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FASE DEL GIUDIZIO PRESSO IL MAGISTRATO ROMANO
Fatto legare Gesù, lo condussero da Pilato. Nel campo della giustizia penale il governatore, in virtù del suo imperium, procedeva alla repressione e persecuzione dei delitti commessi sia dai cittadini romani che dai sudditi senza limiti per questi ultimi, in quanto non godevano della provocatio. Tuttavia la coercitio non sfuggiva ad autolimitazioni consuetudinarie, legate al rispetto dei principi giuridici nazionali, sebbene la decisione del magistrato non fosse soggetta a gravame. Occorre analizzare il significato della vicenda di Barabba.sostiene Colin che il privilegio pasquale fosse un vero e proprio diritto dei Giudei, al cui rispetto il magistrato si sarebbe dovuto attenere scrupolosamente. Il magistrato rispettava tale presunto diritto per essere gradito dai sudditi giudei. Colin evidenzia come la folla non fosse radunata per caso, ma volutamente e formalmente riunita dal magistrato, che era seduto in tribunale perAmministrare la giustizia. Miglietta è preferibile un'ipotesi di self-restraint. La vicenda di Barabba rispondeva all'usuale, madiscrezionale, esercizio delle prerogative del magistrato in materia criminale. Nulla ci fa ritenere concertezza che il magistrato fosse tenuto a consultare il popolo. Per quanto riguarda la natura giuridica, questa va ricercata su di un parere sul rilascio di uno fra gli imputati. Si trattò di un parere volto a favorire uno degli imputati (del medesimo crimine). Ciò conferma l'opinione secondo cui i sudditi provinciali privi di cittadinanza non godessero della provocatio (che rappresentava un diritto del singolo cittadino, non legata ad un'opzione tra più imputati). Si arriva, dunque, al giudizio propriamente detto: Gesù di fronte a Ponzio Pilato. Le narrazioni evangeliche aprono una problematica cruciale: diversi autori situano in questo frangente la trasformazione del capo d'accusa ad opera del Sinedrio.
Dalla bestemmia (delitto politico-religioso) si passa alla lesa maestà. Isinedriti portano l'accusa sul terreno politico, dicendo che Gesù si era fatto re dei Giudei e che aveva commesso altri delitti. Poiché il rinvio a giudizio in quanto blasfemo era insostenibile, era necessario mutare il titolo del reato. Ciò era spinto dal timore di perdere l'egemonia religiosa e di spezzare l'alleanza con Roma, causando un indebolimento del proprio potere. Gesù doveva morire ad ogni costo.
L'interrogatorio a Gesù mostra una contraddizione invalicabile. La caratteristica più appariscente è il silenzio cocciuto di Gesù che riempie di meraviglia il giudice. I tentativi di Pilato di liberare Gesù indicano l'attenzione del giudice romano nel vagliare le risultanze istruttorie, mentre è stata la comunità dei credenti a leggere l'ordinaria prudenza del magistrato come convinzione d'innocenza.
Poiché Gesù si era fatto Re dei Giudei, rappresentava la forma secolarizzata, trasferita sul piano profano-politico, per il titolo di Re d'Israele. Dio e Re d'Israele: si tratta di un reato plurioffensivo, in quanto offendeva sia la santità di Jahweh, sia minacciava la sicurezza del populus romanus e la maestà dell'imperatore. La circospezione di Pilato nell'interrogatorio può ricollegarsi anche alle 3 distinte accuse. QUESTIONI INCIDENTALI Invio di Gesù a Erode Antipa. Ci si deve domandare come mai un elemento così importante sia stato omesso da Matteo, Marco e Giovanni. Il brano, riportato solo da Luca, era destinato ai pagani. Tale invio ad Erode denota un mero intento ludico. Secondo Miglietta la ragione si trova nel versetto che recita "Erode e Pilato, che prima erano nemici, ora diventarono amici". A Pilato, più che il responso di Erode, interessava un'alleanza che gli facilitasse.L'esercizio delle sue prerogative. Lavanda delle mani di Pilato. Nella Bibbia il lavarsi le mani in occasione della morte violenta di un uomo è inteso come protesta d'innocenza e come rinvio del castigo del sangue su altri. Bisogna ricordare che Matteo scrive il suo Vangelo per gli ebrei: a lavarsi le mani è un Pilato ebreo.
CHIUSURA DEL PROCEDIMENTO, CONDANNA ED ESECUZIONE
Pilato emette formalmente la sentenza: reo di lesa maestà, Gesù re dei giudei, confessus, deve essere crocifisso. Pilato consegnò Gesù affinché fosse crocifisso e, poiché l'esecuzione seguiva immediatamente alla pronunzia della condanna, fu preso in consegna dai soldati esecutori di giustizia. La logica interna deve far pensare che vi sia stata una decisione rituale, propria e autonoma di Pilato. Ad esecuzione da parte dei soldati romani deve corrispondere una sentenza del magistrato romano.
Sulla croce era affisso il titulus, ossia la visibile
motivazione della condanna. Se Pilato non avesse condannato formalmente Gesù sulla croce, non avrebbe motivato espressamente la sua morte. Ma se il magistrato si fosse limitato a delibare la decisione del Sinedrio, i sommi sacerdoti non avrebbero dovuto richiedere la modifica del titulus, per di più rimasta insoddisfatta.
