Sanità pubblica – Piano sanitario nazionale
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I nuovi scenari e i fondamenti del SSN
Da ultimo, ma non meno importante, è il coinvolgimento degli Istituti di
Ricovero e Cura a Carattere Scientifico, delle Aziende Ospedaliere e delle
Università nonché delle altre strutture sanitarie pubbliche e private: esse
rappresentano la naturale sede della formazione continua, in quanto in grado
di offrire quella “formazione in contesto professionale”, eminentemente
pratica ed operativa, senza la quale la formazione continua rimane un mero
esercizio cognitivo, privo di qualsiasi possibilità di ricaduta concreta sulla
qualità delle cure.
2.6. Promuovere l’eccellenza e riqualificare le strutture
ospedaliere
Per molti anni l’ospedale ha rappresentato nella sanità il principale punto di
riferimento per medici e pazienti: realizzare un Ospedale ha costituito per
piccoli e grandi Comuni italiani un giusto merito, ed il poter accedere ad un
Ospedale situato a breve distanza dalla propria residenza è diventato un
elemento di sicurezza e di fiducia per la popolazione, che ha portato l’Italia
a realizzare ben 1.440 Ospedali, di dimensioni e potenzialità variabili.
Ancora fino agli anni ’70 gli strumenti diagnostici e terapeutici dei medici e
degli Ospedali erano relativamente limitati: non esistevano le
apparecchiature sofisticate di oggi e quindi non era necessario disporre di
superspecialisti. Gli importanti sviluppi intervenuti successivamente, basta
citare l’impetuoso affermarsi delle tecnologie sanitarie basate sulle
bioimmagini, che ha visto il progressivo diffondersi delle ecografie, TAC,
NMR, e PET a fianco della radiologia tradizionale hanno comportato
l’obsolescenza di costosissime apparecchiature nel giro di pochi anni. Negli
ultimi 20 anni è cambiata la tecnologia, ed è cambiata la demografia:
l’aspettativa di vita è cresciuta fino a raggiungere i 76,0 anni per gli uomini
e gli 82,4 anni per le donne, cosicché la patologia dell’anziano,
prevalentemente di tipo cronico, sta progressivamente imponendosi su
quella dell’acuto. Si sviluppa conseguentemente anche il bisogno di servizi
socio-sanitari, in quanto molte patologie croniche richiedono non solo
interventi sanitari, ma soprattutto servizi per la vita di tutti i giorni, la
gestione della non-autosufficienza, l’organizzazione del domicilio e della
famiglia, sulla quale gravano maggiormente i pazienti cronici. Nasce la
necessità di portare al domicilio del paziente le cure di riabilitazione e
quelle palliative con assiduità e competenza, e di realizzare forme di
ospedalizzazione a domicilio con personale specializzato, che eviti al
paziente di muoversi e di affrontare il disagio di recarsi in Ospedale.
Alla luce di questo nuovo scenario la nostra organizzazione ospedaliera, un
tempo assai soddisfacente, necessita oggi di un ripensamento.
Un Ospedale piccolo sotto casa non è più una sicurezza, in quanto spesso
non può disporre delle attrezzature e del personale che consentono di attuare
cure moderne e tempestive.
Solo se si saprà cogliere, con questa ed altre modalità, il cambiamento ed il
nuovo che avanza in sanità, se si saprà attuare una buona comunicazione
con i cittadini per far loro capire come sia necessario, nel loro interesse,
assecondare il cambiamento ed adeguarvisi, se si saprà gestire il servizio
pubblico con mentalità imprenditoriale sarà offerta al Paese una sanità più
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I nuovi scenari e i fondamenti del SSN
efficace, più moderna ed anche economicamente più vantaggiosa,
modificando una realtà che continua ad assorbire risorse per mantenere
servizi di limitata utilità.
E’ importante sottolineare che l’Italia recentemente, ha ritenuto strategico il
collegamento in rete degli Ospedali di eccellenza e di questi con gli
Ospedali Italiani nel mondo. Si tratta di oltre 40 strutture distribuite nei vari
Continenti, con le quali il collegamento offre potenziali vantaggi in quanto
contribuisce a legare le comunità italiane all’estero, ma che ha vantaggi
evidenti soprattutto per i Paesi africani dove esistono ben 20 strutture
italiane per le quali si può ipotizzare la costruzione di una rete verticale
anziché orizzontale. Verticale nel senso che presso questi Ospedali si può
realizzare un teleconsulto e un sistema educativo via rete per
l’aggiornamento del personale italiano che, a sua volta, può trasferire queste
conoscenze al personale locale, creando in loco le capacità professionali per
rendere questi Paesi più autonomi dal punto di vista sanitario.
Gli obiettivi strategici
sostenere le Regioni nel loro programma di ridisegno della rete
- ospedaliera, con la finalità da un lato di convertire la funzione di alcuni
Ospedali minori e di attivare la ospedalità a domicilio, e dall’altro di
realizzare Centri avanzati di Eccellenza;
attivare, da parte delle Regioni e dello Stato, una forte azione di
- comunicazione con la popolazione, tesa a chiarire il senso
dell’operazione, che è quello di fornire ai cittadini servizi ospedalieri più
efficaci e più moderni, riducendo i cosiddetti viaggi della speranza ed i
relativi disagi e costi, attivando nel contempo servizi per i pazienti
cronici ed alleviando il peso che questi comportano per le rispettive
famiglie;
concordare con le Regioni una metodologia di misura della qualità degli
- erogatori dei servizi sanitari.
2.7 . Promuovere il territorio quale primaria sede di assistenza e di
governo dei percorsi Sanitari e Socio Sanitari
Più in generale, si rende evidente la necessità ormai inderogabile di
organizzare meglio il territorio spostandovi risorse e servizi che oggi ancora
sono assorbiti dagli ospedali, in una logica di sanità ospedalocentrica che
oggi non è più sostenibile. Ancora una volta quindi l’attenzione si sposta sui
MMG e pediatri di libera scelta, ai quali si deve però chiedere di giocare un
ruolo maggiore che in passato.
Il nuovo piano Sanitario Nazionale, è lo strumento per individuare un nuovo
assetto dell’organizzazione della medicina nel territorio. I problemi
economici, le liste di attesa, il sottoutilizzo e l’utilizzo improprio di risorse
nel sistema, impongono una reinterpretazione del rapporto territorio-
ospedale.
Il gradimento dei cittadini verso l’assistenza di base, consiglia di recuperare
a pieno questa risorsa riportandola al centro della risposta sanitaria e di
26 I nuovi scenari e i fondamenti del SSN
governo dei percorsi sanitari. Ciò in raccordo con le altre presenze nel
territorio.
Questo dovrà uniformarsi con un governo unitario della Sanità nel territorio,
espresso nella partecipazione alle scelte di programmazione, che dovrà
essere sintonizzato con gli obiettivi di salute della programmazione e quindi
premiare la professionalità, la qualità e la quantità di lavoro, nonché un
conseguente riconoscimento nel sistema sanitario.
Obiettivo di questo riordino sono:
- la garanzia di una appropriata erogazione dei servizi a partire dei LEA;
- il mantenimento nel territorio di tutte le attività ambulatoriali;
- un’efficace continuità assistenziale;
- la fornitura di attività specialistiche;
- l’abbattimento delle liste d’attesa;
- la riduzione di ricoveri ospedalieri impropri;
- la attivazione dei percorsi assistenziali.
L’obiettivo prioritario è la realizzazione di un processo di riordino che
garantisca un elevato livello di integrazione tra i diversi servizi sanitari e
sociali, realizzato con il supporto del medico dell’assistenza sanitaria di
base. Un processo teso a fornire, l’unitarietà tra prestazioni sanitarie e
sociali, la continuità tra azioni di cura e riabilitazione, la realizzazione di
percorsi assistenziali integrati, l’intersettorialità degli interventi, unitamente
al conseguente riequilibrio di risorse finanziarie e organizzative in rapporto
all’attività svolta tra l’ospedale e il territorio a favore di quest’ultimo.
E’ noto quanto sia importante il coordinamento degli interventi ed a tale
scopo individuare nel territorio soluzioni innovative, organizzative e
gestionali per orientare diversamente la domanda di prestazioni.
Il territorio è sempre stato considerato erogatore di servizi extra ospedalieri,
oggi è necessario indirizzare chiaramente una nuova e razionale offerta di
prestazioni sul territorio, che configuri l’intervento ospedaliero come
assistenza extra territoriale sempre più riservato alle patologie acute.
È una linea che inverte il tradizionale sistema di offerta sanitaria fondata
prioritariamente sull'ospedale che attende i cittadini ai servizi, a favore di
una linea che identifica il territorio quale soggetto attivo che intercetta il
bisogno sanitario e si fa carico in modo unitario delle necessità sanitarie e
socio-assistenziali dei cittadini.
2.7.bis Potenziare i Servizi di Urgenza ed Emergenza
Per quanto attiene al sistema di emergenza-urgenza attivo in Italia, sono
state emanate nell’aprile 1996 le Linee Guida che forniscono le indicazioni
sui requisiti organizzativi e funzionali della rete dell’emergenza e sulle
Unità operative che compongono i Dipartimenti di Urgenza ed Emergenza
(DEA) di I e II livello. Sulla base di tali indicazioni il sistema
dell’emergenza sanitaria risulta costituito da:
- un sistema di allarme sanitario, assicurato dalla centrale operativa, alla
quale affluiscono tutte le richieste di intervento sanitario in emergenza
tramite il numero unico telefonico nazionale (118); 27
I nuovi scenari e i fondamenti del SSN
un sistema territoriale di soccorso costituito da idonei mezzi di soccorso
- distribuiti sul territorio;
- una rete di servizi e presidi ospedalieri, funzionalmente differenziati e
gerarchicamente organizzati.
Relativamente a particolari specialità le Linee Guida sopra citate prevedono
l’elaborazione di successivi documenti di approfondimento sulla gestione di
tematiche specifiche. Tra queste, le Linee Guida sulla chirurgia e
microchirurgia della mano e quelle sul triage intraospedaliero sono state
approvate dalla Conferenza Stato Regioni e pubblicate sulla Gazzetta
Ufficiale del 7 dicembre 2001 mentre quelle sull’Organizzazione di un
sistema integrato di assistenza ai pazienti traumatizzati con mielolesioni e/o
cerebrolesioni sono state pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale del 24 giugno
2002.
Il miglioramento dei servizi di urgenza ed emergenza riveste infine un
particolare rilievo per le Isole minori e le località montane disagiate, per le
quali sono stati previsti specifici interventi sia dall’Accordo sui Livelli
Essenziali di Assistenza sia dalla Legge Finanziaria del 28 dicembre 2001 n.
448. Infatti, mentre l'Accordo garantisce l'erogazione delle prestazioni
previste dai livelli, con particolare riguardo a quelle di emergenza-urgenza,
alle popolazioni delle Isole minori e delle comunità montane disagiate, la
Legge Finanziaria facilita il reclutamento del personale da impiegare a tale
scopo.
Gli obiettivi strategici
- riorganizzazione strutturale dei Pronto Soccorso e dei Dipartimenti
d’emergenza e accettazione;
- integrazione del territorio con l’Ospedale;
- integrazione della rete delle alte specialità nell’ambito dell’emergenza
per la gestione del malato critico e politraumatizzato.
2.8. Promuovere la ricerca biomedica e biotecnologica e quella
sui servizi sanitari
La realizzazione degli obiettivi di salute dipende in larga parte dai risultati
della ricerca, in quanto il progresso scientifico contribuisce in maniera
determinante alla scoperta di nuove terapie e procedure diagnostiche ed alla
individuazione di nuovi procedimenti e di nuove modalità organizzative
nell’assistenza e nell’erogazione dei servizi sanitari.
Il sostegno della ricerca comporta dei costi, ma determina a lungo termine il
vantaggio, anche economico, di ridurre l’incidenza delle malattie, e di
migliorare lo stato di salute della popolazione.
Il convincimento che le sfide più importanti si possano vincere soltanto con
l’aiuto della ricerca e dei suoi risultati ci spinge a considerare il
finanziamento della ricerca un vero e proprio investimento e la sua
organizzazione un obiettivo essenziale.
Alla luce di tutto questo aver mantenuto la spesa pubblica italiana per la
ricerca tra le più basse in Europa, rispetto al prodotto interno lordo
nazionale, ha rappresentato un grave danno per il nostro Paese. Da più parti
28 I nuovi scenari e i fondamenti del SSN
si è elevato a questo proposito il monito che, uscendo dalle difficoltà
economiche momentanee, l'Italia debba approntare un piano strategico di
rilancio della ricerca che inizi con l'attribuire a questo settore maggiori
risorse pubbliche. Tuttavia va anche ricordato che il rilancio della ricerca
non dipende solo dalla disponibilità di fondi pubblici.
Per quanto riguarda la ricerca nell’ambito dell’Unione Europea è
fondamentale che l’Italia svolga a pieno il ruolo che le spetta nell’ambito
del Sesto Programma Quadro (2002-2006) di Azione Comunitaria di
Ricerca, Sviluppo Tecnologico e Dimostrazione per la Realizzazione dello
Spazio Europeo della Ricerca, dotato di importanti risorse finanziarie. Ciò
non solo perché il Programma Quadro contribuirà a modificare nell’arco di
cinque anni in modo radicale l’assetto della ricerca in Europa, ma anche
perché l’Italia ha il dovere di sviluppare la ricerca a sostegno delle politiche
comunitarie e di quelle destinate a rispondere alle esigenze emergenti.
Gli obiettivi strategici
la semplificazione delle procedure amministrative e burocratiche per la
- autorizzazione ed il finanziamento della ricerca;
la promozione delle collaborazioni e delle reti di scambio tra ricercatori,
- istituti di ricerca, istituti di cura, associazioni scientifiche ed associazioni
di malati;
la elaborazione dello studio di modelli che creino le condizioni
- favorevoli per l’accesso alla ricerca e per favorire la mobilità dei
ricercatori tra le varie Istituzioni;
la promozione delle collaborazioni tra Istituzioni pubbliche e private nel
- campo della ricerca;
l’attivazione di strumenti di flessibilità e convenienza per i ricercatori,
- capaci di attirare ricercatori operanti all’estero, inclusi i rapporti con i
capitali e gli istituti privati italiani e stranieri, in rapporto di partenariato
o di collaborazione senza limiti burocratici eccessivi;
l’attivazione di una politica che renda vantaggioso per le imprese
- investire nella ricerca in Italia, utilizzando modelli già sperimentati negli
altri Paesi;
il perseguimento degli obiettivi prioritari previsti dal 6° Programma
- Quadro Comunitario in tema di ITC, Biotecnologie e nuovi materiali,
nano e microtecnologie;
il perseguimento degli obiettivi previsti dai quattro assi di intervento
- previsti dal PNR. 29
I nuovi scenari e i fondamenti del SSN
2.9. Promuovere gli stili di vita salutari, la prevenzione e la
comunicazione pubblica sulla salute
Le conoscenze scientifiche attuali dimostrano che l’incidenza di molte
patologie è legata agli stili di vita.
a) Oltre ad una crescente quota di popolazione in sovrappeso, numerose
patologie sono correlate, ad esempio, ad una alimentazione non corretta.
Tra queste, alcuni tipi di tumori, il diabete mellito di tipo 2, le malattie
cardiovascolari ischemiche, l’artrosi, l’osteoporosi, la litiasi biliare, lo
sviluppo di carie dentarie e le patologie da carenza di ferro e carenza di
iodio. Una caratteristica della prevenzione delle malattie connesse
all’alimentazione è la necessità di coinvolgere gran parte della popolazione
e non soltanto i gruppi ad alto rischio. La strategia di prevenzione deve
essere rivolta pertanto all’intera popolazione, presso la quale occorre
diffondere raccomandazioni per una sana alimentazione in termini di
nutrienti, di scelta di profili alimentari salutari, ma anche coerenti con le
consuetudini, che tengano conto dei fattori culturali e socio economici.
