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RISOLUZIONE PER INADEMPIMENTO
La risoluzione (art. 1453 ss. C.c.) riconduce alla nozione di inefficacia in senso stretto. Si delinea il
concetto che nella disciplina della risoluzione, il giudizio di riprovazione da parte dell’ordinamento
si basa su fatti sopravvenuti rispetto alla conclusione del contratto. In via generale, la risoluzione
rimedia ad una situazione di iniquità comportata da fatti verificatisi dopo la conclusione del
contratto. Chiesto l’adempimento si può chiedere la risoluzione, mentre non è ammesso il contrario
poiché con la domanda di risoluzione la parte mostra di non avere più interesse all’adempimento.
La risoluzione per inadempimento si ha quando una delle due parti del contratto è inadempiente.
Si distingue tra:
• Risoluzione giudiziale: innanzitutto vi è la conclusione di un contratto a prestazioni
corrispettive, alla scadenza una delle parti non esegue la prestazione o lo spostamento
patrimoniale dovuto. L’inadempimento deve essere grave o manca un adempimento tardivo
anteriore alla domanda giudiziale. Il contraente che subisce l’inadempimento della
controparte, dopo aver eventualmente sospeso il proprio adempimento, può scegliere se
preferisce ottenere che l’altro contraente adempia, oppure se preferisce liberarsi dagli
effetti del contratto (scelta tra esecuzione specifica e risoluzione del contratto). Se vuole
raggiungere il primo risultato, può insistere affinchè l’altro contraente adempia, fino ad
ottenere che il giudice pronunci una sentenza con la quale lo condanna ad adempiere
esattamente e a risarcire i danni derivanti dal ritardo. Se vuole raggiungere il secondo
risultato, deve scegliere se chiedere o meno l’intervento del giudice. Se sceglie l’intervento
del giudice può ottenere la pronuncia di una sentenza con la quale il contratto viene risolto
per inadempimento, e il contraente inadempiente è condannato anche a risarcire gli
eventuali ulteriori danni. Presentata la domanda di risoluzione, l’inadempiente non può più
bloccarla con un’esecuzione tardiva della sua prestazione, potendo l’altro contraente
rifiutarla purchè non preferisca accettare l’adempimento tardivo e rinunziare alla
risoluzione. Che chieda l’adempimento o la risoluzione, il contraente non inadempiente può
comunque chiedere il risarcimento del danno. Nella risoluzione giudiziale, la sentenza ha
natura costitutiva;
• Risoluzione di diritto: la sentenza ha natura deliberativa. Opera senza la necessità di una
sentenza in alcune fattispecie specificatamente disciplinate:
1. Diffida ad adempiere: consiste nell’intimidazione per iscritto alla controparte di
adempiere entro un congruo termine, non inferiore a 15 giorni,indicando che decorso
inutilmente tale termine il contratto s’intenderà senz’altro risolto. In questo modo, il
contraente inadempiente ha ancora la possibilità di rimediare e di adempiere, seppur
tardivamente. Se alla scadenza del nuovo termine manca l’adempimento, il contratto si
risolve di diritto, cioè automaticamente senza intervento del giudice;
2. Clausola risolutiva espressa: le parti dichiarano nel contratto la volontà di attribuire ad
una di esse il potere di risolvere unilateralmente il contratto in caso di inadempimento
dell’altra parte. Le parti devono indicare specificamente le obbligazioni e le modalità di
adempimento, poiché una clausola risolutiva generica non è valida. La risoluzione
opera solo dopo che la parte interessata dichiara di volersi avvalere della clausola
risolutiva;
3. Termine essenziale: il contratto si risolve di diritto qualora sia fissato per la prestazione
di una delle parti un termine essenziale nell’interesse dell’altra, sicchè un adempimento
tardivo sarebbe privo di utilità. Un termine è essenziale, dunque, se la prestazione non
ha più utilità per il creditore dopo la scadenza (es: sarto che deve consegnare l’abito da
sposa per il giorno del matrimonio). Il contratto, tuttavia, non si risolve se il contraente
interessato avverte l’altro, entro 3 giorni, di aver comunque interesse a ricevere la
prestazione, anche se in ritardo.