Epilogo. Miglietta ritiene che vi sia stato un unico procedimento scandito in 2 fasi distinte: la fase istruttoria (presso il Sinedrio) e la fase del giudizio (davanti a Pilato). Il Sinedrio agì in virtù delle proprie funzioni di organo istruttorio, in merito a fatti penalmente rilevanti, la cui competenza era stata ad esso sottratta (noper crimini punibili con la pena di morte). A seguito del giudizio il magistrato romano emise la sentenza di condanna a morte. Esterno a questa logica è il chiedersi chi tra il Sinedrio e Pilato sia il responsabile della morte di Gesù. Furono poteri che agirono secondo le rispettive prerogative.
nell'esercizio delle loro funzioni (generale e sostanziale legittimità). Parlare di legittimità, comunque, non equivale a voler negare l'esistenza in quella vicenda di una componente motivazionale di ordine politico: hanno giocato nell'azione del Sinedrio interessi politici molto forti. La classe dirigente è portata a respingere quanto rimetta in discussione la sua stabilità. L'inamovibilità è tipica di chi svolge funzioni pubbliche, soprattutto nel caso in cui queste si legittimino su di uno sfondo etico e religioso. Si vuole rimanere al potere per il bene del popolo, giungendo ad affermazioni quali "conviene che muoia un solo uomo per il popolo". Lo storico del diritto deve chiedersi se quel giudizio fu conforme o meno alle norme allora in vigore! Capitolo 2. L'invio al tetrarca di Galilea Il Vangelo di Luca ci offre la narrazione dell'invio di Gesù a Erode. Si tratta di un testo importante.perl’individuazione dei rapporti intercorrenti tra il governatore romano della Giudea ed il tetrarcaindipendente (e cliente) della Galilea.
Pilato chiese se Gesù fosse galileo, e venuto a sapere che ricadeva sotto la potestas di Erode, lo feceportare da Erode, che in quei giorni si trovava a Gerusalemme. Tale fatto viene narrato solo da Luca, nelterzo Vangelo. Questa particolarità letteraria ha indotto gli studiosi a domandarsi se la presenza di taleepisodio corrisponda alla narrazione di un evento realmente accaduto la cui notizia sia giunta soloall’evangelista Luca, o se si tratta di un’inserzione di natura tematica. Qualcuno ha anche ipotizzatol’inserzione da parte di un interpolator, altri che l’autore abbia subito l’influenza di un salmo. Ma prima dianalizzare tali ipotesi dobbiamo porci il problema circa la possibile opera di interpretazione dell’episodio daparte di Luca. Tale episodio sfugge allo schema del Cerfaux. Lo
Lo scopo tematico del Vangelo di Luca potrebbe essere quello di presentare i capi religiosi di Gerusalemme come i veri sobillatori delle autorità romane, ponendo un accento sull'innocenza di Gesù. Né Pilato, né Erode, infatti, hanno trovato la colpa di cui lo accusano i sommi sacerdoti e la folla. Vi è una contrapposizione tra il desiderio di Pilato di liberare Gesù (rafforzato dalla convinzione di innocenza di Erode) e l'ostinazione dei giudei nel volere la condanna, tanto da condurre all'estremo tentativo della proposta di scambio con Barabba. Tale ipotesi potrebbe trovare riscontro nella realtà storica in cui venne composto il terzo Vangelo. Si deve all'ambiente persecutorio del tempo in cui l'opera è stata scritta se Luca cerca di evitare provocazioni nei confronti del potere politico. È necessario indagare se vi sia o meno un fondamento giuridico dell'episodio all'interno del diritto.
Romanoe se si possa giustificare l'avvenimento sotto il profilo storico. Gesù non era un galileo, tanto che quando Pilato chiese se era galileo, dalla risposta ne dedusse che cadeva sotto la potestas di Erode. Gesù, nonostante fosse nato in Giudea (Betlemme), era noto con l'appellativo di Nazareno (da Nazareth, che si trova in Galilea, soggetta all'autorità del tetrarca).
Hegel sosteneva che fosse legittimo l'intervento del tetrarca, in quanto Pilato notò che gli accusatori ponevano l'inizio dell'attività criminosa in Galilea e che Gesù, in quanto de facto galileo, era soggetto ad Erode, principe di questa regione. L'attenzione di Pilato nel rispettare la giurisdizione di Erode su Gesù fu tale da produrre la fine della loro inimicizia. Secondo altri l'inserzione dell'episodio deriverebbe dal fatto che Luca avesse consultato una narrazione in cui la morte di Gesù era erroneamente
Attribuita allo stesso tetrarca. Nel Vangelo apocrifo di Pietro si afferma infatti che Erode ordinò di condurre via il Signore dicendo: "Fate quanto vi ho ordinato di fargli". Alla successiva richiesta del cadavere da parte di Nicodemo, il magistrato romano si limita a rinviare al tetrarca, segno della preminenza della posizione di quest'uomo all'interno della condanna del Messia. Allo stesso modo la partecipazione attiva di Erode viene testimoniata dagli apocrifi Atti di Tommaso, Andrea e Matteo.
L'ipotesi della storicità dell'invio di Gesù al tetrarca, disposto da Pilato, parrebbe trovare conforto nell'ambito del diritto criminale romano. Celso riporta una regola secondo cui è tenuto a giudicare di un crimen, a prescindere dalla residenza dell'imputato, il magistrato la cui competenza è data dal luogo nel quale il soggetto è stato catturato ed in cui si svolge il complesso degli atti di repressione.
criminale. All'interno della dottrina romanistica si è discusso in ordine all'interpretazione dell'agitur, contenuto nel responso. Sherwin-White l'agitur indica tanto il luogo in cui l'uomo abita, quanto il luogo in cui ha commesso il criminale.