L’accento va posto sulla lettura ed utilizzazione della etichettatura
nutrizionale, adottata per un numero crescente di alimenti preconfezionati,
che può facilitare scelte idonee ed indurre il settore industriale a migliorare
la qualità nutrizionale degli alimenti prodotti.
I disturbi del comportamento alimentare (anoressia nervosa, bulimia, altri
disturbi del comportamento alimentare) mostrano, a partire dagli anni ’70,
un significativo incremento di incidenza e prevalenza. I valori attuali di
prevalenza in Italia nelle donne di età compresa tra i 12 e i 25 anni (soggetti
a rischio) sono i seguenti (dati riguardanti solo le sindromi complete e non i
disturbi subclinici): anoressia nervosa 0,3-0,5%; bulimia nervosa 1-3%;
altri disturbi del comportamento alimentare 6%.
Un problema che riveste un interesse prioritario è quello della dieta e del
sovrappeso, sul quale ha richiamato l’attenzione di recente il Consiglio dei
Ministri Europeo e per il quale si rimanda all’apposito capitolo.
Anche su questi temi vanno attuate, a fini di prevenzione, campagne di
sensibilizzazione anche nella scuola, nei consultori adolescenziali e presso i
medici di medicina generale.
b) Nell’ambito dell’adozione di stili di vita sani, l’attività fisica riveste
un ruolo fondamentale. Il ruolo protettivo dell’esercizio fisico regolare è
stato dimostrato soprattutto nei confronti delle patologie cardiovascolari e
cerebrovascolari, di quelle osteoarticolari (in particolare l’osteoporosi),
metaboliche (diabete), della performance fisica e psichica degli anziani.
L’esercizio fisico regolare aiuta a controllare il peso corporeo, riduce
l’ipertensione arteriosa e la frequenza cardiaca ed aumenta il benessere
psicofisico.
c) Il fenomeno del tabagismo è molto complesso sia per i risvolti
economici, psicologici e sociali sia, soprattutto, per la pesante
compromissione della salute e della qualità di vita dei cittadini, siano essi
soggetti attivi (fumatori) o soggetti passivi (non fumatori).
Oggi la comunità scientifica è unanime nel considerare il fumo di tabacco la
principale causa di morbosità e mortalità prevenibile. Infatti è
scientificamente dimostrato l’aumento della mortalità nei fumatori rispetto
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ai non fumatori per molte neoplasie quali ad esempio il tumore del polmone,
delle vie aeree superiori (labbra, bocca, faringe e laringe), della vescica e del
pancreas.
Il fumo è causa anche di un aumento della mortalità per affezioni
cardiovascolari, aneurisma dell’aorta e broncopneumopatie croniche
ostruttive.
Si stima che, ad oggi, i fumatori nel mondo siano circa 1 miliardo e 100
mila, 1/3 della popolazione globale sopra i 15 anni e 1/3 di questi siano
donne. In Europa sono stati stimati 230 milioni di fumatori, cioè circa il
30% dell’intera popolazione europea.
In Italia, dalle indagini multiscopo dell’Istat risulta che nel 2000 la
percentuale di fumatori era pari al 24,1%: il 31,5% della popolazione
maschile, il 17,2% della popolazione femminile e ben il 21,3% dei giovani
tra i 14 e i 24 anni. I fumatori più accaniti, in termini di numero medio di
sigarette fumate al giorno, sono gli uomini con 16 sigarette al giorno contro
le 12 delle donne.
Nel nostro Paese nel 1998 si sono verificati 570.000 decessi: il 15% di
questi, pari a 84.000 sono stati attribuiti al fumo, 72.000 nella popolazione
maschile e 12.000 in quella femminile.
Attualmente il tumore al polmone è la decima causa di morte nel mondo.
Alcuni studi predicono che, qualora non si adottino più concrete politiche
antifumo, il tumore al polmone sarà nel 2020 tra le prime 5 cause di morte
al mondo.
L’analisi della distribuzione percentuale dei fumatori negli ultimi 10 anni
(1991-2000), che non mostra diminuzioni significative, ci induce a pensare
che le politiche intraprese finora dai vari Governi e supportate anche da
Organizzazioni sopranazionali, quali l’OMS, non hanno ottenuto i risultati
attesi.
La normativa nazionale sul divieto di fumo nei locali pubblici utilizzata
finora, risulta essere limitata ed inefficace nella sua applicazione. Il divieto
di fumo, così come regolamentato sostanzialmente dalla Legge n. 584
dell’11 novembre 1975 e dalla direttiva 14 dicembre 1995, non è sufficiente.
Questa normativa, nel tentativo di puntualizzare i luoghi ove è vietato
fumare e di affidare il rispetto delle norme a responsabili sprovvisti
dall’autorità necessaria, ha, di fatto, creato incertezze e difficoltà che hanno
vanificato lo sforzo del legislatore.
Un ulteriore sviluppo normativo approvato in via definitiva dal Parlamento
il 21 dicembre 2002 prevede l’applicazione del divieto di fumo a tutti gli
spazi confinati, ad eccezione di quelli adibiti ad uso privato e a quelli
eventualmente riservati ai fumatori che dovranno essere dotati di appositi
dispositivi di ricambio d’aria per tutelare la salute dei lavoratori addetti.
Gli interventi legislativi, comunque, devono essere coniugati con maggiori e
più incisive campagne di educazione ed informazione sui danni procurati
dal fumo attivo e/o passivo, la cui efficacia potrà essere maggiore se
verranno rivolte soprattutto ai giovani in età scolare e alle donne in età
fertile.
Una campagna indirizzata ai ragazzi di 14 e 15 anni è stata iniziata nelle
scuole dal Ministero della Salute e da quello dell’Istruzione, Università e
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I nuovi scenari e i fondamenti del SSN
Ricerca scientifica con l’iniziativa denominata “Missione Salute” che si
propone di supportare l’educazione alla Salute nelle nostre scuole.
In particolare per i giovani va tenuto conto che si è registrato un
abbassamento dell’età in cui questi iniziano a fumare (15 anni) e che il 90%
dei fumatori inizia a consumare sigarette prima dei 20 anni. Inoltre, se si
considera che l’iniziazione alle sigarette è fortemente influenzata, sia nelle
ragazze sia nei ragazzi, da pressioni sociali, da bisogni psicologici, da
condizionamenti legati a compagni ed amici e da fattori familiari quali la
presenza di genitori che fumano, risulta evidente che un appropriato
intervento deve essere perseguito con un adeguato comportamento di coloro
che rivestono ruoli percepiti dai ragazzi come carismatici, inclusi i genitori,
gli insegnanti, gli operatori sanitari e i mass media. Sarà da modificare in
particolare il modello proposto nei decenni precedenti che presentava il
fumatore come un personaggio emancipato e carismatico; al contrario la
nuova politica adottata negli USA, che attribuisce al fumatore un basso
livello socio-culturale, è quella che più si avvicina alle realtà e che meglio
può contrastare la cultura del secolo scorso.
Essendo scientificamente provata la correlazione tra fumo e patologie del
feto, risulta di particolare rilievo l’intervento di sensibilizzazione destinato
alle donne in età fertile. Infatti, ad esempio, il deficit congenito di un arto,
nel quale una parte o tutto l’arto del feto può non svilupparsi, è doppio nelle
donne fumatrici rispetto alle non fumatrici. L’aborto spontaneo, si produce
in quasi 4.000 donne su 100.000 che fumano e il rischio di gravidanza
ectopica è doppio rispetto alle non fumatrici. I bambini di madri fumatrici
pesano alla nascita in media 150-200 grammi in meno. Le donne fumatrici
sono più soggette a fenomeni quali la placenta previa, il distacco di
placenta, le emorragie gestazionali, la rottura precoce della membrana
amniotica, le infezioni del liquido amniotico. Inoltre alcuni studi dimostrano
che l’esposizione dei neonati al fumo passivo aumenta il rischio di SIDS
(Sudden Infant Death Sindrome) ed in particolare è direttamente
proporzionale al consumo di sigarette fumate dalla madre e al numero di
sigarette fumate in presenza dei neonati.
d) La riduzione dei danni sanitari e sociali causati dall’alcool è,
attualmente, uno dei più importanti obiettivi di salute pubblica, che la gran
parte degli Stati persegue per migliorare la qualità della vita dei propri
cittadini. Numerose evidenze dimostrano che gli individui (ed i giovani in
particolare) che abusano dell’alcool risultano più frequentemente inclini a
comportamenti ad alto rischio per sè e per gli altri (quali guida di
autoveicoli e lavoro in condizioni psico-fisiche inadeguate) nonché al fumo
e/o all’abuso di droghe rispetto ai coetanei astemi. L’alcool agisce come
“ponte” per gli individui più giovani, rappresentando una delle possibili
modalità di approccio a sostanze illegali, le cui conseguenze spesso si
estendono ben oltre la salute della persona che ne fa direttamente uso.
Benché il consumo di bevande alcooliche in Italia sia andato diminuendo
dal 1981, notevoli sforzi devono essere posti in essere per raggiungere gli
obiettivi adottati dall’OMS e, in particolare, dall’Unione Europea con la
recente approvazione di una specifica strategia per la riduzione dei pericoli
connessi all’alcool.
32 I nuovi scenari e i fondamenti del SSN
Una corretta informazione sui problemi della salute, sulle malattie, e sui
comportamenti e le soluzioni più adatte a promuovere lo stato di salute sta
alla base di una moderna società del benessere. Molti sono infatti gli
strumenti che la scienza e la tecnologia moderna mettono a disposizione
della collettività per tutelare le condizioni di vita e di salute. Molti sono
anche, peraltro, i fattori di minaccia per la salute, vecchi e nuovi,
dall’inquinamento agli errori alimentari, agli abusi di sostanze
potenzialmente dannose, alla mancata prevenzione. Anche sostanze innocue
come il sale da cucina, se assunto in quantità eccessive possono essere causa
di malattie a carico dell’apparato cardio-vascolare.
Va inoltre sottolineata l’importanza di sottoporsi a periodici controlli e a test
di screening consigliati per la diagnosi precoce dei tumori nelle età e con i
tempi appropriati.
Alcune importanti informazioni di carattere sanitario non sono o sono
scarsamente accessibili ai pazienti. Questo è, ad esempio, il caso delle
informazioni:
sulle possibili terapie alternative per particolari malattie;
- sullo sviluppo di alcuni approcci terapeutici;
- sull’esito di alcune sperimentazioni cliniche;
- sulle caratteristiche delle diverse strutture sanitarie e le diverse
- possibilità di cura;
sulle modalità di accesso alle cure.
-
Le informazioni necessarie ai pazienti per orientarsi sulle decisioni in
materia di salute dovrebbero essere fornite in modo comprensibile e
aggiornato. Benché il ruolo del medico e del farmacista rimanga
fondamentale nell’informare i pazienti, è necessario tenere conto del fatto
che lo sviluppo della società dell’informazione offre numerosi altri
strumenti, ivi incluso Internet, il cui impatto potrebbe essere altamente
benefico se opportunamente utilizzati. In effetti, esistono già numerosi siti
web che forniscono una varietà di informazioni di carattere sanitario, ma la
qualità dell’informazione fornita non è sempre soddisfacente ed, in alcuni
casi, è addirittura fuorviante.
Costituisce un obbligo prioritario per il Servizio Sanitario Nazionale quello
di fornire ai cittadini corretti strumenti di informazione, che consentano di
evitare i rischi, di attuare comportamenti salutari, e di conoscere e saper
individuare adeguatamente ed in tempo utile i possibili segnali di squilibrio
psicofisico e di malattia.
Oltreché all’importanza della informazione sulla salute rivolta ai cittadini, il
Servizio Sanitario Nazionale deve prestare attenzione anche alle opportunità
dello sviluppo di una corretta comunicazione tra cittadini ed Istituzioni. Fino
ad un recente passato il rapporto terapeutico era inteso quasi esclusivamente
“a senso unico”, nel quale le informazioni passavano dal medico, o
dall’operatore sanitario, al paziente, o ai suoi familiari. In uno stato
moderno, nel quale i cittadini possiedono livelli di cultura più elevati, e
soprattutto ambiscono a partecipare attivamente ai processi sociali ed
economici che li riguardano, la relazione bidirezionale tra operatori e utenti
è d’obbligo. 33
I nuovi scenari e i fondamenti del SSN
Le Istituzioni sanitarie devono rispondere a numerose istanze sul complesso
e articolato tema della salute, moltiplicando in tal modo la quantità dei temi
e dei messaggi, che rischiano così di disperdersi in più percorsi di
comunicazione, non potendo avere una sufficiente massa critica di risorse.
Si nota inoltre su alcune tematiche di pubblico valore, oggetto in passato di
attività comunicazionale, un mancato coordinamento a livello di obiettivi
strategici desiderati, o addirittura una sovrapposizione degli sforzi da parte
di diversi enti, che anziché creare valore incrementale alla comunicazione
rischiano di indirizzare ai cittadini messaggi incoerenti o poco chiari.
L’insieme di queste considerazioni evidenzia la necessità di modificare
l’approccio alla comunicazione istituzionale in campo sanitario se si vuole
raggiungere risultati significativi su questioni di altissimo impatto.
Gli obiettivi strategici
Occorre orientare l’attività e gli impegni del Servizio Sanitario Nazionale
affinché esso si muova nella direzione dello sviluppo di un sistema di
monitoraggio e comunicazione per tutti gli utenti, effettivi e potenziali, sugli
stili di vita sani e la prevenzione sanitaria.
Ciò implica la necessità di:
acquisire gli elementi necessari per comprendere le esigenze di
- informazione dei cittadini in tema di salute e di sanità;
avviare un processo di valutazione ed interpretazione della domanda di
- salute;
individuare i nodi critici della comunicazione tra operatori e utenti;
- mettere a fuoco le lacune in tema di capacità diffuse di prevenzione;
- progettare una banca-dati di informazioni aggiornate sulla rete dei
- servizi sanitari e sociosanitari e sulle prestazioni offerte, ed un relativo
sistema di trasmissione e distribuzione delle informazioni;
contribuire al consolidamento di una corretta cultura della salute nel
- Paese;
coinvolgere soggetti plurimi, pubblici e privati, in comuni imprese ed
- iniziative di comunicazione ed informazione sulla salute e la sanità;
portare a regime un piano pluriennale di comunicazione istituzionale
- sulla salute.
2.10. Promuovere un corretto impiego dei farmaci e la
farmacovigilanza
L’uso razionale dei medicinali rappresenta un obiettivo prioritario e
strategico del Piano Sanitario Nazionale, per il ruolo che il farmaco riveste
nella tutela della salute.
A seguito dell’emanazione della Legge 16 novembre 2001 n. 405, i farmaci
rappresentano uno dei settori più avanzati di applicazione del processo di
devoluzione di competenze alle Regioni, in un quadro peraltro di garanzia
per tutti i cittadini di accesso ai farmaci essenziali.
34 I nuovi scenari e i fondamenti del SSN
L’attuazione del Programma Nazionale di Farmacovigilanza, costituisce lo
strumento attraverso il quale valutare costantemente il profilo di beneficio-
rischio dei farmaci, e garantire la sicurezza dei pazienti nell’assunzione dei
medicinali. Più in generale, bisogna puntare sul buon uso del farmaco.
In tale contesto, si inserisce l’invio a tutte le famiglie italiane dell’opuscolo
“Pensiamo alla salute. 20 regole per un uso corretto dei farmaci”, a cura del
Ministero della Salute. Tale iniziativa intende costituire un supporto di
conoscenza e di informazione per tutti i cittadini sul corretto ruolo dei
farmaci nel contesto della salute, mettendo in relazione l’uso dei medicinali
con l’attenzione a stili di vita adeguati.
