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Salvatore ci racconta un episodio molto forte: fuori da una discoteca 17 ragazzi
hanno stuprato una ragazza. Nelle sue parole si coglie una sorta di banalizzazione
dell'accaduto: "sono solo degli scemi", è l'unico giudizio che riesce a pronunciare
per spiegarci il comportamento del branco, alludendo ad uno sfogo sbagliato solo
perché sproporzionato. L'episodio raccontato è una violenza durissima e umiliante
inflitta ad una giovane donna ridotta preda di una banda maschile. La percezione di
Salvatore ci sembra molto lontana da una presa di coscienza all'altezza della
gravità del gesto.
Tra gli intervistati è ricorrente l'atteggiamento a chiamarsi fuori, di non avvertire un
coinvolgimento o una responsabilità i quanto soggetti appartenenti al genere
maschile. All'indignazione si affianca quasi sempre l'immagine della donna vista
come essere debole ed indifeso. Questa visione della donna è di sicuro alimentata
dalle campagne pubblicitarie, che la rappresentano come un soggetto esposto al
rischio di violenza e quindi bisognoso di controllo e di tutela. Anche i più giovani,
ricevendo messaggi ambigui, anziché essere sostenuti in un necessario processo
di ridefinizione dell'identità maschile, rimangono impigliati in rappresentazioni
fuorvianti.
In un altro blocco di interviste, l'attenzione si focalizza sulle dinamiche della
relazione uomo - donna, in modo da intercettare in questo ambito le matrici della
violenza sessuale. L'immagine che si ricava è quella di una cultura maschile
faticosamente in via di cambiamento.
Marco individua due dimensioni sentimentali e morali della violenza sessuale: la
"mancanza di rispetto" e la cancellazione della "identità umana" della vittima. Due
componenti, queste, troppo a lungo legittimate sul piano giuridico da una
concezione che nel nostro Paese considerava la violenza sessuale un reato contro
la morale e non contro la persona, fino all'introduzione della legge n. 66 del 1996.
Un atteggiamento facilmente rintracciabile nei brani citati è il ricorso alla
"patologizzazione"delle condotte maschili violente. Vi è una sorta di presa di
distanza nei riguardi di un comportamento maschile la cui diffusione sembra
suscitare imbarazzo più che senso di responsabilità (es. Alessandro: "non lo sento
come un mio problema"). Nelle testimonianze, però, viene fuori una sorta di
contraddizione: "il desiderio violento è parte dell'istinto di ogni uomo". Non si tratta
più, quindi, di devianza patologica: molti uomini si comportano in questo modo
perché sono incapaci di "mediare tra istinto e coscienza morale".
Altro elemento importante è la distinzione tra misoginia e patriarcato: la fine di
quest'ultimo ha probabilmente rafforzato il sentimento misogino. Le risposte degli
studenti, infatti, chiamano in causa sentimenti e stati d'animo quali l'orgoglio, la
frustrazione, la paura o una grossa debolezza dell'uomo alla base dell'aggressione
maschile.
Le ragazze propongono la risposta educativa come soluzione più appropriata,
sottolineando la necessità di un'educazione che colmi delle lacune nell'umanità
maschile, che stimoli nei maschi un approccio empatico nei confronti delle donne,
che li aiuti a capire cosa vuol dire essere violentate.
2. "...anche perché si sentono autorizzati".
Ciò che emerge dalle parole delle ragazze è una maggiore articolazione dell'analisi
e una più spiccata capacità di approfondimento. Si rilevano il sentimento del rischio
e il senso di una grave ingiustizia. Il concetto di violenza sessuale si allarga
comprendendo quasi sempre anche la violenza psicologica. Quando viene evocata
una qualche responsabilità femminile, questa è solitamente associata alla
consuetudine della sottomissione, a una debolezza sociale della donna derivante
da un'asimmetria tradizionale dei ruoli. Le ragazze si mostrano consapevoli di
quanto sia diffusa la violenza sessuale. Non si limitano a descrivere scenari e
contesti, ma si soffermano sulle vittime denunciando le conseguenze incancellabili
della violenza subita. Altro aspetto che colpisce nella visione delle ragazze è il loro
puntare il dito sulla famiglia, dove si sperimenta e riproduce la violenza sul genere
femminile.
Flavia, rifiutando la spiegazione della patologia mentale, riporta il discorso sul piano
culturale. Nel suo ordine del discorso ha eliminato dapprima l'ignoranza, poi la
natura, infine individua quella che ritiene la causa più probabile: "la donna non
asseconda ciò che l'uomo vuole". la verità, quindi, va cercata in un rapporto di
potere che si nutre di mancanza di rispetto dell'uomo nei riguardi della donna.
3. "...molte donne hanno paura di...ribellarsi".
Un altro blocco di testimonianze femminili sono un esempio di analisi ed
autoanalisi. Le studentesse rivolgono ko sguardo alle proprie esperienze familiari e
di coppia, nonché ai vissuti osservati nella sfera delle amicizie.
Ofelia vede "la società basata sull'immagine" come causa della maggiore
debolezza delle donne oggi. Ciò perché, rispetto al modello di perfezione che viene
loro imposto, non possono che sentirsi inadeguate e quindi insicure.
