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La separazione salute/malattia come doppia menzogna
Martino, de nendo la separazione salute/malattia doppia menzogna, le etichette che de niscono stati di malattia e salute possono essere osservate come processi di incorporazione della realtà storica. La biomedicina distingue tra segno e sintomo a seconda del carattere oggettivo o soggettivo della manifestazione impressa nel corpo del soggetto, distinzione che non ha senso alla luce del concetto di incorporazione e di corpo pensante. La tachicardia è certo un segno sico naturale, ma com’è de nibile se non in relazione al rapporto fra l’emozione e un complesso di riferimenti storici, culturali? Nasce un’importante corrente di studi dell’antropologia medica, Scuola di Harvard. A partire da questo, i medici sentono la necessità di riportare la visione della patologia a una visione di tipo esperenziale e sociale. Questo approccio è stato introdotto da Kleiman, l’obiettivo era quello di porre al centro
dell'attenzione dell'antropologia la dimensione culturale dell'esperienza del malessere. Si è sviluppata una riflessione sull'esigenza di elaborare diverse forme di denominazione che rinominassero il fenomeno indicato dalla biomedicina come "malattia". In inglese esistono tre diverse parole per indicare la malattia: "disease" (esperienza soggettiva del malessere), "illness" (definizione biomedica di malattia) e "sickness" (significato sociale dello star male). Questo permette di ragionare sulle diverse prospettive della malattia. Questi tre livelli devono essere tenuti in netta correlazione, senza farne prevalere uno rispetto a un altro. Gli antropologi medici di Harvard si concentrano nella raccolta di informazioni nell'esperienza della malattia e si rivela molto utile. Si concentrano dunque sull'illness, parlando di medicina narrativa (Good). Mettono in evidenza la necessità di raccogliere informazioni dal punto di vista del paziente, leDi salute sono "nozione culturalmente determinata" e "spazio politicamente strutturato". Lo Stato svolge un ruolo centrale nella definizione del concetto di salute, basti pensare alla storia politica del diritto di salute. Se fino ad allora l'attenzione dello Stato nei confronti della salute era motivata dall'esigenza di conservazione di una forza fisica nazionale, del corpo dei lavoratori, adesso la salute si trasforma in oggetto di preoccupazione per gli Stati, non per se stessi, ma per gli individui. L'Organizzazione mondiale della sanità propone una nozione di salute in cui il carattere di sicurezza nazionale rientra come tratto saliente: pur non essendo una malattia, la povertà, intesa come debolezza sociale ed economica, è vista comunque come una mancanza di salute. Negli ultimi vent'anni le disuguaglianze nella possibilità di accesso alla salute sono diventate drammatiche.
Parla di biopolitica: la capacità di uno Stato di misurarsi con la capacità di mantenere la vita. Con biopolitica lui intende il potere dello stato di garantire lo stato di salute, nonché di vita, organizzando ospedali, cliniche. Il concetto di salute e malattia sono quindi connessi con la relazione di potere che vi è in un contesto.
Un decisivo contributo alla comprensione del dramma dell'aids è dato in particolare da studi come quello di Paul Farmer, basati su ricerche etnografiche che analizzano le cause del rischio quotidiano a partire dall'esperienza delle persone che lo vivono veramente. La responsabilità professionale dell'antropologo sta anche nel considerare l'aids come una forma di incorporazione della disuguaglianza sociale. Farmer conduce la sua ricerca ad Haiti; la sua tesi è che ciò che le vittime condividono non sono attributi personali o psicologici, ma l'esperienza di occupare il punto.
più basso della scala sociale in una società non egualitaria. Le vittime della violenza politica per la maggior parte sono povere. Le storie di persone malate e sofferenti narrate dal medico antropologo evidenziano il rapporto tra il potere e il privilegio e le forme di sofferenza, in modo da mostrare come le condizioni di disuguaglianza facciano sì che la salute di alcuni sia resa possibile dalla malattia di altri.