L’Italia ritiene necessario l’aggiornamento della normativa europea in
materia di medicinali e a tal fine si adopererà per mettere a punto nuovi
sviluppi basati sulla collaborazione degli stati membri e della Commissione
Europea secondo quanto delineato dal gruppo di lavoro ad alto livello su
“Innovazione e disponibilità dei medicinali” (cosiddetto gruppo G-10
medicinali) che ha adottato 14 raccomandazioni in materia di politica
farmaceutica relative ad innovazione, accessibilità, benchmarking, diritti di
informazione dei pazienti ed impatto dell’allargamento dell’U.E..
Gli obiettivi strategici
Gli obiettivi strategici nel settore del buon uso del farmaco possono essere
così definiti:
- offrire un supporto sistematico alle Regioni sull’andamento mensile
della spesa farmaceutica, attraverso informazioni validate ed oggettive,
che consentano un puntuale monitoraggio della spesa, la valutazione
dell’appropriatezza della farmacoterapia e l’impatto delle misure di
contenimento della spesa adottate dalle Regioni in base alla citata Legge
405 del 2001;
- attuare il Programma Nazionale di Farmacovigilanza per assicurare un
sistema capace di evidenziare le reazioni avverse e di valutare
sistematicamente il profilo di rischio-beneficio dei farmaci;
- porre il farmaco fra i temi nazionali dell’ECM;
- rafforzare l’informazione sui farmaci rivolta agli operatori sanitari e ai
cittadini;
- promuovere l’appropriatezza delle prescrizioni e dei consumi;
- rilanciare la sperimentazione clinica dei farmaci e il ruolo dei comitati
etici locali;
- assicurare l’accesso agevole e rapido ai medicinali innovativi per tutti i
cittadini. 35
La promozione della salute
Parte Seconda
Gli obiettivi generali
36 La promozione della salute
3. La promozione della salute
L’aumento della longevità in Italia potrà essere conseguito soprattutto
attraverso la diminuzione della mortalità per malattie cardiovascolari, la
riduzione della mortalità prematura per cancro e una migliore prevenzione
degli incidenti e degli infortuni. Sono numerose in Italia, come in altri Stati,
le cause di morte che potrebbero essere prevenute da un intervento medico o
di salute pubblica appropriato (morti evitabili). Un primo gruppo comprende
le malattie per le quali i fattori etiologici sono stati identificati e il cui
impatto dovrebbe essere ridotto attraverso idonei programmi di prevenzione
primaria. Un secondo gruppo include le malattie neoplastiche la cui diagnosi
precoce, unitamente alla terapia adeguata, ha dimostrato di aumentare
notevolmente il tasso di sopravvivenza dei pazienti. Un terzo gruppo, più
eterogeneo, è formato da malattie associate a condizioni igieniche scarse,
quali ad esempio l’epatite virale A, e da altre malattie fortemente influenzate
dall’efficienza del sistema sanitario nel provvedere una diagnosi corretta e
un tempestivo trattamento appropriato. Secondo alcune stime recenti, vi
sarebbero state in Italia nel 1998 circa 80 mila morti evitabili per il 57,7%
mediante la prevenzione primaria, per il 9,9% attraverso diagnosi precoci e
per la restante parte con una migliore assistenza sanitaria. L’incremento del
numero delle persone anziane pone la necessità di promuovere la loro
partecipazione alla vita sociale, contrastando l’emarginazione e rafforzando
l’integrazione fra politiche sociali e sanitarie al fine di assicurare
l’assistenza domiciliare per evitare ogni volta che sia possibile
l’istituzionalizzazione.
3.1. Vivere a lungo, vivere bene
L’aspettativa di vita a 65 anni in Italia ha evidenziato la tendenza ad un
progressivo aumento a partire dal 1970 per entrambi i sessi: nel corso degli
anni fra il 1983 e il 1993, l’aspettativa di vita a 65 anni è aumentata di 2,3
anni per le femmine (+13,5%) e di 2 anni per i maschi (+14,5%). Nell’anno
2000 l’aspettativa di vita alla nascita è stata stimata essere pari a 82,4 anni
per le donne e a 76,0 anni per gli uomini. Tuttavia, l’aumento della
longevità è un risultato valido se accompagnato da buona salute e da piena
autonomia. A tale scopo è stato sviluppato il concetto di “aspettativa di vita
sana (o esente da disabilità)”. I dati disponibili, pur limitati, suggeriscono
che l’aspettativa di vita esente da disabilità, sia per i maschi che per le
femmine, si avvicini in Italia alla semplice aspettativa di vita maggiormente
di quanto non avvenga in altri Paesi.
Secondo gli obiettivi adottati nel 1999 dall’OMS (Organizzazione Mondiale
della Sanità) per gli Stati europei, ivi inclusa l’Italia, entro l’anno 2020:
vi dovrebbe essere un aumento, almeno del 20%, dell’aspettativa di vita
- e di una vita esente da disabilità all’età di 65 anni;
vi dovrebbe essere un aumento, di almeno il 50%, nella percentuale di
- persone di 80 anni che godono di un livello di salute che permetta loro di
mantenere la propria autonomia e la stima di sé. 37
La promozione della salute
3.2 Combattere le malattie
3.2.1. Le malattie cardiovascolari e cerebrovascolari
Le malattie cardiovascolari sono responsabili del 43% dei decessi registrati
in Italia nel 1997, per il 31% dovute a patologie ischemiche del cuore e per
il 28% ad accidenti cerebrovascolari. Notevoli differenze si registrano in
diverse parti d’Italia sia nell’incidenza sia nella mortalità associata a queste
malattie.
I principali fattori di rischio a livello individuale e collettivo sono il fumo di
tabacco, la ridotta attività fisica, gli elevati livelli di colesterolemia e di
pressione arteriosa ed il diabete mellito; la presenza contemporanea di due o
più fattori moltiplica il rischio di andare incontro alla malattia ischemica del
cuore e agli accidenti cardiovascolari.
Per quanto riguarda gli interventi finalizzati alla riduzione della letalità per
malattie cardiovascolari è ormai dimostrato come la mortalità ospedaliera
per infarto acuto del miocardio, rispetto a quanto avveniva negli anni ’60
prima dell’apertura delle Unità di Terapia Intensiva Coronaria (UTIC), sia
notevolmente diminuita e, dopo l’introduzione della terapia trombolitica, si
sia ridotta ulteriormente. Ciò che resta invariata nel tempo è, invece, la quota
di pazienti affetti da infarto miocardio acuto che muore a breve distanza
dall’esordio dei sintomi prima di giungere all’osservazione di un medico. Per
quanto riguarda l’ictus (circa 110.000 cittadini sono colpiti da ictus ogni
anno mentre più di 200.000 sono quelli con esiti di ictus pregressi), si rende
indispensabile riorganizzare operativamente e promuovere culturalmente
l’attenzione all’ictus cerebrale come emergenza medica curabile. E’
necessario, quindi, prevedere un percorso integrato di assistenza al malato
che renda possibile sia un intervento terapeutico in tempi ristretti per evitare
l’instaurarsi di danni permanenti, e dall’altro canto un tempestivo
inserimento del paziente già colpito da ictus in un sistema riabilitativo che
riduca l’entità del danno e favorisca il recupero funzionale.
Per contrastare sia le malattie cardiovascolari sia quelle cerebrovascolari, è
molto importante intensificare gli sforzi nella direzione della prevenzione
primaria e secondaria, attraverso:
- la modificazione dei fattori di rischio quali fumo, inattività fisica,
alimentazione errata, ipertensione, diabete mellito;
- il trattamento con i farmaci più appropriati.
E’ necessario anche migliorare le attività di sorveglianza degli eventi acuti.
L’obiettivo adottato nel 1999 dall’Organizzazione Mondiale della Sanità per
gli Stati dell’Europa per l’anno 2020 è quello di una riduzione della
mortalità cardiovascolare in soggetti al di sotto dei 65 anni di età pari ad
almeno il 40%.
3.2.2. I tumori
Il cancro costituisce la seconda causa di morte nel nostro Paese. Nel 1998 i
decessi per tumore sono stati circa 160.000, il 28% circa della mortalità
complessiva. Il maggior numero assoluto di decessi è attribuibile ai tumori
polmonari, seguono quelli del colon-retto, dello stomaco e della mammella.
38 La promozione della salute
Si stima che in Italia siano diagnosticati circa 270.000 nuovi casi di tumore
all’anno.
L’incidenza dei tumori nella popolazione italiana anziana è ancora in
aumento, mentre i tassi di incidenza, aggiustati per età, sono stimati stabili.
Nei dati dei Registri Tumori Italiani, il tumore del polmone è quello con il
massimo livello di incidenza, seguono i tumori della mammella, del colon-
retto e dello stomaco.
La distribuzione geografica del cancro in Italia è caratterizzata dall’elevata
differenza di incidenza e di mortalità fra grandi aree del Paese, in particolare
fra Nord e Sud. In entrambi i sessi e per la maggior parte delle singole
localizzazioni tumorali ed in particolare per i tumori a maggiore frequenza, il
rischio di ammalare è molto superiore al Nord che al Sud del Paese. Nel
1997 i tassi standardizzati per età della mortalità per cancro sono stati per
1.000 abitanti pari a:
uomini: Nord-Ovest: 3,85; Nord-Est: 3,63; Centro: 3,35; Sud e Isole: 3,03;
donne: Nord-Ovest: 1,93; Nord-Est: 1,83; Centro: 1,76; Sud e Isole: 1,57.
La sopravvivenza in presenza della malattia è costantemente aumentata nel
tempo, a partire dal 1978, anno dal quale si dispone di dati. L’incremento in
Italia è stato il più forte tra tutti quelli osservati nei Paesi europei. Le
probabilità di sopravvivenza a 5 anni, nell’ultimo periodo disponibile
(pazienti diagnosticati fino al 1994), sono complessivamente del 47% (39%
negli uomini e 56% nelle donne). Nel corso di 5 anni, rispetto alle
osservazioni precedenti, la sopravvivenza è migliorata del 7% negli uomini e
del 6% nelle donne.
La differenza tra sessi è dovuta soprattutto alla minore letalità dei tumori
specifici della popolazione femminile.
Il fumo e le abitudini alimentari scorrette (compreso l’eccessivo consumo di
alcool) sono fattori di rischio riconosciuti, per molte categorie di tumori, con
peso etiologico variabile, e possono spiegare circa i 2/3 di tutti i casi di
tumore. Gli interventi per contrastare questi fattori, cui sono dedicati
specifici capitoli del presente Piano Sanitario, sono, quindi, di fondamentale
importanza.
La diagnosi precoce, che consenta la rimozione del tumore prima della
diffusione nell’organismo di cellule metastatiche, sarebbe in via di principio,
risolutiva almeno per i tumori solidi. Essa avrebbe inoltre un riscontro quasi
immediato nelle statistiche di mortalità. In pratica la diagnosi precoce clinica
può non essere sufficiente a salvare la vita del paziente, anche se può in
molti casi allungarne il tempo di sopravvivenza e migliorarne la qualità della
vita. Deve essere incentivato e reso disponibile l’approfondimento
diagnostico anche in soggetti con sintomi lievi e con basso potere predittivo,
con particolare attenzione alla popolazione anziana.
Alle persone sane vanno proposti solo esami di screening di comprovata
efficacia nella riduzione del tasso di mortalità e di morbilità dovute al
cancro, che allo stato delle attuali conoscenze sono il Pap test, la
mammografia e la ricerca del sangue occulto nelle feci. 39
La promozione della salute
Tra i problemi che affliggono l'erogazione di un'adeguata assistenza ai
cittadini affetti da neoplasia maligna, oltre alla mancanza di
“ospedalizzazione a domicilio”, vi è la scarsità di adeguate strutture
ospedaliere specializzate nel trattamento del cancro. Gli aspetti negativi di
questa situazione sono essenzialmente due: 1) la gran variabilità della
casistica clinica non consente ai tecnici di focalizzare il loro interesse
professionale alla diagnosi e terapia di questa patologia; 2) la necessità di
fronteggiare tutte le patologie e la limitatezza dei fondi disponibili non
consentono a tutti di acquisire le apparecchiature necessarie per erogare
prestazioni adeguate (basta pensare alle poche Unità di Radioterapia presenti
sul territorio nazionale).
L'oncologia è una disciplina che coinvolge molti enti con diverso interesse
principale, perché non essendo ancora nota la causa etiologica è necessaria
un'intensa attività di ricerca che comprende la ricerca di base, la ricerca
cosiddetta traslazionale e la ricerca clinica propriamente detta
Si è però venuta a creare una situazione non bene definita, perché questa
suddivisione di compiti ha confini molto sfumati essenzialmente per la
mancanza di un accordo formale sulla suddivisione di compiti tra enti
diversi.
Sia a livello nazionale sia a livello europeo sta per iniziare una discussione
su questo problema: l'Unione Europea ha lanciato un'iniziativa definita
"European Cancer Research Iniziative” il cui scopo essenziale è di aiutare la
Commissione Europea a definire i contenuti della parte oncologica del VI
Programma Quadro. Nel corso della discussione è però emersa come
prioritaria la necessità di risolvere i problemi dei pazienti a livello
individuale e di salute pubblica. La proposta formulata dalle Associazioni
Oncologiche europee è di definire un modello di centro oncologico cui dare
tre obiettivi prioritari:
1) migliorare gli standard di prevenzione, diagnosi e terapia;
2) favorire la parità tra pazienti e medici;
3) migliorare l'accesso alle strutture di diagnosi e cura in Europa.
3.2.3. Le cure palliative
In Italia muoiono ogni anno oltre 159.000 persone a causa di una malattia
neoplastica (Istat, 1998) ed il 90% di esse (143.100) necessita di cure
palliative che si realizzano attraverso la formulazione e l’offerta di un piano
personalizzato di cura ed assistenza in grado di garantire la migliore qualità
di vita residua possibile durante gli ultimi mesi di vita al paziente stesso e
alla sua famiglia. Tale fase, definita comunemente “fase terminale”, e’
caratterizzata per la persona malata da una progressiva perdita di autonomia,
dal manifestarsi di sintomi fisici e psichici spesso di difficile e complesso
trattamento, primo fra tutti il dolore, e da una sofferenza globale, che
coinvolge anche il nucleo famigliare e quello amicale e tale da mettere
spesso in crisi la rete delle relazioni sociali ed economiche del malato e dei
suoi cari.
40 La promozione della salute
La fase terminale non e’ caratteristica esclusiva della malattia oncologica,
ma rappresenta una costante della fase finale di vita di persone affette da
malattie ad andamento evolutivo, spesso cronico, a carico di numerosi
apparati e sistemi, quali quello respiratorio (ad es. insufficienza respiratoria
refrattaria in persone affette da malattie polmonari croniche), cardio-
circolatorio (ad es. persone affette da miocardiopatie dilatative),
neurologico (ad es. malattie degenerative quali la sclerosi multipla), epatico
(ad es. cirrosi) e di persone colpite da particolari malattie infettive, in primo
luogo l’A.I.D.S.
Le cure palliative si rivolgono ai pazienti colpiti da una malattia che non
risponde più a trattamenti specifici e la cui diretta conseguenza è la morte. Il
controllo del dolore e degli altri sintomi, l’attenzione agli aspetti psicologici,
sociali e spirituali è, quindi, di fondamentale importanza. Lo scopo delle
cure palliative è il raggiungimento della migliore qualità di vita possibile per
i pazienti e le loro famiglie. Alcuni interventi palliativi sono applicabili
anche precocemente nel decorso della malattia, in aggiunta al trattamento
specifico.
La filosofia cui le cure palliative si ispirano, quindi, è tesa a produrre azioni
finalizzate al miglioramento della qualità di vita del paziente.
Esse:
- affermano la vita e considerano il morire come un evento naturale;
- non accelerano né ritardano la morte;
- provvedono al sollievo dal dolore e dagli altri disturbi;
- integrano gli aspetti psicologici e spirituali dell’assistenza;
- aiutano i pazienti a vivere in maniera attiva fino alla morte;
- sostengono la famiglia durante la malattia e durante il lutto.