Nelle parole di queste giovani donne prevale un senso di preoccupazione e di
vigilanza per quanto concerne la relazione di coppia.
Milena ci dice che "ci vuole forza per denunciare". Lorella parla di "paura" di
"ribellarsi" e di "affacciarsi al mondo" e pone in primo piano il fatto che gli "aguzzini"
sono visti spesso, dalle donne prive di autonomia, anche come una fonte di
"protezione".
4. "...andrebbe insegnato il rispetto".
La parola "rispetto" ricorre frequentemente nelle testimonianze. Il percorso da fare
ha come meta quella "reciprocità di conoscenza" tra i due generi che "ancora oggi,
nella maggioranza dei casi, non esiste". Bisogna, quindi, sviluppare nei maschi quel
processo che porta a rovesciare la dimensione opaca e profonda dove ha radici la
misoginia. Ma è difficile confidare in una prospettiva evolutiva certa: sono le
ragazze le più pessimiste a riguardo.
CAP. 3: L'idea di famiglia/e, convivenze, e nuove tipologie di coppie.
1. "Ma l'importante...la cosa principale, la cosa al centro è l'amore
e...l'importante è che ci sia l'amore che lega quest'uomo e questa donna
e poi magari l'amore per i figli".
Quasi tutti gli intervistati mostrano di concepire la famiglia in termini dinamici e
positivi. La formalizzazione del vincolo attraverso il matrimonio perde d'importanza,
e nei casi in cui è dichiarata la preferenza per il matrimonio, questa sembra essere
dettata da ragioni di ordine estetico - rituale. Altro elemento rilevante è la
dimensione amicale dei rapporti familiari (friendly family).
Davide si sofferma sulla simmetria che governa le relazioni interpersonali all'interno
della propria famiglia. C'è assenza di tensione, conflittualità: traspare un senso di
appagamento e di sicurezza.
Alessandro sostiene che la "famiglia standard", intesa come modella tradizionale,
non esiste più. Quello che basta a costruire quel tipo di convivenza definibile
"famiglia" è una base fatta di "sentimenti". Sono questi gli elementi che la rendono
"un luogo necessario", ma libero di organizzarsi secondo molteplici tipologie.
Giorgio si dichiara appartenente al movimento LGBTQ (Lesbian Gay Bisexual
Transexual Queer). Ci espone una radicale alternativa alla famiglia, coerentemente
argomentata sia sul piano del principio ("la famiglia è quella che si sceglie") che sul
versante dell'esperienza personale.
2. "Cioè, comunque ritorni sempre là e , se hai comunque dei problemi
con la tua famiglia, li devi risolvere perché quelli te li trovi per tutta la
vita, cioé non passano mai, insomma".
Anche tra le ragazze l'idea di famiglia appare ancorata principalmente a legami di
amore, comprensione e solidarietà. Il modello di famiglia a cui si aspira viene
spesso identificato con la propria famiglia di origine.
Mara per desiderio di autonomia si è distaccata dalla sua famiglia di origine. per
quanto esprima affetto per genitori e fratelli, non è il legame con loro a ispirare il
suo modello: lei opta per la non istituzionalizzazione del vincolo coniugale e
l'allargamento a membri non parentali. Parla, infatti, di convivenza non formalizzata;
per lei la famiglia è quella che ciascuno si sceglie.
Il matrimonio rimane un atto significativo solo per alcune delle nostre intervistate.
Ciò che comunque rimane invariato è la simmetria tra partner, la reciprocità dei
ruoli nel rapporto di coppia e la condivisione dei compiti.
Letizia denuncia il rischio di "condizionamenti" e "interferenze" genitoriali nei
confronti dei figli. Definisce la famiglia "uno dei punti di riferimento accanto agli
amici e a una persona speciale".
3. "Non vedo perché due persone, cioè una coppia omosessuale non
deve godere degli stessi diritti di una coppia eterosessuale, né tanto
meno una coppia non sposata deve avere diritti diversi da una coppia
sposata".
Questo paragrafo riporta le opinioni relative alle cosiddette unioni civili e al dibattito
sulla parità dei diritti tra persone eterosessuali ed omosessuali (Pacs, Dico). La
prima espressione che si ricava dalle testimonianze è una scarsa informazione a
riguardo. La posizione che viene espressa in prevalenza risulta improntata ad un
moderato accordo. Non manca qualche voce indignata verso l'ingerenza della
chiesa o verso l'inconcludenza delle procedure e dei dibattiti parlamentari. Ne
risulta l'immagine di una classe dirigente ipocrita e per niente laica. Il paragone che
viene fatto da alcuni degli intervistati con il problema degli immigrati, rivela una
certa consapevolezza nel sottolineare che fenomeni quali il razzismo e il sessismo
hanno come matrice comune il rifiuto del diverso. Tale consapevolezza sembra
avere a che fare con una particolare percezione della società italiana, vista in netto
ritardo rispetto all'Europa per quanto riguarda i diritti civili.
4. "Beh, è un'evoluzione della società...un'evoluzione importante. Certo,
viene meno quello che è il concetto classico di famiglia, però bisogna
accettare l'idea che non esiste soltanto più quel tipo di famiglia).
Per quanto concerne il dibattito sulle coppie omosessuali, Mara e Miriam si