Con la risoluzione il contratto viene sciolto, ovvero diventa inefficace: ciò significa che le parti non
sono più tenute ad eseguirlo. Se una parte ha ricevuto una prestazione in esecuzione del contratto
è tenuta a restituirla alla controparte. La risoluzione per inadempimento ha effetto retroattivo tra le
parti, cioè dal punto di vista operativo comporta essenzialmente il diritto alla restituzione non solo
delle prestazioni ma anche dei frutti e degli interessi. Se si tratta di un contratto a prestazioni
continuative o periodicamente ripetute, l’obbligo di restituire non si estende alle prestazioni
effettuate nel periodo in cui il contratto ha avuto regolare esecuzione. La risoluzione non è
opponibile ai terzi, cioè non pregiudica i diritti che i terzi hanno acquistato. Nei contratti con
prestazioni corrispettive ciascuno dei contraenti, oltre alla possibilità di tenere un comportamento
positivo, può assumere un atteggiamento passivo, rifiutandosi di adempiere la prestazione se
l’altro non adempie. Si rilevano due nozioni:
• Eccezione d’inadempimento: riguarda l’ipotesi in cui una parte non sia disposta ad
adempiere e l’altra, pur essendo disposta ad adempiere, non abbia ancora adempiuto. In
questo caso, è riconosciuto il potere di rifiutare la prestazione, costringendo l’altra parte a
non adempiere. Il rifiuto di adempiere è illegittimo se è contrario alla buona fede;
• Potere di sospendere l’esecuzione: opera quando le condizioni patrimoniali di un
contraente sono divenute tali da porre in evidente pericolo il conseguimento della
controprestazione. Questo potere è escluso se la parte le cui condizioni patrimoniali si sono
deteriorate offre una cauzione, cioè costituisce un’adeguata garanzia per l’adempimento
futuro;
• Esclusione convenzionale (clausola solve et repete): il potere di rifiutare la prestazione può
essere escluso d’accordo tra le parti (prima paghi e poi chiedi la restituzione). Approvando
tale clausola il soggetto passivo rinunzia al diritto di opporre eccezioni al fine di evitare o
ritardare la prestazione da lui dovuta, salva la facoltà di proporle solo dopo aver eseguito la
propria prestazione e di ripetere eventualmente quanto risultasse non dovuto.
RISOLUZIONE PER IMPOSSIBILITA’ SOPRAVVENUTA
La risoluzione per impossibilità sopravvenuta (art. 1463 ss. C.c.) attiene ad una disciplina di
inefficacia in senso stretto, diretta a rimediare ad una iniqua ripartizione del rischio da impossibilità
sopravvenuta. In caso di impossibilità di una prestazione si estingue l’obbligazione, e invocando la
categoria della risoluzione si determina anche un regime di inefficacia di tutto il contratto. Dal
punto di vista operativo, in un contratto a prestazioni corrispettive la prestazione divenuta
impossibile è legata da un vincolo di corrispettività con altre prestazioni che, invece, restano
possibili: il contraente, la cui prestazione è ancora possibile, non è più obbligato a effettuarla a
favore dell’altro contraente, il quale è a sua volta liberato dall’obbligo di effettuare la propria a
causa dell’impossibilità sopravvenuta a lui non imputabile. Caratteri dell’impossibilità sono:
• Impossibilità non imputabile, assoluta e definitiva: essa non dipende dalla volontà del
soggetto passivo. Il soggetto passivo non è in grado di adempiere e chiunque non è in
grado di eseguire la prestazione, l’intera prestazione non può essere eseguita e non è
ammesso che la prestazione possa essere eseguita in un secondo momento. Se sono
presenti queste caratteristiche si estingue l’obbligazione e il soggetto passivo è liberato,
così come è liberato il soggetto attivo visto che il contratto si risolve;
• Impossibilità parziale: se la prestazione diventa soltanto parzialmente impossibile e il
debitore si libera eseguendo la prestazione per la parte ancora possibile, è prevista non
una risoluzione automatica (potendo il contratto svolgere ancora una sua funzione) ma
l’attribuzione all’altra parte di un diritto ad una corrispondente riduzione della prestazione
dovuta, con la possibilità di recedere dal contratto qualora non abbia un interesse
apprezzabile all’adempimento parziale;
• Impossibilità temporanea: attiene al concetto che alla scadenza non è possibile la
prestazione, però è sensato ritenere che in futuro potrà essere eseguita. Estinguendo
l’obbligazione colpita da impossibilità si ha la risoluzione del contratto.
Una considerazione particolare è riservata ai contratti con effetto traslativo, cioè diretti al
trasferimento della proprietà o alla costituzione di un diritto reale. L’ordinamento prende in
considerazione tre ipotesi:
• Se l’impossibilità avviene subito dopo la conclusione, ma prima della consegna, è esclusa
la risoluzione (es: Tizio ha venduto a Caio una casa, ma prima di consegnarla questa si
incendia);
• Se l’impossibilità avviene subito dopo la conclusione, ma prima della scadenza di un
termine, è esclusa la risoluzione (la cosa perisce tra la conclusione del contratto e il giorno
previsto per la consegna);
• Se l’impossibilità avviene subito dopo la conclusione, ma prima dell’avveramento della
condizione, opera la risoluzione (durante il periodo di pendenza si verifica il perimento della
cosa, imputabile all’alienante, debitore dell’obbligo di consegnarla e custodirla).
Dunque, è sul proprietario che grava il danno per la distruzione di una cosa non imputabile a
persona alcuna, ma dipendente da un caso fortuito.
RISOLUZIONE PER ECCESSIVA ONEROSITA’
Se lo squilibrio tra il valore delle prestazioni sopraggiunge dopo la stipulazione del contratto, ma
prima della sua esecuzione, in seguito al verificarsi di eventi straordinari e imprevedibili, la parte
che deve effettuare la prestazione eccessivamente onerosa rispetto all’altra può ottenere la
risoluzione del contratto. Essa non avviene mai automaticamente, ma deve essere decisa dal
giudice mediante una sentenza. Può essere evitata dalla controparte offrendo di modificare
equamente le condizioni del contratto (sanatoria). Questa risoluzione opera in presenza di alcune
fattispecie:
• Conclusione di un contratto corrispettivo;
• Contratto di durata/a prestazioni periodiche, continuate o differite;