La maggior parte delle regioni ha già provveduto a definire la
programmazione della rete degli interventi di cure palliative, anche se con
modalità tra loro in parte differenti: molte hanno elaborato programmi
regionali specifici per le cure palliative ed altre hanno inserito lo sviluppo
delle cure palliative all’interno del più vasto programma di riorganizzazione
della rete di interventi domiciliari sanitari, socio-sanitari ed assistenziali
(rete per la cura ed assistenza domiciliare).
Ciò che emerge e’ la necessità di un modello di intervento di cure palliative
flessibile ed articolabile in base alle scelte regionali, ma che, garantisca in
tutto il Paese la risposta ottimale ai bisogni della popolazione, sia a quelli
dei malati sia a quelli delle famiglie.
La necessità di offrire livelli assistenziali a complessità differenziata,
adeguati alle necessità del malato, mutevoli anche in modo rapido ed
imprevedibile, rende necessario programmare un sistema a rete che offra la
maggior possibilità di integrazione tra differenti modelli e livelli di
intervento e tra i differenti e numerosi soggetti professionali coinvolti.
La rete deve essere composta da un sistema di offerta nel quale la persona
malata e la sua famiglia, ove presente, possano essere guidati e coadiuvati
nel percorso assistenziale tra il proprio domicilio, sede di intervento
privilegiata ed in genere preferita dal malato e dal nucleo familiare, e le
41
La promozione della salute
strutture di degenza, specificamente dedicate al ricovero/soggiorno dei
malati non assistibili presso la loro abitazione. La rete sanitaria e socio-
sanitaria deve essere strettamente integrata con quella socio-assistenziale,
alfine di offrire un approccio completo alle esigenze della persona malata.
Ai fini di promuovere la diffusione delle cure palliative è necessario quindi:
rivedere alcuni aspetti normativi riguardo all’uso di farmaci
- antidolorifici, migliorando la disponibilità degli oppiacei, semplificando
la prescrizione medica, prolungando il ciclo di terapia e rendendone
possibile l’uso anche a casa del paziente;
individuare precise Linee Guida in materia di terapia antalgica per
- prevenire gli abusi ed orientare il medico nella prescrizione;
implementare la rete assistenziale;
- attivare un sistema di valutazione;
- realizzare programmi di comunicazione e sensibilizzazione della
- popolazione;
sostenere specifici programmi di ricerca
- promuovere l’integrazione nella rete di cure palliative delle
- Organizzazioni no profit operanti in questo settore, attraverso la
valorizzazione delle Associazioni di Volontariato.
3.2.4. Il diabete e le malattie metaboliche
Le malattie metaboliche, in progressivo aumento anche in rapporto con
l’innalzamento della vita media della popolazione, rappresentano una causa
primaria di morbilità e mortalità nel nostro Paese.
Il diabete di tipo 1, dipendente da carenza primaria di insulina, necessita di
trattamento specifico insulinico sostitutivo, ma la gravità della prognosi è
strettamente legata ad una corretta gestione, da parte degli stessi pazienti,
dello stile di vita in generale e di quello alimentare in particolare.
Pertanto è opportuno attivare:
programmi di prevenzione primaria e secondaria, in particolare per il
- diabete mellito in età evolutiva, con l’obiettivo di ridurre i tassi di
ospedalizzazione ed i tassi di menomazione permanente (cecità,
amputazioni degli arti);
strategie per migliorare la qualità di vita dei pazienti, attraverso
- programmi di educazione ed informazione sanitaria.
L’incidenza del diabete di tipo 2 (non dovuto alla carenza di insulina,
cosiddetto dell’adulto) è in aumento in tutto il mondo, sia in quello
occidentale che nei Paesi in via di sviluppo, anche perché la diagnosi viene
posta in fase più precoce rispetto al passato.
L’incremento epidemico dei casi di obesità, d’altra parte, rappresenta di per
sé un’importante fattore di rischio per la comparsa clinica della malattia
diabetica.
Vi è oggi convincente evidenza che il counselling individuale finalizzato a
ridurre il peso corporeo, a migliorare le scelte alimentari (riducendo il
42 La promozione della salute
contenuto di grassi totali e di grassi saturi e aumentando il contenuto in fibre
della dieta) e ad aumentare l’attività fisica, riduce il rischio di progressione
verso il diabete del 58% in 4 anni.
Le complicanze del diabete sono prevalentemente a carico dell’apparato
cardio–circolatorio e possono essere decisamente penalizzanti per la qualità e
la durata della vita. In massima parte possono essere prevenute dalla diagnosi
precoce, dal miglioramento del trattamento specifico e da programmi di
educazione sanitaria orientati all'auto-gestione della malattia. In particolare,
la riduzione ed il controllo del peso corporeo, oltre a ridurre il rischio di
comparsa clinica del diabete, contribuisce anche a ridurre il rischio delle sue
complicanze, specie quelle di eventi cardiovascolari.
L'OMS ha posto come obiettivo per l'anno 2020 la riduzione di un terzo
dell'incidenza delle complicanze legate al diabete.
Due milioni di italiani hanno dichiarato di soffrire di diabete secondo
l’indagine multiscopo ISTAT con notevoli differenze geografiche di
prevalenza autopercepita e questo dato è coerente con la rilevazione della
rete di osservatori cardiovascolari relativa alla distribuzione della glicemia
ed alla proporzione di diabetici. E’ però assai probabile che il numero di
italiani diabetici, senza sapere di esserlo, sia altrettanto alto.
Una strategia di educazione comportamentale, di prevenzione globale delle
patologie metaboliche e di conseguenza della morbilità e mortalità da danno
vascolare e cardiaco, non può prescindere dall’affrontare il problema del
sovrappeso e dell’obesità.
L’obesità è la seconda causa di morte prevenibile, dopo il fumo. Nel mondo
industrializzato, circa metà della popolazione è in eccesso di peso. In Italia
negli ultimi dieci anni la prevalenza dell’obesità è aumentata del 50% e
questo è più evidente nei soggetti in età pediatrica, soprattutto nelle classi
socioeconomiche più basse. I costi socio-sanitari dell'obesità hanno
superato, negli Stati Uniti, i 100 miliardi di dollari l’anno, mentre per
l’Italia, i costi diretti dell’obesità sono stimati in circa 23 miliardi di euro
l’anno. La maggior parte di tali costi (più del 60 %), è dovuta a ricoveri
ospedalieri, ad indicare quanto il sovrappeso e l’obesità siano i reali
responsabili di una serie di gravi patologie cardiovascolari, metaboliche,
osteoarticolari, tumorali e respiratorie che comportano una ridotta
aspettativa di vita ed un notevole aggravio per il Sistema Sanitario
Nazionale.
3.2.5 I Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA)
I Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA) in particolare l'anoressia
nervosa e la bulimia nervosa, sono malattie mentali che comportano gravi
danni somatici, con un rischio di morte dodici volte maggiore di quello dei
soggetti normali della stessa età: essi rappresentano un problema socio-
sanitario molto importante per tutti i Paesi sviluppati, e quindi anche per
l'Italia. A livello internazionale, gli studi di prevalenza, condotti su donne
fra i 12 e 25 anni, hanno indicato valori compresi tra 0.2 e 0.8% per
l'anoressia nervosa e tra 0.5 e 1.5% per la bulimia nervosa. 43
La promozione della salute
L'incidenza dell'anoressia nervosa negli ultimi anni risulta stabilizzata su
valori di 4-8 nuovi casi annui per 100.000 abitanti, mentre quella della
bulimia nervosa risulta in aumento, ed è valutata in 9-12 nuovi casi/anno. La
maggior parte degli studi è stata effettuata in paesi anglosassoni e in Italia
sono stati rilevati dati sovrapponibili.
Per quanto attiene all’obesità è oramai dimostrato che nel suo trattamento
l'intervento di ordine psico-comportamentale è fondamentale nel
determinare il successo terapeutico, anche se deve essere ribadito che si
tratta di una condizione definita su base morfologica ma non ancora
adeguatamente inquadrata su base psicopatologica.
Lo studio e la cura della obesità e più in generale della Sindrome
Metabolica, si intrecciano profondamente e indissolubilmente con lo studio
e la cura del comportamento alimentare e dei suoi disturbi (anoressia,
nervosa, bulimia nervosa, binge eating disorder, night eating syndrome etc.)
per quanto suddetto e per almeno tre altri motivi:
per tutte queste patologie nessuna cura è efficace se non implica un
- cambiamento profondo del comportamento alimentare e dello stile di
vita;
cure inadeguate dell'obesità sono corresponsabili del grande aumento dei
- disordini alimentari nel mondo contemporaneo;
come la cura dell'obesità, anche quella dei DCA è multidisciplinare e
- impone la collaborazione tra internisti, nutrizionisti, psichiatri e
psicologi.
Sia per l’obesità che per i disturbi del comportamento alimentare si
segnalano la gravissima insufficienza delle strutture sanitarie,
l’inadeguatezza della formazione attuale di base e la necessità di un
approccio multidimensionale.
La lotta all'obesità ed ai DCA mira a diminuire il numero di persone che si
ammalano di questi stati morbosi e ad aumentare, in coloro che ne sono
affetti, la probabilità di migliorare o di sopravvivere in condizioni
soddisfacenti. Le strategie si possono articolare in aree che, hanno
caratteristiche e tempi di realizzazione differenti: prevenzione primaria,
prevenzione secondaria, assistenza, formazione, ricerca. Queste azioni
potranno beneficiare delle informazioni ottenute attraverso gli strumenti
epidemiologici, il cui obiettivo prioritario è quello di:
controllare prevalenza e incidenza della SM, dell'obesità e dei DCA con
- lo scopo di identificare i casi secondo le categorie previste dall'OMS e
valutare il numero di nuovi malati in relazione alla popolazione
residente;
individuare i soggetti ad alto rischio per indirizzare con maggiore
- precisione le politiche di intervento;
valutare l'efficacia degli interventi mediante controlli a distanza di
- tempo.
44 La promozione della salute
3.2.6. Le malattie respiratorie e allergiche
Le malattie polmonari croniche ostruttive hanno un grave impatto sulla
qualità della vita, sulla disabilità, sui costi per l’assistenza sanitaria, nonché
sull’assenteismo dal lavoro in molti Paesi europei ed anche in Italia, anche
se rispetto ad altri Paesi europei, l’Italia mostra un tasso di mortalità al di
sotto della media dell’Unione Europea. In Italia, inoltre, il tasso di mortalità,
per malattie croniche respiratorie, quasi interamente attribuibile a bronchite
cronica ed enfisema polmonare, mostra una tendenza alla diminuzione, che
dovrebbe essere ulteriormente rafforzata attraverso l’intensificazione della
prevenzione alle esposizioni ambientali e occupazionali ed il miglioramento
dei trattamenti terapeutici.
La presenza di rinite allergica stagionale e perenne è invece in costante
aumento da tempo e così pure l’asma allergica. I fattori principali alla base
dell’aumento della prevalenza delle malattie allergiche sono l’inquinamento
intramurale causato da acari della polvere, pelo di gatto e miceti; il fumo di
tabacco; l’inquinamento atmosferico causato da ozono, materiale
particolato, NO2 e SO2; le abitudini alimentari; gli stili di vita (sempre più
tempo trascorso in ambienti chiusi); le condizioni igieniche nonché
l’introduzione di nuove sostanze nei prodotti e nell’ambiente.
Fra le altre malattie allergiche, l’incidenza cumulativa di dermatite atopica
prima dei 7 anni di età è aumentata in modo esponenziale e si stima che essa
sia pari all’1% circa nella popolazione generale. Molto diffusa è anche la
dermatite allergica da contatto che, si stima, interessi circa l’1% della
popolazione; il nickel è considerato il principale responsabile della
sensibilizzazione da contatto.
La diffusione dell’asma bronchiale è un problema di sanità pubblica
rilevante (l'asma è malattia sociale riconosciuta dal 1999), perché è la
malattia cronica più frequente tra i bambini, per i quali rappresenta anche
una causa importante di mortalità, nonostante i miglioramenti terapeutici.
L’asma richiede un approccio multidisciplinare, che comprende la diagnosi
accurata, l’educazione dei pazienti, modifiche del comportamento,
l’individuazione e la rimozione delle condizioni scatenanti l’attacco di
asma, una appropriata terapia, e frequenti controlli medici.
Si rende necessario migliorare, tramite sistemi di sorveglianza mirati, la
conoscenza della epidemiologia dell’asma e delle patologie allergiche e del
ruolo etiologico di fattori genetici, personali ed ambientali, nonché
dell’efficacia dei metodi per la riduzione dell’esposizione agli allergeni
nell’ambiente e negli alimenti e la valutazione dell’impatto di tali metodi
sulla salute. È necessario inoltre promuovere campagne di educazione e
formazione per il personale sanitario, per i pazienti e le loro famiglie.
3.2.7. Le malattie reumatiche ed osteoarticolari
Le malattie reumatiche comprendono un variegato numero di patologie,
caratterizzate da una progressiva compromissione della qualità della vita
delle persone affette per la perdita di autonomia, per i disturbi ed i disagi
lamentati ed a causa della mancanza di significative aspettative di
miglioramento o guarigione. 45
La promozione della salute
Tali patologie rappresentano la più frequente causa di assenze lavorative e la
causa del 27% circa delle pensioni di invalidità attualmente erogate in Italia.
Il numero delle persone affette è stimato in circa 6 milioni, pari al 10% della
popolazione generale.
La caratteristica cronicità di queste malattie, la mancanza di terapie che
portino a favorevoli risoluzioni dei quadri clinici per alcune forme gravi, la
disabilità provocata, con progressiva diminuzione della funzionalità, specie
a carico degli arti e dell’apparato locomotorio e la conseguente diminuzione
della capacità lavorativa e del grado di autonomia delle persone affette,
nonché l’elevato numero degli individui colpiti, rappresentano ad oggi i
maggiori punti di criticità.
Le azioni prioritarie riguardano l’estensione della diagnosi precoce della
malattia ed il miglioramento della prestazione di fisioterapia e riabilitazione.
E’, inoltre, necessario ridurre l’impatto dei fattori di rischio associati a
queste patologie e sviluppare nuovi medicinali per il trattamento. Anche
l’efficace prevenzione dell’osteoporosi rappresenta un obiettivo prioritario.
L’osteoporosi è una patologia del metabolismo osseo di prevalenza e
incidenza in costante incremento che rappresenta un rilevante problema
sanitario. La malattia coinvolge un terzo delle donne tra i 60 e i 70 anni e
due terzi delle donne dopo gli 80 anni, e si stima che il rischio di avere una
frattura da osteoporosi sia nella vita della donna del 40% contro un 15%
nell’uomo. Particolarmente temibile è la frattura femorale per l’elevata
mortalità (dal 15 al 30%) e per le invalidanti complicanze croniche ad essa
associate. I più noti e importanti fattori di rischio per l’osteoporosi sono la
presenza di fratture patologiche nel gentilizio, la presenza anamnestica di
fratture da traumi di lieve entità, la menopausa precoce per la donne,
l’amenorrea prolungata, il fumo, l’abuso di alcolici, la magrezza, l’uso di
corticosteroidi, il malassorbimento intestinale, alcune patologie endocrine.
Nessuna terapia consente di recuperare la massa ossea persa, ma solo di
bloccarne la progressione riducendo il rischio di fratture. Fondamentale
quindi è la prevenzione, con misure volte a migliorare lo stile di vita
alimentare e fisico nei soggetti giovani e anziani.
3.2.8. Le malattie rare
Le malattie rare costituiscono un complesso di oltre 5000 patologie, spesso
fatali o croniche invalidanti, che rappresentano il 10% delle patologie che
affliggono l’umanità. Malattie considerate rare nei Paesi occidentali sono, a
volte, molto diffuse nei Paesi in via di sviluppo. Nel programma di azione
per la lotta alle malattie rare, la Commissione Europea ha definito rare
quelle patologie la cui incidenza non è superiore a 5 su 10.000 abitanti.