Con l'uso della metafora riesco a esprimere una mia sofferenza (il cuore mi sta scoppiando); la metafora corporea integra aspetti fisici, narrativi e storici che si intrecciano a fronte dell'esperienza della sofferenza. Sembrerebbe che il malessere delle donne consista in un'incorporazione della disuguaglianza di genere. Le emozioni andrebbero considerate come un linguaggio del corpo. L'esperienza emotiva intensa è uno dei momenti in cui si produce quella che de Martino ha chiamato crisi della presenza, intesa come smarrimento della
propria capacità di agire. L'esperienza del dolore. L'antropologia medica si è resa conto della difficoltà di collegare il dolore all'appartenenza culturale. Il dolore è radicato nel soggetto ed è incomprensibile per chi non lo prova, ma la dimensione culturale, sociale, politica e storica risiede nelle metafore usate per comunicare il dolore. Se è vero che ciascuno può attingere al repertorio culturale che possiede per comunicare il dolore, è anche vero che non si può stabilire una correlazione meccanica tra l'appartenenza culturale e la forma espressiva del dolore. Zborowski studiò le componenti culturali in risposta al dolore. Il suo lavoro sottolinea che i soggetti attribuiscono una loro appartenenza sulla base di stereotipi nazionali, ma in realtà la soglia di sopportazione del dolore non è stata statisticamente associata all'appartenenza culturale. Quando ad ammalarsi è loStudioso di antropologia medica, questi si rende conto che l'esperienza personale del dolore è molto diversa dall'osservazione di tale esperienza negli altri. Vivendo il dolore si sperimenta l'impossibilità di una sua condivisione, e ciò svela le illusioni dell'empatia. Per cogliere l'intensità del dolore altrui bisognerebbe diventare l'altro. Il dolore aggredisce il linguaggio, infatti spesso si manifesta sotto forma di lamenti. Il dolore cronico spinge a modi care la vita di chi ne soffre, trasforma le tecniche del corpo.
Quando l'antropologia ha iniziato a studiare la concreta pratica biomedica nei confronti del dolore, è apparso evidente che la biomedicina non ha un'unica visione del dolore, ma la teoria scientifica su cui si basano è la stessa: la teoria del controllo della soglia del dolore. Anestetici, interventi chirurgici che tentano di manipolare la trasmissione nervosa. Dividono dolori per cui si
Può fare qualcosa insenso tecnico e quelli per i quali la tecnica non è efficace.
Che cos'è la biomedicina?
La biomedicina, definita anche medicina occidentale, tende a privilegiare l'aspetto biologico e ridurre la dimensione socioculturale della malattia. Il primo compito che l'antropologia medica ha dovuto affrontare nello studio della biomedicina è stato quello di svelarne il carattere storico-culturale. È difficile definire gli ambiti in cui la biomedicina opera. Gli studi antropologici hanno elaborato un modello di sistema culturale biomedico, fondato su alcuni assunti di base che caratterizzerebbero l'ideologia scientifica della biomedicina. La biomedicina tende a autorappresentarsi attraverso un'identificazione con la razionalità e la verità; nelle analisi antropologiche culturaliste, invece, essa è un sistema di credenze, valori e pratiche culturali storicamente determinate. La biomedicina studia i nostri corpi.
Il corpo, nella sua oggettiva consistenza, è il primo luogo in cui avviene la costruzione dei nostri modi di percepire e vivere. Numerose ricerche etnografiche hanno portato alla luce differenze interne nella vita istituzionale e culturale della biomedicina, mostrando che non esistono schemi concettuali. Nella sua diffusione cosmopolita, infatti, la biomedicina mostra un agglomerato di pratiche culturali diverse, parliamo di pluralismo medico: i medici stessi possono integrare la loro attività terapeutica aderendo ad altre forme di azione medica. Il punto di partenza di uno studio antropologico comparativo delle diverse biomedicine può essere costituito dal riconoscimento di alcune significative differenze nelle effettive pratiche locali. Ad esempio, la differenza di franchezza nella comunicazione della diagnosi di cancro negli Stati Uniti, in Giappone e in Messico. Negli Stati Uniti il simbolo dominante è la speranza, dunque si comunica direttamente al paziente.
La diagnosi con informazioni sul trattamento. In Giappone prevale la pratica di non comunicare direttamente la diagnosi. In Messico si agisce in modo energico per indirizzare il paziente verso le scelte terapeutiche più adeguate. Quello di dire o non dire la verità non si giustifica sul piano scientifico, ma si configura come una pratica culturale. Sono stili di vita culturale, sociale, modi diversi di concepire il corpo; l'idea di una "cultura biomedica messicana" ridurrebbe l'analisi della diversità in biomedicina a una serie di stereotipi nazionali. La definizione di "campo biomedico" deriva dalla definizione di campo data da Bourdieu: il campo è uno spazio sociale entro il quale agiscono specifiche istituzioni. Nella dimensione quotidiana incorporiamo le norme di comportamento stabilite dalle istituzioni che regolano la vita sociale: biomedicina, stato, chiesa, scuola.
; tra ciò che è logico e ciò che è emotivo; tra ciò che è razionale e ciò che è istintivo.