla tomba.

Uno stato che interviene nel campo sociale per il mantenimento o la garanzia del reddito in

caso di vecchiaia, d’invalidità, maternità, morte del capo famiglia, disoccupazione, malattia,

carichi familiari, nonché politiche per la sanità, l’assistenza, l’istruzione ecc.

Questa forma di Stato ha preso anche il nome di Stato liberale interventista per

sottolineare il suo intervento, soprattutto nei primi anni del XX sec., in campo oltre che

sociale, anche economico, entrando così in un campo prima regno assoluto dell’iniziativa

privata.

Ci riferiamo alle nazionalizzazioni delle ferrovie, della telefonia, dei trasporti urbani, della

nettezza urbana, del gas, dell’acqua potabile, dell’energia elettrica ecc. – questo ovviamente

ha generato per tanti anni, se pur inutili, continue polemiche e scontri aperti da parte di larghi

settori delle classi dirigenti dell’epoca.

Questo processo di trasformazione del modello di Stato si viene affermando un po’ in tutta

Europa nel corso dei primi decenni del XX sec. e, all’affermarsi di quel modello di Stato,

naturalmente consegue un periodo di grande sviluppo per l’amministrazione pubblica sotto

l’aspetto dell’incremento sia delle strutture burocratiche sia del numero (e della

differenziazione delle competenze) dei dipendenti pubblici.

Si tratta del preludio verso quel ruolo sempre più imprenditoriale dello Stato.

Un processo evolutivo che ha condotto da una concezione di Stato di tipo ”regolatore” ad

una concezione nuova di Stato “funzionale” i cui obiettivi, oltre quelli di natura sociale ed

assistenziale, sono propriamente finalizzati allo sviluppo.

Un processo tuttavia, caricato di molti elementi di contraddizione. Il modello di welfare è

venuto mostrando via, via i suoi limiti.

Emblematico è il caso italiano. Intorno agli anni 80 e 90 si è registrata la pressoché unanime

condivisione, sul piano politico che scientifico, delle difficoltà strutturali dello Stato di

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essere motore trainante delle politiche di protezione sociale e, quindi, della necessità di una

riforma sostanziale del sistema di welfare.

Per cui sempre più forti sono state le spinte verso la privatizzazione del welfare, anche in

Italia e su un arco di settori molto ampio: istruzione, sanità, edilizia pubblica, attività

culturali e, soprattutto, l’assistenza.

Ed è proprio in riferimento a questi servizi che nel corso degli ultimi decenni è cresciuto il

cosiddetto Terzo Settore, una svariata quantità di organismi di volontariato ed

organizzazioni “non profit” ma anche associazioni ed enti che presentano un ordinamento

ambiguo che oscilla tra il pubblico ed il privato.

Lo sviluppo del Terzo Settore ha determinato la fine del welfare state ma anche il punto di

partenza di tutta una discussione circa la riforma del tradizionale modello di welfare.

La prospettiva principale di questa riforma consiste in una modifica sostanziale dei

presupposti di dimensioni, potere e metodi operativi della burocrazia pubblica che opera nel

campo del benessere sociale.

In breve si arriva al Welfare mix, con il quale si prevede il coordinamento tra Stato,

Mercato e settore non profit nella produzione di servizi sociali, valorizzando così l’impegno

di una pluralità di attori che, su basi diverse, uniscono i loro sforzi per il perseguimento di un

benessere sociale che l’ente pubblico da solo non è in grado di garantire. Tuttavia questo

ulteriore modello ha costituito, sotto il profilo della regolazione del sistema di produzione dei

servizi, un coagulo di contraddizioni da richiedere un ulteriore intervento di riordino della

materia.

La sua debolezza sta nel fatto che le relazioni che attraverso esso possono essere regolate

sono viziate da una concezione

Dettagli
A.A. 2013-2014
58 pagine
SSD Scienze economiche e statistiche SECS-P/01 Economia politica

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher lavalistenlive di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Scienza dell'amministrazione e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Catania o del prof La Bella Marco.