L’80% delle malattie rare, circa 4000, è di origine genetica, mentre il
restante 20% sono acquisite, ma non per questo meno gravi e invalidanti.
Per la loro rarità, queste malattie sono difficili da diagnosticare e, spesso,
sono pochi i Centri specializzati nella diagnosi e nella cura; per molte di
esse, inoltre, non esistono ancora terapie efficaci. La scarsa incidenza delle
patologie rare e la frammentazione dei pazienti affetti da tali patologie in
diversi Centri sono un ostacolo alle innovazioni terapeutiche possibili
attraverso studi clinici controllati. Inoltre, le industrie farmaceutiche, a
46 La promozione della salute
causa del mercato limitato, hanno scarso interesse a sviluppare la ricerca e la
produzione dei cosiddetti farmaci orfani, potenzialmente utili per tali
patologie.
Le malattie rare, essendo croniche e invalidanti, rappresentano un
importante problema sociale. La loro scarsa conoscenza comporta, per
coloro che ne sono affetti e per i loro familiari, notevoli difficoltà
nell’individuare i Centri specializzati nella diagnosi e nella cura, e, quindi,
accedere a eventuali trattamenti, peraltro scarsamente disponibili.
Ciò rende indispensabile un intervento pubblico coordinato al fine di
ottimizzare le risorse disponibili.
A livello della Unione Europea le malattie rare sono state oggetto di
attenzione con l’approvazione della Decisione N. 1295/1999/CE del 29
aprile 1999 il cui programma d’azione prevede:
il miglioramento delle conoscenze sulle malattie rare, incentivando la
- creazione di una rete europea d’informazione per i pazienti e le loro
famiglie;
la formazione e l’aggiornamento degli operatori sanitari, al fine di
- migliorare la diagnosi precoce;
il rafforzamento della collaborazione internazionale tra le organizzazioni
- di volontariato e professionali impegnati nell’assistenza;
il sostegno del monitoraggio delle malattie rare negli Stati membri.
-
Rispetto a tali problematiche, il Decreto Ministeriale 18 maggio 2001 n.
279, emanato in attuazione dell’art. 5, comma 1, lettera b) del Decreto
Legislativo 29 aprile 1998 n. 124, prevede:
l’istituzione di una rete nazionale dedicata alle malattie rare, mediante la
- quale sviluppare azioni di prevenzione, attivare la sorveglianza,
migliorare gli interventi volti alla diagnosi e alla terapia, promuovere
l’informazione e la formazione, ridurre l’onere che grava sui malati e
sulle famiglie. La rete è costituita da presidi accreditati, appositamente
individuati dalle Regioni per erogare prestazioni diagnostiche e
terapeutiche;
l’ottimizzazione del Registro delle Malattie Rare, istituito presso
- l’Istituto Superiore di Sanità, per poter avere a livello nazionale dati
sulla prevalenza, incidenza e fattori di rischio delle diverse malattie rare;
la definizione di 47 gruppi di malattie comprendenti 284 patologie
- (congenite e acquisite) ai fini dell’esenzione dalla partecipazione al
costo delle prestazioni sanitarie correlate;
la promozione di protocolli diagnostici e terapeutici comuni, lo sviluppo
- delle attività di ricerca tese al miglioramento delle conoscenze e la
realizzazione di programmi di prevenzione.
Infine l’accordo Stato-regioni siglato in data 11 luglio 2002 promuove
l’istituzione di un gruppo tecnico interregionale permanente cui partecipano
il Ministero della salute e l’Istituto Superiore di sanità per il coordinamento
ed il monitoraggio delle attività assistenziali per le malattie rare, al fine di
ottimizzare il funzionamento delle reti regionali e salvaguardare il principio
di equità dell’assistenza per tutti i cittadini. 47
La promozione della salute
3.2.9. La malattie trasmissibili prevenibili con la vaccinazione
Ottimi risultati si sono registrati recentemente in Italia in termini di
controllo di alcune malattie prevenibili con le vaccinazioni. La difterite è
stata eliminata e il nostro Paese ha da poco ricevuto la certificazione
ufficiale di eradicazione della poliomielite. Il tetano colpisce quasi
esclusivamente persone anziane non vaccinate. L’epatite B è in continuo
declino, in modo particolare nelle classi di età più giovani, interessate fin
dal 1991 dalla vaccinazione universale.
Non mancano, tuttavia, in Italia numerose malattie per le quali è necessario
un controllo più efficace attraverso le vaccinazioni. La vaccinazione contro
il morbillo (incidenza nel 1999 pari a 5,05 casi su 100.000) è raccomandata,
ma il livello stimato di copertura di immunizzazione è ancora il più basso tra
i Paesi dell’Europa occidentale (56% nel 1998), con profonde differenze tra
aree diverse del Paese. La rosolia è ancora frequente (incidenza di 5,76 per
100.000 nel 1998) e nel 1999 sono stati denunciati in Italia più di 40.400
casi di parotite (tasso di incidenza: 70,2 per 100.000), nonostante l’esistenza
del vaccino combinato per parotite, morbillo e rosolia (vaccino MMR), il
cui uso è però volontario, sebbene raccomandato.
L'incidenza della pertosse è ancora elevata (circa 7 per 100.000 abitanti nel
1999, anno in cui sono stati notificati 3.797 casi); la vaccinazione è
volontaria ma il livello stimato di copertura vaccinale è stato piuttosto alto
nel 1998 (87,9 %, con un intervallo tra 70,5% e 97,6%) nei bambini di 24
mesi di età.
Per quanto l’incidenza di epatite B stia lentamente diminuendo in Italia (nel
1999 essa è stata del 2,74 per 100.000), il livello permane ancora fra i più
elevati dell’Europa occidentale; la vaccinazione contro l’epatite B è
obbligatoria in Italia per i bambini fin dal 1991 e la stima della copertura,
osservata nel 1998, è stata a livello nazionale del 90%, con solo tre Regioni
con copertura inferiore al 90%.
La vaccinazione contro l'Haemophilus influenzae di tipo B può anche
prevenire forme invasive della malattia quali meningiti e polmoniti. La
vaccinazione in Italia è volontaria ed il livello di copertura vaccinale è
molto basso e non uniformemente distribuito nelle diverse Regioni.
L’influenza rappresenta ancora, in Italia, un’importante causa di morte per
patologia infettiva, e nel corso di epidemie estese il tasso d’attacco
dell’infezione può variare dal 5% al 30%, con conseguenti importanti
ripercussioni negative sull’attività lavorativa e sulla funzionalità dei servizi
di pubblica utilità, in primo luogo di quelli sanitari. La copertura vaccinale
negli anziani di età pari o superiore a 64 anni non ha superato nel periodo
1999-2000 il 41% circa a livello nazionale.
La recente disponibilità di efficaci vaccini contro la varicella e contro le
infezioni invasive da pneumococco, consente l’avvio di iniziative mirate di
prevenzione vaccinale orientate alla riduzione dell’incidenza di queste
importanti patologie.
Occorre procedere con decisione nella direzione della attuazione degli
obiettivi adottati dall'OMS per questo gruppo di malattie:
48 La promozione della salute
- entro il 2007 il morbillo dovrebbe essere eliminato ed entro il 2010 tale
eliminazione deve essere certificata in ogni Paese;
- entro l'anno 2010 tutti i Paesi dovrebbero avere un'incidenza inferiore ad
1 per 100.000 abitanti per parotite, pertosse e malattie invasive causate da
Haemophilus influenzae di tipo B.
Essendo disponibili per queste malattie vaccini efficaci, questi risultati
possono essere conseguiti attraverso una serie di iniziative che consentano il
raggiungimento di appropriate coperture vaccinali. In tale quadro è anche
importante:
individuare ed effettuare indagini rapide riguardanti gli eventi
- epidemici;
sorvegliare la frequenza di eventi avversi associabili a vaccinazione;
- sorvegliare le infezioni nosocomiali e quelle a trasmissione iatrogena;
- controllare le patologie infettive acquisite in occasioni di viaggi;
- diffondere le informazioni sulla frequenza e prevenzione delle malattie
- infettive;
partecipare efficacemente al sistema di sorveglianza epidemiologico per
- il controllo delle malattie infettive dell'Unione Europea;
combattere il crescente problema della resistenza acquisita alla maggior
- parte degli antibiotici disponibili da parte di microrganismi patogeni,
soprattutto batteri, con gravi implicazioni sul trattamento delle malattie
infettive. Apposite Linee Guida sono state adottate dal Consiglio
dell’Unione Europea nel 2000 e 2001 sull’uso prudente degli antibiotici
nella medicina umana e in altri settori per minimizzare gli inconvenienti
derivanti da questa situazione.
Appare nel prossimo futuro la possibilità di realizzare diversi nuovi vaccini
tra i quali due in particolare di grande rilevanza:
1) vaccini anti-HIV. L’Istituto Superiore di Sanità (ISS) ha recentemente
sviluppato e brevettato un nuovo vaccino sia di tipo preventivo che
terapeutico. Tale vaccino basato sull’uso della proteina regolatoria TAT
o del suo DNA ha dato lusinghieri risultati di protezione nelle scimmie.
In base a questi risultati l’ISS insieme ad altri Centri clinici nazionali
inizierà in primavera i trials clinici di fase I. Un secondo vaccino basato
sull’uso di componenti strutturali (Env, Gag) del virus è stato sviluppato
e brevettato dalla Chiron con risultati anche essi promettenti, la cui
sperimentazione clinica di fase I inizierà entro l’anno. Recentemente
l’ISS e la Chiron hanno realizzato un accordo per lo sviluppo di un
vaccino combinato, che contenendo le tre componenti (TAT, Env, Gag)
è destinato potenzialmente ad avere una maggiore efficacia rispetto ai
singoli componenti;
2) vaccino anti-HPV. Si tratta di un vaccino terapeutico contro il carcinoma
della cervice uterina brevettato negli Stati Uniti che inizia
prossimamente il suo cammino sperimentale nella donna. Anche per
questo vaccino l'Istituto Superiore di Sanità sta realizzando rapporti di
partenariato con i produttori. 49
La promozione della salute
3.2.10. La sindrome da immunodeficienza acquisita (AIDS) e le malattie a
trasmissione sessuale
In Italia, il numero cumulativo di casi di AIDS segnalati dall’inizio
dell’epidemia ha raggiunto quota 50.000, ma a partire da metà del 1996 si è
osservato un decremento nel numero di nuovi casi, dovuto in parte
all’effetto delle terapie anti-retrovirali ed in misura minore agli effetti della
prevenzione. I sistemi di sorveglianza delle nuove diagnosi di infezione da
HIV, attivi in alcune Regioni italiane, suggeriscono che l’incidenza di nuove
infezioni si è stabilizzata negli ultimi anni e a differenza di quanto accadeva
tra la fine degli anni 80 e l’inizio degli anni ’90 non tende più alla
diminuzione.
Le altre malattie a trasmissione sessuale più frequentemente diagnosticate in
Italia sono i condilomi acuminati, le infezioni genitali non specifiche
(uretriti batteriche non gonococciche né causate da Clamidia), la sifilide
latente e l’Herpes genitale. Altre classiche malattie veneree, come gonorrea
e sifilide primaria o secondaria, sono rispettivamente al settimo e nono
posto per frequenza.
Secondo l'obiettivo definito dall'OMS nel 1999, ciascuno Stato dovrebbe
attuare, entro l'anno 2015, una riduzione dell'incidenza della mortalità e
delle conseguenze negative dell'infezione da HIV e delle altre malattie a
trasmissione sessuale.
A tal fine, le azioni prioritarie da attuare sono:
il miglioramento della sorveglianza e del monitoraggio dell'infezione da
- HIV;
il contrasto della trasmissione dell’HIV e degli altri agenti infettivi;
- il miglioramento della qualità della vita delle persone infette da HIV;
- la riduzione di comportamenti sessuali a rischio e la promozione di
- campagne di promozione della salute specialmente nella popolazione
giovanile;
lo sviluppo del vaccino con interventi a favore della ricerca che
- prevedano il co-finanziamento pubblico-privato;
il reinserimento sociale dei pazienti con infezione da HIV.
-
L'inserimento sociale delle persone affette da AIDS trattate precocemente e
la cui attesa di vita è molto prolungata, è un problema che dovremo
affrontare con maggior energia nel prossimo futuro.
Queste persone infatti costruiscono ora un progetto di vita, in quanto la loro
sopravvivenza viene assicurata dai farmaci per molti anni. Il progetto di vita
comprende il completo reinserimento nel mondo del lavoro e della società in
genere. Per queste persone è quindi necessario sviluppare programmi di
accompagnamento su questo percorso con adeguati sostegni e misure utili
allo scopo.
3.3. Ridurre gli incidenti e le invalidità
Le cause esterne di morte e disabilità, che includono gli incidenti
nell'ambiente sociale e sul lavoro, i disastri naturali e quelli provocati
dall'uomo, gli avvelenamenti, gli incidenti durante le cure mediche e la
50 La promozione della salute
violenza, costituiscono, particolarmente nell’età adulta, un'importante causa
di morte.
I dati relativi agli incidenti stradali, indicano un incremento a partire dalla
fine degli anni '80, soprattutto nel Nord dell’Italia, con un quadro che
comporta circa 8.000 morti, 170.000 ricoveri, 600.000 prestazioni di pronto
soccorso ogni anno, cui fanno riscontro circa 20.000 invalidi permanenti. Il
fenomeno costituisce ancora la prima causa di morte per i maschi sotto i 40
anni e una delle cause maggiori di invalidità (più della metà dei traumi
cranici e spinali sono attribuibili a questi eventi).
Gli incidenti stradali sono pertanto un’emergenza sanitaria che va affrontata
in modo radicale al fine di rovesciare l’attuale tendenza e pervenire, secondo
l’obiettivo fissato dall’OMS per l’anno 2020, ad una riduzione almeno del
50% della mortalità e disabilità. Gli interventi principali di prevenzione
riguardano:
la utilizzazione del casco da parte degli utenti di veicoli a motore a due
- ruote;
gli standard di sicurezza dei veicoli;
- l’uso corretto dei dispositivi di sicurezza (cinture e seggiolini);
- le migliori condizioni di viabilità (segnaletica stradale, illuminazione,
- condizioni di percorribilità) nelle zone ad alto rischio di incidenti
stradali;
la promozione della guida sicura mediante campagne mirate al rispetto
- dei limiti di velocità e della segnaletica stradale nonché alla riduzione
della guida sotto l’influsso dell’alcool;
il potenziamento del trasporto pubblico.
-
Anche il fenomeno degli incidenti domestici e del tempo libero mostra un
andamento in continua crescita, con un numero di casi di circa 4.000.000
per anno, che coinvolgono soprattutto ultrasessantacinquenni e donne. Si
stima che circa la metà di questi incidenti avvenga in casa o nelle pertinenze
(incidenti domestici). Gli incidenti domestici rappresentano dunque un
fenomeno di grande rilevanza nell’ambito dei temi legati alla prevenzione
degli eventi evitabili e particolare attenzione deve essere dedicata agli
incidenti che coinvolgono gli anziani, soprattutto istituzionalizzati. Per
quanto riguarda l’obiettivo di ridurre in modo significativo la mortalità e la
disabilità da incidenti domestici, gli aspetti prioritari sono quelli connessi
all’informazione e comunicazione nonché alla:
incentivazione delle misure di sicurezza domestica strutturale ed
- impiantistica e dei requisiti di sicurezza dei complementi di arredo;
predisposizione di programmi intersettoriali volti a favorire
- l’adattamento degli spazi domestici alle condizioni di disabilità e di
ridotta funzionalità dei soggetti a rischio;
costruzione di un sistema di sorveglianza epidemiologica del fenomeno
- infortunistico e individuazione di criteri di misura degli infortuni
domestici.
