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I tempi di riassorbimento sono relativamente rapidi ma non altrettanto certa è la

sostituzione con tessuto mineralizzato.

2)IDROSSIAPATITE: esistono diversi tipi di idrossiapatite; essenzialmente la

classificazione principale le suddivide in riassorbibili e non riassorbibili e le altre

classificazioni comunque possono essere ricondotte a questa; ci sono comunque infiniti

gradi intermedi di riassorbibilità. Quando questo materiale non è riassorbibile finisce per

essere incapsulato in una massa di tessuto connettivo di reazione come se fosse un corpo

estraneo con una reazione simil-granulomatosa per cui abbiamo tutt’altro che osteogenesi

o anche osteoinduzione ma solo questo incapsulamento. Può anche essere classificata

come naturale o sintetica; di fatto quella naturale è il Bio-os che avendo perso tutta la

componente organica residua solo l’idrossiapatite, quindi in realtà fa parte dei trapianti non

degli innesti quindi l’unica in questa sede è quella sintetica; l’idrossiapatite sintetica può

essere densa, microporosa o macroporosa. La densa è formata da particelle prive di

trabecolatura, ed appartiene in genere a quelle non riassorbibili. Un’altra suddivisione

dell’idrossiapatite è in cristallina ed amorfa.

L’idrossiapatite, come tutti gli innesti, presenta delle potenzialità future affatto disprezzabili;

esistono in letteratura descrizioni di sostituzioni di parti ossee (es. ossa lunghe del braccio)

in cui tubi di idrossiapatite sono stati fatti colonizzare da cellule staminali prelevate dal

midollo osseo e quindi sono stati innestati nel paziente; in questi casi la letteratura sia

sull’uomo che sull’animale ha dimostrato degli ottimi risultati ma, in questi casi,

l’idrossiapatite faceva solo da impalcatura, perché chi riforma l’osso su questa impalcatura

sono in realtà le staminali.

Fa vedere un caso clinico in cui, attorno ad un 21 c’è un difetto circumferenziale non a

contenitore piuttosto grande con un angolo del difetto ampio (quindi non è affatto ottimale

per il coagulo ematico); in questo caso viene usato un innesto con idrossiapatite e si va a

vedere dopo 6 mesi lo stato dei tessuti; i tessuti stanno bene (anche al sondaggio) quindi

clinicamente come materiale sembra andare bene, istologicamente è tutto un altro paio di

maniche (solita solfa che l’istologia sul paziente non posso farla). Poi fa vedere come va

sul lungo termine: clinicamente a distanza di nove anni il paziente (che comunque ha fatto

mantenimento ogni tre mesi) il dente e i tessuti clinicamente stanno ancora bene ma

radiograficamente si riescono ancora a distinguere tutti i granellini messi nove anni prima,

quindi questo ci fa già capire che non solo non sono stati riassorbiti ma che lo spazio tra

un granello e l’altro (che è radiotrasparente) non è formato da tessuto osseo (altrimenti

non si vedrebbe lo spazio tra di essi) ma da tessuto connettivale denso. Quindi questa è la

differenza maggiore col fosfato beta tricalcico: nell’idrossiapatite non c’è comunque

sostituzione del materiale ma la clinica è comunque ottima (a patto ovviamente che tutte le

procedure chirurgiche siano fatte per bene); nel fosfato beta tricalcico, invece, il

riassorbimento del materiale c’è, che poi sia sostituito da tessuto osseo o da tessuto

connettivo denso quello è un altro discorso.

Per quanto riguarda la letteratura sull’idrossiapatite non porosa, ossia non riassorbibile

(come quella del caso clinico di cui sopra): anche in questo caso la letteratura non è

univoca; dal punto di vista clinico questo materiale va bene sull’uomo; se guardiamo come

guariscono in base al sondaggio (quindi sempre dal punto di vista clinico) funzionano

sempre e comunque meglio del solo curettage osseo; infine istologicamente c’è quasi

sempre incapsulamento connettivale senza neo-osteogenesi. Quindi: ottimo risultato

clinico, buona chiusura del difetto ma all’istologia è tutta spazzatura.

Per quanto riguarda invece l’idrossiapatite porosa (che in genere è riassorbibile, ma

comunque in grado variabile) dal punto di vista clinico, diversi studi hanno paragonato

l’efficacia con il semplice curettage osseo in difetti verticali e forche e, clinicamente, i

risultati sono migliori con l’idrossiapatite porosa. Istologicamente c’è qualche report

sull’uomo in cui si vede che essendo riassorbile il materiale viene riassorbito e sostituito

può dare origine ad osso però comunque all’interfaccia osso-radice c’è sempre e

comunque epitelio giunzionale lungo. Dal punto di vista clinico lo studio di Bawen e coll del

1989 ha dimostrato che l’idrossiapatite è paragonabile al DFDBA (che però ha capacità

osteoinduttiva riconosciuta, mentre l’idrossiapatite ha al netto solo capacità

osteoconduttiva). Gli studi istologici sull’animale confermano la formazione di nuovo

tessuto osseo che va a sostituire l’idrossiapatite porosa riassorbibile.

Caso clinico: difetto semi-circumferenziale su molare con coinvolgimento anche della

formazione riempito di idrossiapatite. Dopo qualche mese al sondaggio si vede che non

c’è sondaggio (è esattamente 3mm e qualcosa) quindi clinicamente un ottimo risultato. A

distanza di quasi un anno si è andati a vedere che cosa è successo al difetto per vedere di

cosa si è riempito: apparentemente il difetto è pieno di osso ma andando a sondare,

passandoci sopra una curette, ci si è accorti che è in realtà era solo tessuto connettivo

denso che teneva insieme l’innesto (nonostante si trattasse di idrossiapatite dichiarata

riassorbibile). Il problema dell’idrossiapatite è che molto spesso non viene riassorbita

(anche quella teoricamente riassorbibile) e quindi viene ad essere incapsulata in

connettivo, mai in osso.