Per gli incidenti negli ambienti esterni, durante il tempo libero, gli uomini
sono più a rischio delle donne, anche per il maggiore consumo di alcool. Le
piscine, i laghi ed altri bacini d'acqua dolce contribuiscono in modo
51
La promozione della salute
significativo alle statistiche sugli annegamenti, specialmente nei bambini,
con 500-600 morti all'anno.
3.4. Sviluppare la riabilitazione
La domanda di riabilitazione negli ultimi anni ha registrato un incremento in
parte imputabile all’aumento dei gravi traumatismi accidentali e ai progressi
della medicina che consentono la sopravvivenza a pazienti un tempo
destinati all’exitus. In questo contesto particolare rilevanza assumono le
lesioni del midollo spinale e i gravi traumi cranioencefalici per le
conseguenze altamente invalidanti che possono comportare. Dati recenti
indicano l’incidenza delle mielolesioni pari a circa 1500 nuovi casi l’anno,
di cui il 67% imputabile ad eventi traumatici. L’incidenza dei gravi
traumatismi cranioencefalici, è di circa 4.500 nuovi casi anno su tutto il
territorio nazionale. Di questi la mortalità in fase acuta incide per il 34%, il
40% dei pazienti presenta esiti invalidanti modesti, il 25% è affetto da danni
o complicanze di gravità tale da richiedere il ricovero in strutture di terapia
intensiva e neuroriabilitazione e lo 1% (45 casi per anno) permane in stato
vegetativo dopo 12 mesi dall’evento.
La riabilitazione del soggetto gravemente traumatizzato deve essere
garantita con tempestività già durante le fasi di ricovero nelle strutture di
emergenza. Non appena cessino le condizioni che richiedono un ricovero
nell’area della terapia intensiva, deve essere garantita l’immediata presa in
carico del paziente da parte delle Unità Operative di alta specialità
riabilitativa per assicurare la continuità del processo terapeutico
assistenziale.
Quale che sia la natura dell’evento lesivo che causa la necessità di interventi
di riabilitazione, gli obiettivi da perseguire sono la garanzia dell’unitarietà
dell’intervento mediante un approccio multidisciplinare e la predisposizione
ed attuazione di un progetto riabilitativo personalizzato, al fine di consentire
al paziente il livello massimo di autonomia fisica, psichica e sensoriale. Ciò
implica l’attivazione di un percorso in cui si articolano competenze
professionali diverse, funzionamento in rete dei servizi e strutture a diversi
livelli e con diverse modalità di offerta (ospedaliera, extrospedaliera,
residenziale, semiresidenziale e domiciliare) e di integrazione tra aspetti
sanitari e sociali.
3.5. Migliorare la medicina trasfusionale
Le attività di medicina trasfusionale sono parte integrante dei livelli
essenziali di assistenza garantiti dal Servizio Sanitario Nazionale e si
fondano sulla donazione volontaria, e non remunerata, del sangue e dei suoi
componenti.
Considerando che gli attuali sistemi di coordinamento a livello regionale e
nazionale sono riusciti solo in parte a raggiungere gli obiettivi previsti dai
precedenti Piani Sanitari e dai Piani Sangue, si pone l’urgenza di riformare
la Legge 4 maggio 1990 n. 107, anche alla luce dei cambiamenti
conseguenti all’organizzazione federalista dello Stato. La nuova Legge
dovrà razionalizzare il sistema a livello regionale, indicando i rispettivi ruoli
52 La promozione della salute
del Ministero della Salute, delle Regioni, dei Centri Regionali di
Coordinamento e Compensazione e del Centro Nazionale Trasfusione
Sangue da istituirsi presso l’Istituto Superiore di Sanità.
L'introduzione di nuovi test sierologici ed in particolare delle tecniche di
biologia molecolare ha ridotto il rischio di trasmissione dei virus dell'epatite
o dell'AIDS mediante la trasfusione del sangue e dei suoi prodotti a livelli
molto bassi, inferiori al rischio di infezione associato ad altre manovre
invasive ospedaliere. Malgrado questo notevole incremento della sicurezza
della trasfusione, per realizzare il quale sono necessarie ingenti risorse
economiche, molto resta ancora da fare per assicurare l’appropriatezza della
richiesta e della trasfusione. Per diffondere la cultura del buon uso del
sangue sono state emanate Linee Guida ed istituiti in tutto il Paese Comitati
ospedalieri per il buon uso del sangue, ma il risultato è stato molto modesto:
tra le cause di questo insuccesso vi è da un lato la scarsa attenzione dei
clinici per le problematiche della donazione e trasfusione di sangue,
dall'altro l'inquadramento del servizio trasfusionale in un'area quasi
esclusivamente di laboratorio. Gli obiettivi primari dell’autosufficienza
regionale e nazionale, i più elevati livelli di sicurezza uniformi su tutto il
territorio nazionale e la definizione dei Livelli Essenziali di Assistenza
trasfusionale possono essere ottenuti attraverso un nuovo modello di sistema
trasfusionale, con criteri di funzionamento e di finanziamento definiti sulla
base:
delle attività di produzione, comprendenti la selezione ed i controlli
- periodici del donatore, la raccolta, la lavorazione, la validazione, la
conservazione ed il trasporto del sangue e degli emocomponenti,
comprese le cellule staminali da sangue periferico e placentare (sangue
da cordone ombelicale), nonché la raccolta di plasma da destinare alla
preparazione degli emoderivati;
attività di servizio, quali l’assegnazione e la distribuzione del sangue e
- dei suoi prodotti, anche per l’urgenza.
Con l’intervento insostituibile delle Associazioni di Donatori Volontari di
Sangue, e delle relative Federazioni, va incrementato in tutto il territorio
nazionale il numero dei donatori volontari periodici e non remunerati per
eliminare le carenze di sangue ancora esistenti in alcune Regioni.
Per i prossimi anni occorre perseguire i seguenti obiettivi:
raggiungere l’autosufficienza regionale e nazionale del sangue e dei suoi
- prodotti;
conseguire più elevati livelli di sicurezza nell’ambito di tutto il processo
- finalizzato alla trasfusione;
assicurare al sistema trasfusionale un sistema di garanzia di qualità e
- sviluppare l’emovigilanza, articolata a livello locale, regionale e
nazionale;
stipulare fra le Regioni e le Aziende ubicate sul territorio dell’Unione
- Europea convenzioni per la produzione di emoderivati (specialità
medicinali) nel rispetto delle norme per le gare ad evidenza pubblica. 53
La promozione della salute
3.6. Promuovere i trapianti di organo
Per quanto riguarda i trapianti di organo, è noto che i vantaggi prevalgono
sulle complicanze (rigetto, infezioni e loro conseguenze) con una
sopravvivenza a cinque anni compresa tra il 70% e l’80%, secondo l’organo
trapiantato. E’, comunque, necessario continuare a perseguire il reperimento
degli organi in tutte le Regioni. Nel nostro Paese, tuttavia, i livelli di attività
sono disomogenei tra le diverse Regioni, sia in termini di donazioni, sia in
termini di trapianti, e ciò non contribuisce certamente a garantire quella
parità di accesso alle cure cui i pazienti hanno diritto.
Nel corso dell’ultimo triennio l’incremento complessivo del numero di
donazioni e della qualità dei trapianti in Italia ha portato il nostro Paese al
livello delle principali Nazioni europee, e il numero dei donatori di organo è
aumentato del 42,3%, con un incremento complessivo del 27,4% del
numero dei trapianti.
Sono obiettivi strategici in questo campo:
promuovere la valutazione di qualità dell’attività di trapianto di organi,
- tessuti e cellule staminali;
favorire la migliore utilizzazione degli organi disponibili, attraverso la
- diffusione di tecniche avanzate, addestrando gli operatori e favorendo lo
svolgimento di queste attività in Centri di Eccellenza;
predisporre un Piano nazionale per prelievo, conservazione,
- distribuzione e certificazione dei tessuti;
verificare la possibilità che nei casi opportuni vengano utilizzati organi
- anche da donatore vivente, dopo una attenta valutazione
dell’applicazione della normativa in vigore e delle Linee Guida,
formulate dal Centro Nazionale Trapianti. Va comunque ricordato che la
donazione da vivente non è scevra da pericoli sanitari e sociali ed è
quindi da considerarsi residuale rispetto alla donazione da cadavere che
deve restare l’obiettivo principale del Servizio Sanitario Nazionale;
attivare algoritmi oggettivi e trasparenti per l’assegnazione degli organi
- da trapiantare e per il monitoraggio dei pazienti trapiantati, uniforme su
tutto il territorio nazionale;
prevedere che il flusso informativo dei dati relativi ai trapianti di cellule
- staminali emopoietiche sia integrato nell’ambito del Sistema Informativo
Trapianti, anche attraverso la collaborazione con il Gruppo Italiano per il
Trapianto di Midollo Osseo (GITMO) e l’organizzazione GRACE
(Gruppo di Raccolta e Amplificazione delle Cellule Staminali
Emopoietiche) che riunisce le banche di cellule staminali placentari;
definire la Carta dei Servizi dei Centri di trapianto, prevedendo
- aggiornamenti continui;
estendere lo sviluppo del Sistema Informativo Trapianti;
- incrementare l’informazione ai cittadini circa le attività quali-
- quantitative dei Centri di trapianto.
Per il prossimo futuro, inoltre, occorre procedere a:
54 La promozione della salute
ridurre il divario fra le Regioni in termini di attività di reperimento
- donatori per raggiungere il numero delle 30 donazioni per milione di
abitanti;
predisporre, per i familiari dei soggetti sottoposti ad accertamento di
- morte, un supporto psicologico e di aiuto;
attuare il finanziamento per funzione, come individuato nell’articolo 8
- sexies del Decreto Legislativo 19 giugno 1999 n. 229, superando il
finanziamento per DRG;
sorvegliare il rispetto delle Linee Guida per i trapianti da donatore
- vivente attivando in particolare l’organismo di parte terza ivi previsto
per informare correttamente le parti in causa sui vantaggi e svantaggi
delle procedure;
monitorare l’attività delle singole Regioni circa i prelievi di tessuti
- umani e la loro utilizzazione, l’attivazione di banche dei tessuti regionali
o interregionali, il loro accreditamento e la loro funzionalità;
inserire anche i trapianti di cellule staminali emopoietiche tra i trapianti
- d’organo e da tessuti, raccogliendo i dati presso il Centro Nazionale
Trapianti, e collegando quest’ultimo con il registro dei donatori viventi
di midollo osseo istituito presso l’Ospedale Galliera di Genova;
favorire lo sviluppo di attività di ricerca connesse alle attività di
- trapianto;
supportare l’attivazione di procedure informatiche standardizzate,
- soprattutto per la gestione delle liste di attesa;
promuovere adeguate campagne di informazione rivolte ai cittadini, con
- il concorso delle Associazioni dei pazienti e dei volontari;
realizzare la selezione dei riceventi il trapianto con algoritmi condivisi e
- procedure informatizzate, documentando ogni passaggio del processo
decisionale ai fini di un controllo superiore;
valutare e rendere pubblici i risultati delle attività di prelievo e trapianto
- di organi;
rendere sempre più oggettivi e trasparenti i criteri di ammissione del
- paziente al trapianto.
4. L’ambiente e la salute
Sono in molti casi ben accertate le interazioni fra i fattori di rischio
ambientali e la salute, anche se la ricerca delle possibili soluzioni resta
talvolta problematica particolarmente per le complesse implicazioni socio-
economiche sottostanti. In questo settore importanti benefici sono
prevedibili attraverso l’efficace collaborazione fra i settori che, a livello
nazionale e territoriale, sono responsabili per la salute o per l’ambiente.
4.1. I cambiamenti climatici e le radiazioni ultraviolette
La difesa dalle eccessive radiazioni UV e dalle variazioni nelle condizioni
climatiche che possano colpire particolari gruppi vulnerabili, rende
55
La promozione della salute
prioritaria l’attuazione di programmi di informazione ed educazione
sanitaria.
Inoltre, vi è la forte necessità di ulteriori ricerche per valutare meglio:
l’effetto del riscaldamento globale sui trends stagionali delle maggiori
- cause di malattia e mortalità;
l’effetto del riscaldamento globale sulla variabilità climatica e
- valutazione delle capacità di adattamento specialmente tra le fasce di
popolazione particolarmente vulnerabile come gli anziani;
l’effetto del riscaldamento globale sulle patologie trasmesse da virus e
- batteri e stima degli andamenti dell’incidenza di queste malattie;
l’impatto potenziale della radiazione UV-B in relazione alla deplezione
- dell’ozono in termini di aumento dell’incidenza dei casi di cataratta,
delle affezioni cutanee e del cancro della pelle;
il rischio di riduzione di risposta immunitaria ai vaccini ed alle malattie
- infettive a causa dell’aumento della radiazione UV-B.
Per quanto riguarda gli aspetti connessi all’”effetto-serra” e alla deplezione
dell’ozono stratosferico, è indispensabile, da una parte, continuare la
politica di collaborazione internazionale dell’Italia a sostegno degli sforzi
congiunti per rimuovere le cause di queste modificazioni climatiche, e
dall’altra, operare a livello territoriale per il conseguimento degli obiettivi di
abbattimento delle emissioni nocive concordati a livello internazionale.
4.2. L’inquinamento atmosferico
L’inquinamento atmosferico derivante dal traffico veicolare, impianti di
riscaldamento e sistemi di produzione industriale, è un noto fattore di
rischio per la salute (vedi tabella 1, pag. 99 e100 - tratta dal Prof. Antonio
Ballarin Denti “Aggiornamenti Sociali” n 3, 2002, pag 209-220).
Secondo una serie di studi e valutazioni condotte dalle agenzie ambientali
europee e nazionale, il trasporto su strada contribuisce mediamente in
Europa al 51% delle emissioni degli ossidi di azoto, al 34% di quelle
composti organici volatili e al 65% di quelle del monossido di carbonio.
I due principali inquinanti secondari, le polveri fini e l’ozono, che sono
prodotti, attraverso una serie complessa di reazioni chimiche, dai tre
inquinanti prima citati, sono pertanto imputabili, anch’essi in misura
preponderante, al traffico su strada.
Le emissioni prodotte dagli autoveicoli (al di là del loro contributo
complessivo) sono inoltre fortemente dipendenti dal tipo di motore. A parità
di condizioni di manutenzione, un motore diesel tradizionale (come quello
di gran parte dei vicoli commerciali) può emettere una quantità di polveri
fini anche dieci volte superiore a quelle emesse da un diesel “ecologico”; e
questo è a sua volta molto più inquinante di un motore a benzina. Un
veicolo non catalizzato emette fino a dieci volte più di un’auto con marmitta
catalitica. Un motore a due tempi (come quello dei ciclomotori) emette
molto più un analogo motore a quattro tempi: pertanto un motorino medio
può inquinare più di un’auto di grossa cilindrata di recente omologazione.
Anche tra le automobili catalizzate ci sono forti differenze (a prescindere da
quelle determinate da una cattiva carburazione del motore) dovute alle
56 La promozione della salute
diverse classi di omologazione dei motori in funzione delle loro emissioni
che l’Unione Europea sta imponendo da qualche anno alle industrie
automobilistiche. Ad esempio un veicolo classificato EURO 3 (del tipo cioè
oggi in commercio) emette fino a quattro volte di meno di un veicolo, pur
catalizzato, del tipo EURO 1 (cioè prodotto e venduto più di sei anni fa).
Asserire quindi che globalmente il comparto del trasporto su strada
contribuisce in misura maggioritaria all’inquinamento è affermazione vera,
ma, come tale, troppo generica per farne scaturire adeguate politiche di
intervento, a meno che si entri nel merito delle singole tipologie di motore e
sulle loro condizioni di esercizio.
Il peso del traffico non deve comunque far dimenticare che un contributo
all’inquinamento atmosferico urbano, minore in valore percentuale ma pur
sempre alto in valore assoluto, deriva dagli impianti di riscaldamento;
questo comparto, ora che l’industria pesante ha praticamente abbandonato
l’ambiente urbano, resta, insieme al traffico, di fatto l’unica sorgente di
inquinamento. In questo settore il diffondersi degli oli combustibili leggeri e
soprattutto del metano (che, a parte gli ossidi di azoto, non emette
praticamente altri inquinanti) e il rafforzamento delle politiche di controllo
sugli impianti in esercizio da parte delle Autorità istituzionali (Province e
Comuni) hanno portato a marcati miglioramenti, anche se molto ancora
potrebbe e dovrebbe essere fatto (è oggi realisticamente immaginabile,
grazie ad una ulteriore estensione dell’impiego del metano e a politiche di
obblighi di manutenzione, un dimezzamento delle emissioni da impianti di
riscaldamento entro un periodo di 3-5 anni).
Il particolato atmosferico, indicato con il termine di particolato totale
sospeso (PTS), è un inquinante la cui origine è molto diversificata derivando
dall’erosione del suolo e degli edifici, dall’attività umana (agricoltura,
edilizia, industrie), dai processi di combustione (impianti di riscaldamento e
traffico autoveicolare) e da reazioni chimiche di processi gassosi. Nelle aree
urbane l’aereosol atmosferico è costituito dal 30% circa di particelle naturali
e dal 60% di particelle derivanti dalla combustione delle quali più del 50%
attribuibili al traffico. La composizione del particolato è estremamente
variabile in base all’origine delle particelle (piombo, nichel, zinco, rame,
cadmio, fibre di amianto, solfati, nitrati, idrocarburi policiclici pesanti,
polvere di carbone e cemento). La frazione di polveri considerata più
pericolosa per l’uomo è quella in grado di superare le barriere delle vie
aeree superiori ovvero i PM10 e i PM2,5, particelle di polvere con diametro
inferiore a 10 e a 2,5 micron rispettivamente. E’ stato dimostrato da vari
studi che il particolato PM10 origina soprattutto dalla combustione,
permane nell’aria qualche giorno e la sua concentrazione viene abbattuta
solo per dilavamento da parte della pioggia. Questo inquinante reagisce
chimicamente nell’atmosfera con altre sostanze.
I danni addebitabili alle particelle inalate sono dovuti al fatto che tali
particelle, raggiungendo gli alveoli polmonari, rilasciano sostanze tossiche e
possono ostruire gli alveoli stessi. Ne consegue un effetto irritante per le vie
respiratorie e la possibilità di indurre alterazioni nel sistema immunitario,
favorendo il manifestarsi di malattie croniche, quali maggior sensibilità agli
agenti allergizzanti. L’effetto irritante è strettamente dipendente dalla
57
La promozione della salute
composizione chimica del particolato. E’ anche ormai accertato il diretto
rapporto tra elevata concentrazione di particolato e tasso di mortalità per
complicanze polmonari che si verificano nei giorni successivi ad elevate
concentrazioni: sono soprattutto gli anziani, i bambini e le persone con
malattie croniche dell’apparato respiratorio ad essere maggiormente colpite.
Inoltre, alcuni studi epidemiologici hanno dimostrato che elevate
concentrazioni di PM10 non solo determinano anticipi sulla mortalità
(ovvero decessi in soggetti compromessi che sarebbero comunque avvenuti
a breve) ma causano in soggetti sani patologie polmonari che possono
cronicizzare e portare a morte i soggetti stessi. L’aumento della morbilità
inoltre porta ad un incremento della spesa sanitaria (maggiore numero di
visite mediche, di ricoveri ospedalieri, di assenze dal lavoro per malattia).
Recenti studi epidemiologici indicano che l’inquinamento atmosferico
nell'ambiente esterno delle 8 maggiori città italiane ha un impatto sanitario
rilevante in termini di mortalità, ricoveri ospedalieri per cause
cardiovascolari e respiratorie e prevalenza di malattie respiratorie (WHO-
ECEH, 2000). I dati raccolti su numerosi inquinanti (monossido di
carbonio, biossido di azoto, biossido di zolfo, ozono, benzene e polveri
sospese) sono stati impiegati per misurare il trend dell’inquinamento negli
anni, mentre per la stima dell’impatto sulla salute l’OMS si è avvalsa delle
concentrazioni di PM10. Le concentrazioni medie di PM10 misurate nelle
città oggetto di studio sono superiori all’attuale obiettivo di qualità dell’aria,
3
che è pari a 40µg/m , valore attualmente in corso di revisione in
diminuzione. Lo studio ha preso in considerazione la mortalità a lungo
termine ed altri effetti a medio e breve termine osservati nel corso di un
anno (come i ricoveri ospedalieri, i casi di bronchite acuta e gli attacchi
d’asma nei bambini) ed è stato stimato il carico di malattia potenzialmente
prevenibile qualora si riuscisse ad abbattere le concentrazioni medie di
3
PM10 a 30µg/m . E’ stato stimato che riducendo il PM10 ad una media di
3
30µg/m si potrebbero prevenire circa 3.500 morti all’anno nelle 8 città
3
studiate. Inoltre, riducendo le concentrazioni medie di PM10 a 30µg/m ,
migliaia di ricoveri per cause respiratorie e cardiovascolari, e decine di
migliaia di casi di bronchite acuta e asma fra i bambini al di sotto dei
quindici anni, potrebbero essere evitati. In aggiunta all’onere legato al
ricovero e cura dei casi di malattia legati all’inquinamento, il numero
stimato di giorni di attività compromessa a causa di disturbi respiratori (per
persone di età superiore ai venti anni) è di oltre 2,7 milioni, cioè il 14,3%
del totale.
Anche la qualità dell’aria negli ambienti confinati ha ripercussioni per la
salute, in particolare nei bambini, negli anziani e per persone già affette da
alcune patologie croniche. Molti materiali da costruzione liberano
nell’ambiente il gas radon, sorgente di radiazioni ionizzanti, con una stima
di possibile riduzione di 2-3% di casi di tumore polmonare a seguito di
bonifica. Un'indagine campionaria nazionale ha stimato un valore medio
nelle abitazioni italiane (e scuole) di 70-75 Bq/mc, più alta che negli USA
(46 Bq/mc) e in Germania (50 Bq/mc). Valori di 200 e 100 Bq/mc erano
raggiunti rispettivamente nel 4% e nell’1% delle abitazioni. Si stima che alle
esposizioni a radon in Italia siano attribuibili 1.500-6.000 casi annui di
58 La promozione della salute
cancro polmonare. Le evidenze di effetti cancerogeni su altri organi
bersaglio sono contraddittorie e non consentono alcuna stima.
Oltre a ciò, in Italia sono stimati in:
oltre 200.000 i casi prevalenti di asma bronchiale in bambini e
- adolescenti, causati da allergeni (acari, muffe, forfore animali) e da
esposizione a fumo di tabacco ambientale;
oltre 50.000 i casi incidenti di infezioni acute delle vie aeree
- (principalmente da fumo di tabacco ambientale);
circa un migliaio gli infarti del miocardio da fumo di tabacco
- ambientale;
oltre 200 i decessi per intossicazione acuta da CO.
-
Materiali da arredo e un grande numero di prodotti di consumo liberano
sostanze tossiche, come i composti organici volatili, e possono essere causa
di fenomeni allergici. Anche il microclima caldo-umido delle abitazioni,
favorisce la crescita degli acari e dei funghi nella polvere domestica. Infine,
alcuni composti chimici, anch’essi presenti negli ambienti confinati, sono
noti o sospettati quali cause di irritazione o stimolazione dell’apparato
sensoriale e possono dare vita ad una serie di sintomi comunemente rilevati
nella cosiddetta “Sindrome da Edificio Malato” .
Per quanto riguarda gli aspetti essenziali di prevenzione e protezione
ambientale nelle aree urbane è prioritario assicurare il rispetto delle vigenti
normative in materia di livelli consentiti di inquinanti atmosferici e
adoperarsi per abbattere ulteriormente i livelli del PM10 e degli altri
inquinanti. Il conseguimento di questo obiettivo richiede una serie
complessa di interventi essenzialmente relativi al traffico automobilistico e
agli impianti di riscaldamento.
In particolare, è importante:
ridurre l’inquinamento atmosferico da fonti mobili, utilizzando
- strumenti legislativi e fiscali, migliorando le caratteristiche tecniche dei
motori dei veicoli e la qualità dei carburanti;
ridurre l’inquinamento atmosferico da fonti fisse, identificando le fonti
- inquinanti, migliorando i processi tecnici e cambiando i combustibili.
A causa della struttura particolare delle città italiane, questi due tipi di
interventi dovrebbero prevedere restrizioni severe e regolamentazione del
traffico nelle aree urbane, tenendo in considerazione tutte le tipologie di
veicoli esistenti compresi i ciclomotori. Questi ultimi contribuiscono
significatamene all’aumento delle concentrazioni di inquinanti pericolosi,
come il benzene.
Per quanto riguarda l’inquinamento dell’aria negli ambienti confinati,
significativi benefici per la salute sono prevedibili dall’attuazione di
programmi di riduzione all’esposizione al radon, basati prioritariamente
sull’aumento del numero di edifici pubblici sottoposti a misurazioni e a
bonifica.
Il recente accordo approvato dalla Conferenza Stato Regioni (27 settembre
2001, n. 252) indica le Linee Guida per la tutela e la promozione della salute
negli ambienti confinati, e rappresenta quindi il documento di riferimento
per gli obiettivi e gli interventi in questo settore. 59
La promozione della salute
Tabella 1 - Gli inquinanti dell’aria:
origini, sorgenti, effetti sulla salute e sull’ambiente.
Benzene: da un punto di vista tossicologico è classificato come un potente
cancerogeno. Viene emesso quasi integralmente dal trasporto su strada, per
lo più direttamente (85%) e in parte per evaporazione durante il
rifornimento di benzina o dai serbatoi delle automobili.
Biossido di zolfo: noto anche come anidride solforosa, si forma per reazione
tra lo zolfo contenuto in alcuni combustibili fossili (carbone, oli minerali
pesanti) e l’ossigeno atmosferico. Le fonti di emissione sono soprattutto gli
impianti industriali o di riscaldamento. Il composto irrita è, ad alte
concentrazioni, danneggia gli epiteli delle vie respiratorie superiori
predisponendo ad episodi infettivi acuti e cronici.
Idrocarburi non metanici (composti organici volatili): nascono da processi
di combustione incompleta o sono emessi da molti prodotti chimici (ad
esempio solventi e vernici). I contributi principali vengono dal traffico
veicolare e dalle industrie. Alcune classi di composti hanno marcati effetti
cancerogeni (ad esempio gli idrocarburi policiclici aromatici).
Monossido di carbonio: si forma per combustione incompleta dei
combustibili a base carboniosa (naturali e fossili). Deriva da sorgenti
industriali, ma soprattutto dal traffico (marmitte non catalizzate). E’ un
potente agente tossico perché blocca la capacità di trasporto di ossigeno nel
sangue. Ad alte concentrazioni provoca dapprima malessere,
disorientamento e infine stato di coma e morte.
Ossidi di azoto: sono composti di azoto e ossigeno generati nei processi di
combustione ad alta temperatura, per reazione dell’azoto e dell’ossigeno
naturalmente presenti in atmosfera. Vengono prodotti dagli impianti di
riscaldamento, dai cicli termici industriali, dalle centrali termoelettriche e, in
misura oggi considerevole dagli autoveicoli. Provocano disturbi alle vie
respiratorie profonde e causa maggiore predisposizione alle infezioni
soprattutto nei soggetti affetti da patologie polmonari.
Ozono: si origina per processi fotochimica (dipendenti cioè dalla radiazione
solare) partendo da ossidi di azoto e da composto organici volatili
(idrocarburi non metanici). E’ un inquinante secondario cioè non è emesso
in quanto tale, ma si forma a partire da altri inquinanti (primari). Essendo un
potente ossidante attacca i tessuti delle vie aree, provoca disturbi alla
respirazione, aggrava gli episodi di asma. E’ particolarmente dannoso alla
vegetazione, producendo cali di rese in molte colture agricole e defoliazione
nelle foreste.
Particolato aerodisperso: conosciuto anche come “polveri totali sospese”
(PTS); può avere origini naturali (erosione dei suoli) o antropiche
(combustibili legneo-cellulosici o fossili, eccetto il gas naturale). Il
particolato entra nelle vie respiratorie spingendosi tanto più verso quelle
profonde quanto minore è il diametro delle particelle che lo costituiscono.
Ha azione irritante nelle vie respiratorie superiore (faringe), ma nel sistema
60 La promozione della salute
broncopolmonare può rilasciare composti tossici producendo o aggravando
patologie respiratorie o svolgendo anche azione cancerogena.
Piombo: veniva impiegato come additivo delle benzine tradizionali sotto
forma di composti metallo-organici (piombo tetraetile) usati come anti
detonanti. Il piombo viene rintracciato nel particolato aerodisperso e
proviene in prevalenza dalle vecchie benzine “rosse”. E’ un elemento
tossico e provoca alterazioni nel sistema nervoso e patologie neurologiche.
PM10: Le cosiddette “polveri fini” sono costituite dalle particelle
aerodisperse di diametro inferiore ai 10 micrometri (10 millesimi di
millimetro) e pertanto classificate come PM10 (da Particulate Matter < 10
µm). Data la loro piccola massa restano più a lungo sospese in atmosfera e,
a causa del loro piccolo diametro, sono in grado di penetrare nelle vie aeree
profonde (bronchi e polmoni) depositandovi gli elementi e i composti
chimici da cui sono costituite, quali metalli pesanti e idrocarburi. Il rischio
tossicologico associato al PM10 è perciò elevato. Da un recente studio
epidemiologico condotto su un campione di città statunitensi è emerso che
3
un incremento di 10 µg/m nella concentrazione atmosferica di PM10
provoca un aumento dallo 0,5% allo 0,7% delle cause generali di morte. E’
un corrispondente incremento dei decessi dovuti a patologie cardio
respiratorie. Analoghi studi condotti su città europee, hanno evidenziato dati
che se applicati (con tutte le incertezze e cautele del caso) a una città media
europea di un milione di abitanti che registri una concentrazione media di
3
polveri fini di 50 µg/m rispetto al valore limite indicato dalla recente
3
direttiva europea di 40 µg/m (tale è il caso di alcune tra le principali città
italiane), implicherebbero un incremento di 500 decessi annui e un
controvalore economico per le giornate lavorative perdute di almeno 20
milioni di euro per anno.
4.2.1. L’amianto
Ogni anno circa 1000 italiani muoiono per mesotelioma pleurico o
peritoneale causati prevalentemente dall’esposizione ad amianto e altri 1000
per cancro polmonare attribuibile all'amianto. Nello stesso periodo di tempo
si verificano circa 250 casi di asbestosi. E' documentata anche la comparsa
di mesoteliomi a seguito di esposizione ambientale non lavorativa in
residenti in aree prossime a pregressi impianti di lavorazione dell'amianto o
a cave in soggetti che non sono mai stati addetti alla lavorazione
dell'amianto. Dati i lunghi periodi di latenza, gli effetti dell'amianto, in
misura simile a quella riscontrata negli anni '90, sono destinati a prolungarsi
nel tempo anche se, per effetto della Legge 27 marzo 1992 n. 257, in Italia
non sono più consentite attività di estrazione, importazione, commercio e
esportazione di amianto e materiali contenenti amianto.
Vi è, poi, un numero difficilmente stimabile di lavoratori esposti per la
presenza di amianto come isolante in una molteplicità di luoghi di lavoro
(quali ad esempio industria chimica, bellica, raffineria, metallurgia, edilizia,
trasporti, produzione di energia), ed un numero anch'esso difficilmente
stimabile di soggetti residenti in prossimità di stabilimenti nei quali è stato
lavorato l'amianto. Il censimento di queste situazioni, previsto dalla citata
61
La promozione della salute
Legge del 1992, procede con lentezza, ed in assenza di dati attendibili sulla
mappa delle esposizioni, anche le attività di risanamento ambientale
procedono in modo relativamente frammentario ed episodico.