Altro caso clinico: due premolari inferiori con difetti circumferenziali simili, trattati entrambi

con membrana non riassorbibile; in uno dei due difetti è stata messa sotto la membrana

idrossiapatite, nell’altro difetto solo il coagulo ematico. Alla riapertura dopo 6 settimane

(per togliere la membrana) si vede il tessuto di granulazione. Dopo un anno clinicamente

stanno entrambi bene; radiograficamente mentre il difetto col solo coagulo ha formato

nuovo osseo indistinguibile da quello circostante, sull’altro sito c’è una netta linea di

separazione tra il materiale innestato ed il tessuto osseo adiacente, una linea

radiotrasparente formata da tessuto connettivo denso quindi dove non l’abbiamo messo

madre natura ha fatto molto meglio dell’idrossiapatite.

C’è una larga letteratura che conferma che c’è solo incapsulamento connettivale (Sthol e

Froum 1987; Barney 1986; Froum 1982); alcuni dicono invece che c’è osteogenesi

(Carranza 1987; Golgut 1990; Cho e Kim 1987) e altri invece dicono che dipende dal

tempo (Moon 1996).

Da cosa dipende la conclusione di Moon? Deriva da uno studio condotto su 7 cani su cui

sono stati usati diversi materiale per riempire dei difetti e si è visto che mentre a tre

settimane il materiale era incapsulato nel connettivo, dopo 56 settimane si era formato

attorno al materiale nuovo osso. È una ipotesi che potrebbe mettere d’accordo le due

teorie (anche se lui è molto dubbioso).

Riassumendo: per quanto riguarda l’idrossiapatite (sia quella densa che quella porosa) le

tasche si riducono di più rispetto al semplice open flap (clinicamente); spesso si ha solo

incapsulamento connettivale senza neo osteogenesi; anche nei casi in cui si ha

formazione di osso attorno alle particelle di idrossiapatite comunque si forma nuovo

epitelio giunzionale.

3)SOLFATO DI CALCIO Ca(SO ) : tra tutti i materiali da innesto (che altro non è se non

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gesso di Parigi) è uno dei migliori che abbiamo a disposizione, soprattutto per la sua

capacità di essere totalmente e rapidamente riassorbibile. Nella storia della letteratura

parodontale, è uno dei materiali più vecchi per riempire i difetti ossei; era passato in

secondo piano perché ci si era resi conto che dopo periodi relativamente brevi veniva

sostituito non da osso ma da tessuto connettivo denso (quello che a volte accade con il

solfato beta tricalcico) quindi era stato accantonato per questo.

Si è sempre attribuita questa scarsa attività osteogenica alla sua rapida riassorbibilità.

Negli anni novanta è tornato alla carica perché da un lato è molto economico e dall’altro

perché un trattamento particolare di questo materiale ha fatto si che il suo riassorbimento

fosse piu lento, facendo in modo che le sue capacità osteogeniche divenissero ben chiare.

È un po’ difficile da impastare (va fatto una specie di cemento), con il problema che il

campo operatorio non deve assolutamente essere umido, quindi se lo si mette nei tessuti

che non è ancora indurito, si riammolla e quindi perde di nuovo la sua capacità di essere

riassorbito un po’ più lentamente e si ritorna al punto di partenza ossia che si riassorbe

troppo in fretta e quindi non osteoconduce; quindi la tecnica migliore è quella di stratificarlo

poco per volta in modo tale che sia indurito una volta che sia messo in sede; ci sono

anche degli acceleranti per farlo indurire prima (si tratta di solfato di potassio al 5%) che

viene fornito insieme alla polvere.

Caso clinico: tasca di 6mm con difetto intraosseo e una componente di 5mm; nella

porzione apicale dai 3mm in giù è a tre pareti mentre i 2mm superiori ha solo una parete. Il

difetto è riempito col gesso e suturato. Il sondaggio da ottimi risultati, il pz voleva mettere

degli impianti in zona quindi abbiamo riaperto sfruttando l’occasione e si è visto che si è

formato nuovo osso, non c’è più traccia del solfato di calcio che è stato completamente

sostituito in qualche settimana da nuovo osso.

Quindi come materiale va benissimo, l’accortezza è che deve essere fatto tutto con calma,

strato per strato, aspettando che lo strato precedente sia indurito e soprattutto un’ottima

preparazione del sito dove va messo: pulito per bene e emostasi completa se no il

materiale si bagna di nuovo e non si risolve niente.

La letteratura è piuttosto scarsa; colui che ha fatto ritornare in auge il solfato di calcio è in

certo John Sottosalvi (???? 01:47:00), riproponendo questo materiale modificandolo

chimicamente in modo da rallentarne il riassorbimento. Difficilmente nella letteratura

parodontale il solfato di calcio viene usato da solo, infatti in uno studio viene usato

miscelato con il DFDBA, il tutto ricoperto da una membrana, perché il solfato di calcio è

Dettagli
Publisher
A.A. 2015-2016
5 pagine
SSD Scienze mediche MED/28 Malattie odontostomatologiche

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher ottavoincluso di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Parodontologia e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi Gabriele D'Annunzio di Chieti e Pescara o del prof Paolantonio Michele.