E' quindi prioritaria una più idonea strategia per la bonifica dei siti dove si
lavorava amianto e una verifica della presenza di residui di amianto nelle
vicinanze degli stessi.
E’ necessario, poi, elaborare ed adottare d’intesa con le Regioni, Linee
Guida che indirizzino l'attività delle strutture sanitarie a fini di prevenzione
secondaria e sostegno psico-sociale delle persone esposte in passato ad
amianto. Presentano anche carattere prioritario l'aggiornamento e
l'estensione degli studi epidemiologici che, insieme alla mappatura delle
esposizioni attuali e pregresse, possano fornire basi più solide agli interventi
di risanamento ambientale e criteri per il sostegno sanitario e psicologico
alle popolazioni esposte.
4.2.2. Il benzene
Per quanto riguarda il benzene, nota sostanza cancerogena per l'uomo,
l'esposizione avviene principalmente nell'ambiente esterno urbano a causa
degli scarichi dei motori a combustione a benzina. Il benzene può essere
emesso sia come prodotto di combustione (che si forma a partire dai
componenti della benzina, in particolare idrocarburi aromatici), sia in forma
di sostanza incombusta, per evaporazione dal carburatore, dal serbatoio e da
altre parti dei veicoli.
Un'altra sorgente di rilievo in ambito urbano è rappresentata dalla
distribuzione, dall'immagazzinamento e dalla manipolazione di carburanti
contenenti benzene.
Per quanto concerne specificamente gli ambienti interni degli edifici, le
sorgenti di maggior rilievo risultano essere alcuni prodotti di consumo,
come adesivi, materiali di costruzione e vernici. L'emissione di tali prodotti
è funzione della temperatura e, in particolare nel caso delle vernici, decresce
con il tempo.
Inoltre, il fumo di sigaretta contiene quantitativi di benzene significativi e
considerevolmente variabili.
L'evaporazione del benzene ha anche influenza sulle concentrazioni indoor
attribuibili a parcheggi interni agli edifici e sull'esposizione all'interno delle
auto. Uno dei problemi tipici degli ambienti urbani italiani è quello della
elevatissima densità di auto parcheggiate in quasi tutte le strade, a cui
corrisponde una considerevole emissione evaporativa dai serbatoi e altre
parti delle auto.
Ulteriori condizioni nelle quali si può realizzare l'esposizione al benzene
sono quelle particolari di alcuni ambienti di lavoro quali, ad esempio,
l'industria della gomma.
L'obiettivo di ridurre l'esposizione al benzene è stato perseguito con
successo attraverso la riduzione del benzene nella benzina, ma è
indispensabile continuare con determinazione gli sforzi intrapresi. I dati
disponibili non indicano in modo chiaro quanto la catalizzazione delle auto
abbia contribuito a ridurre l'emissione di benzene, anche se certamente vi
sono stati dei significativi benefici. Una valutazione appropriata della
62 La promozione della salute
possibile riduzione futura delle emissioni in rapporto al cambiamento del
parco auto è essenziale a fini strategici per comprendere quali obiettivi siano
effettivamente conseguibili in tal modo. Appare, comunque, importante
prevedere un qualche sistema di controllo della funzionalità dei dispositivi
di abbattimento. In base ai dati oggi forniti dai sistemi di monitoraggio, non
sembra al momento possibile prescindere da una riduzione e
razionalizzazione del traffico, quantomeno nelle aree critiche.
Le concentrazioni indoor, oltre che dall'ovvia eliminazione del fumo di
tabacco dagli ambienti di vita e di lavoro, potrebbero essere prevedibilmente
ridotte da un'ottimizzazione dei sistemi di parcheggio delle auto all'interno
degli edifici, con sistemi di ventilazione ed aerazione e altri metodi utili a
ridurre la penetrazione del benzene nelle abitazioni a partire dai luoghi in
cui sono posteggiate le auto.
E', infine, indispensabile realizzare idonee reti di rilevazione per il benzene
con particolare riferimento alle aree urbane.
4.3. La carenza dell’acqua potabile e l’inquinamento
In Italia solo i due terzi della popolazione riceve quantità sufficienti di
acqua per tutto l’anno, circa il 13% degli Italiani non riceve sufficienti
quantità di acqua per un quarto dell’anno e circa il 20% per due/tre quarti
dell'anno.
Inoltre, in molte parti d’Italia, per le quali vi sono dati disponibili, i caratteri
organolettici dell’acqua come torbidità, colore, odore o sapore sono di bassa
qualità. La proporzione della popolazione che non beve o beve raramente
acqua di rubinetto è elevata in tutte le aree, soprattutto nelle Isole e nel
Nord-Ovest.
Per quanto riguarda l’inquinamento, sono quasi scomparse le epidemie
idriche causate dai tradizionali patogeni quali Salmonella, Shigella e Vibrio,
ma permane problematica la valutazione del rischio microbiologico di altri
agenti biologici patogeni diffusibili attraverso l’acqua potabile. Inoltre, la
popolazione italiana resta esposta, attraverso l’acqua potabile, a bassi livelli
di numerosi composti chimici, fra i quali vi sono i residui dei prodotti
fitosanitari, i nitrati, i sottoprodotti della disinfezione delle acque a fini di
potabilizzazione e le cessioni da parte dei materiali con i quali sono state
realizzate le reti di captazione, adduzione e distribuzione dell’acqua
all’utenza.
Problemi di miglioramento delle caratteristiche delle acque si pongono,
inoltre, per il parametro boro e per il parametro arsenico poiché in alcune
situazioni, peraltro limitate e localizzate, è accertata la presenza di dette
sostanze nelle acque in concentrazioni superiori alle concentrazioni
massime ammissibili, per cause connesse alla natura geologica dei suoli.
Per il prossimo futuro occorrerà promuovere le seguenti azioni:
riduzione della quantità di prodotti impiegati in agricoltura e
- autorizzazione dei preparati fitosanitari a minor impatto sull’ambiente e
sulla salute umana;
adozione di norme per la buona pratica agricola, al fine di ottimizzare
- l’impiego dei fertilizzanti e minimizzare il loro impatto sull’ambiente; 63
La promozione della salute
promozione di un adeguato monitoraggio ambientale ed indagini
- epidemiologiche mirate, con particolare riferimento ai potenziali effetti
dei contaminanti chimici dell’acqua potabile sulle funzioni riproduttive
umane;
miglioramento delle tecnologie acquedottistiche;
- ottimizzazione della gestione e incentivazione della ricerca di
- disinfettanti integrativi/alternativi del cloro e suoi composti;
incremento della tutela delle acque dai processi di contaminazione
- urbana, agricola o industriale;
intensificazione dell’attività di controllo dei contaminanti chimici, fisici
- e biologici delle acque potabili con l’esclusione dell’erogazione delle
acque non conformi.
4.4. Le acque di balneazione
La normativa italiana relativa al controllo delle acque di balneazione ha
fissato, per gli indicatori microbiologici di contaminazione fecale, valori
limite più restrittivi rispetto alla direttiva europea attualmente in vigore.
Inoltre, la normativa italiana considera “acque di balneazione” le acque
nelle quali la balneazione è espressamente autorizzata dalle Autorità e non
vietata, mentre la direttiva europea stabilisce che “acque di balneazione”
sono da considerarsi quelle dove la balneazione è praticata da “un congruo
numero di bagnanti”. Questo comporta che in Italia, tranne le zone non
idonee per motivi diversi dall’inquinamento e quelle verificate non idonee
per inquinamento, tutte le acque siano considerate “acque di balneazione”.
A causa di ciò il nostro Paese ha un numero di punti di campionamento
controllati di gran lunga superiore a qualsiasi altro Paese dell’Unione
Europea.
L’osservazione dei dati raccolti negli ultimi anni, durante le campagne di
controllo svolte in base al Decreto Presidente della Repubblica 8 giugno
1982 n. 470, porta a riconoscere un generale miglioramento della qualità
delle acque delle zone costiere italiane, valutato in funzione dei chilometri
di costa controllata.
L’ulteriore miglioramento della qualità delle acque di balneazione passa
attraverso la riduzione della contaminazione ambientale, un opportuno ed
idoneo trattamento di tutti gli scarichi, urbani e non, un’adeguata
progettazione degli impianti di depurazione, ed il censimento regolare e
continuativo degli scarichi.
4.5. L’inquinamento acustico
L’inquinamento acustico causato dal traffico, dalle industrie, dalle attività
ricreative interessa circa il 25% della popolazione europea, provocando sia
disagi che danni alla salute. Infatti, anche se le conseguenze
dell’esposizione al rumore a bassi livelli variano da individuo ad individuo,
un’esposizione prolungata nel tempo, che raggiunge determinati valori di
pressione sonora, è causa, in tutta la popolazione, di effetti nocivi
sull’organo dell’udito e sull’intero organismo. Per un’esposizione ad elevati
livelli, protratta per anni, quale può riscontrarsi in alcuni ambienti di lavoro,
64 La promozione della salute
si registra un abbassamento irreversibile della soglia uditiva. Anche in
relazione a esposizione a più bassi livelli di rumore si registrano nell’intero
organismo, secondo il perdurare dello stimolo, una serie di modificazioni a
carico di vari organi ed apparati.
Numerose indagini dimostrano che nella maggior parte delle città italiane
esaminate i livelli di rumore sono superiori ai livelli massimi previsti dalle
norme vigenti sia di giorno che di notte. Per quanto riguarda l’esposizione al
rumore negli ambienti di lavoro, si può stimare, in maniera conservativa,
che la popolazione dei lavoratori esposti a più di 90 dB(A) di Leq (Livello
Equivalente di pressione sonora) sia pari almeno alle 100.000 unità, e le
ipoacusie professionali rimangono di gran lunga la prima tecnopatia in
Italia, contribuendo con più del 50% al totale delle malattie professionali
indennizzate.
Da quanto esposto scaturisce con urgenza la necessità di interventi, sia negli
ambienti di lavoro che negli ambienti di vita, finalizzati alla riduzione
dell’esposizione al rumore.
Per quanto riguarda gli ambienti di vita, la limitazione del traffico veicolare
è soltanto uno degli strumenti per migliorare la qualità ambientale, e deve
essere integrata con altre azioni individuabili a livello locale, nazionale,
comunitario: dalla pianificazione urbanistica, alla viabilità e conseguente
regolamentazione dei flussi di traffico, al potenziamento dell’attività di
controllo e repressione dei comportamenti eccessivi, agli incentivi
economici per lo svecchiamento dei mezzi di trasporto pubblici e privati, al
finanziamento dell’attività di ricerca per lo sviluppo di veicoli a basse
emissioni di inquinanti, alla zonizzazione acustica (classificazione del
territorio comunale in 6 classi in base ai livelli di rumore), al piano di
risanamento acustico comunale.
Per quanto riguarda l’esposizione negli ambienti di lavoro, quattro sono i
livelli di azione da intraprendere per ridurre l’incidenza sulla salute di
questo fattore di rischio:
migliorare gli standard di sicurezza e tutela aziendali tramite una più
- corretta e puntuale applicazione della vigente legislazione;
incrementare l’azione di vigilanza a livello territoriale sulla corretta
- applicazione della vigente legislazione in materia;
completare l’emanazione dei decreti attuativi previsti dal Decreto
- Legislativo 15 agosto 1991 n. 277;
attuare una politica di incentivazione e di sostegno alle aziende che
- vogliono attuare interventi di riduzione della rumorosità negli ambienti
di lavoro.
I macrosettori produttivi ai quali dovrebbero essere indirizzati i maggiori
sforzi sono quello metalmeccanico, quello edile e quello estrattivo.
4.6. I campi elettromagnetici
Negli ultimi anni si è verificato un aumento senza precedenti del numero e
della varietà di sorgenti di campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici
utilizzate a scopo individuale, industriale e commerciale. Tali sorgenti
comprendono, oltre le linee di trasposto e distribuzione dell’energia
65
La promozione della salute
elettrica, apparecchiature per uso domestico, personal computers
(dispositivi operanti tutti alla frequenza di 50 Hz), telefoni cellulari con le
relative stazioni radio base, forni a microonde, radar per uso civile e militare
(sorgenti a radio frequenza e microonde), nonché altre apparecchiature usate
in medicina, nell’industria e nel commercio. Tali tecnologie, pur di grande
utilità, generano continue preoccupazioni per i possibili rischi sanitari della
popolazione.
Per quanto riguarda i campi a frequenza estremamente bassa (ELF),
l'esposizione dell'uomo è principalmente collegata alla produzione, alla
distribuzione ed all'utilizzazione dell’energia elettrica. Nel 1998, il gruppo
di esperti internazionali del National Institute of Environmental Health
Sciences (USA) ha affermato che, usando i criteri stabiliti dalla Agenzia
Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC), i campi ELF dovrebbero
essere considerati come "possibili cancerogeni". Possibile cancerogeno per
l’uomo significa che esistono limitate evidenze scientifiche sulla possibilità
che l'esposizione a campi ELF possa essere associata all’insorgenza dei
tumori. Sulla base di queste valutazioni di esposizioni e della stima del
livello di rischio di leucemia per l'infanzia, è stato calcolato che ogni anno si
potrebbero verificare 1,3 (95% intervallo di certezza: 0- 4,1) casi aggiuntivi
di leucemia infantile collegabili alla vicinanza delle abitazioni a linee
elettriche ad alta tensione e 26,7 casi (95% intervallo di certezza: 3,9 - 57,3)
collegabili all'esposizione nelle case. Tali dati corrisponderebbero
rispettivamente a valori che variano da 0,3% a 6,1 % del totale dei 432 casi
di leucemia infantile che si verificano ogni anno in Italia. Restano, tuttavia,
ovvie incertezze sul rapporto causa – effetto.
4.7. Lo smaltimento dei rifiuti
Il rischio per la salute si manifesta anche quando risultano assenti o
inadeguati i processi di raccolta, trasporto, stoccaggio, trattamento o
smaltimento finale dei rifiuti, nonché quando lo smaltimento avviene senza
il rispetto delle norme sanitarie rigorose previste dalle norme vigenti. La
mancata raccolta dei rifiuti costituisce una causa importante di
deterioramento del benessere e dell'ambiente di vita. I rifiuti, qualora non
vengano adeguatamente smaltiti, possono contaminare il suolo e le acque di
superficie. L'esalazione di metano dai siti di interramento non idonei
rappresenta un rischio di incendio ed esplosioni. Tuttavia, se trattati
adeguatamente, i rifiuti possono costituire una fonte combustibile. Le
emissioni in atmosfera in strutture atte alla produzione di compost e negli
impianti di incenerimento dei rifiuti, qualora non opportunamente abbattute,
sono state identificate quali fattori di rischio per la salute dei lavoratori
addetti.
La discarica rimane il sistema più diffuso di smaltimento dei rifiuti, sia
perché i costi sono ancora oggi competitivi con quelli degli altri sistemi, sia
perché l’esercizio è molto più semplice. La discarica controllata, se ben
condotta, non presenta particolari inconvenienti, purché sia ubicata in un
idoneo sito e sia dotata degli accorgimenti atti ad evitare i pericoli di
inquinamento che i rifiuti possono provocare in via diretta ed indiretta.
I principali obiettivi in questo settore sono:
66
DESCRIZIONE APPUNTO
Appunti di Sanità pubblica – Piano sanitario nazionale. Nello specifico gli argomenti trattati sono i seguenti: LIVELLI ESSENZIALI DI ASSISTENZA(LEA), Assicurare a tutti gli assistiti condizioni di uniformità sul territorio nazionale per garantire il principio di “solidarietà generale”, ecc.
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