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Nouville, 1953).

9. Altre caratteristiche.

• Possono affrontare problemi particolari (es.: il

diverso rendimento dei lavoratori di alcune

aziende) o l’analisi generale di un sistema (v. M.

Crozier, Il fenomeno burocratico, 1969).

• La tendenza è quella di elaborare modelli formali

di funzionamento dei sistemi.

10. I falsi problemi metodologici.

• Il fatto che il sociologo sia un essere sociale non

comporta una sua capacità di conoscenza

intuitiva della realtà sociale.

• I fenomeni sociali non sono immediatamente

trasparenti.

• La distinzione tra “comprensione” (Verstehen) e

“spiegazione” (Erklarën) è discutibile e poco

fondata.

11. La comprensione è solo un

momento della ricerca sociale.

• Si veda la ricerca sugli immigrati polacchi in

Francia (Centro di sociologia europea, 1961). In

questo caso, si dimostra come ciò che a noi

sembra comprensibile in quanto esseri sociali

non corrisponde affatto al risultato dell’indagine

scientifica.

• Si legga il testo di M. Halbwachs su

“conoscenza scientifica” e “conoscenza volgare”.

12. La specificità del fatto umano.

• Dal fatto che l’essere umano sia capace di

desideri, aspettative e calcoli, non deriva che la

sociologia debba servirsi di un linguaggio

diverso da quello delle scienze naturali.

• I comportamenti degli attori sociali possono

essere tradotti in un linguaggio (variabili e

relazioni tra variabili) in cui la soggettività

sparisce.

13. Il problema della totalità.

• Per G. Gurvitch la società è una totalità di

elementi interdipendenti e come tale non è

comprensibile senza afferrarne tutti gli aspetti.

• Ma, in realtà, solo per le società meno

complesse è possibile spiegare i mutamenti a

partire dalla totalità della realtà sociale; per le

società industriali è inevitabile far ricorso a

modelli che danno la preminenza ad alcuni

fattori. L’idea di totalità si pone come una

nozione limite senza significato operativo.

14. I metodi quantitativi.

• Le ricerche quantitative sono quelle che

permettono di comparare le informazioni;

• Gli oggetti osservati (individui, gruppi,

istituzioni…) devono essere comparabili;

• Questa è la condizione della enumerazione e

dell’analisi quantitativa dei dati.

15. Le fasi della ricerca.

1. Ipotesi

2. Piano di osservazione

3. Costruzione delle variabili

4. Analisi delle relazioni tra variabili

16. Le ipotesi.

• In quanti modi può essere formulata

un’ipotesi?

1. A priori;

2. Facendo ricorso a dati già disponibili (es.:

Durkheim, Il suicidio, 1897);

3. Facendo ricorso a una pre-inchiesta o

inchiesta pilota (es.: i francofortesi e lo studio

sul rapporto tra personalità autoritaria e

antisemitismo).

17. Il piano di osservazione.

Tipi di dati:

a) imposti (es.: dati tratti dalle statistiche ufficiali;

documenti biografici; verbali di riunioni; discorsi

ufficiali). Lo svantaggio è quello di non trovarvi le

informazioni cercate.

b) costruiti dal ricercatore stesso (es.: dati raccolti

mediante l’inchiesta-sondaggio). Il vantaggio è

quello di poter prendere in considerazione tutte

le variabili previste dall’ipotesi e di stabilire

relazioni tra di loro.

18. Tipi di inchieste-sondaggio.

• Sondaggi atomistici → variabili individuali (età, sesso,

professione…).

• Sondaggi contestuali → correlazione tra variabili

individuali e contestuali (es.: ricerca di Lipset sul sindacato dei

tipografi o di Coleman sull’educazione).

• Sondaggi istantanei → rilevazioni effettuate in un unico

momento.

• Sondaggi longitudinali → replica delle osservazioni

sullo stesso campione in diverse e successive riprese

(es.: studi di sociologia politica; analisi della mobilità sociale e

professionale).

19. Scelta della popolazione di

riferimento.

Cambia a seconda dello scopo

dell’inchiesta e quindi della natura

logica delle questioni:

• Descrizione → popolazione data.

• Spiegazione → popolazione

particolare (v. es. p. 44).

20. La costruzione delle variabili.

• Le variabili nascono in ambiente matematico e

fisico come un tipo di misurazione (metrica).

• Nelle scienze sociali sono concetti che

consentono di classificare determinati insiemi.

• Si distinguono in nominali, ordinali, quantitative.

21. Tipi di variabili.

• Nominali → es.: sesso (attributo a

due valori).

• Ordinali → es.: posizione

socio-professionale o livello di reddito

(ordine).

• Quantitative → es.: età (classe

definita da una misura).

22. Trasformare i concetti in indici.

Lo schema di Lazarsfeld

1. La rappresentazione del concetto a livello di

immagine

2. La specificazione del concetto

3. La scelta degli indicatori

4. La formazione degli indici

23. 1. La rappresentazione del

concetto a livello di immagine

I concetti di “gestione” e di “intelligenza” sono in

partenza solo delle immagini o delle

impressioni generali, che non mi consentono

alcuna misurazione.

Es.: identifico la “gestione” con una dimensione

che favorisce il rendimento e la produttività; l’

“intelligenza” con una forma di vivacità.

24. 2. La specificazione del

concetto

In questa fase scompongo la nozione di partenza

nei suoi “aspetti” o “dimensioni”, perché un

concetto corrisponde sempre a un insieme

complesso di fenomeni.

Ciò può essere fatto sia per via deduttiva che per

via induttiva (empirica).

Es.: le componenti della nozione di “gestione” in

una fabbrica aereonautica.

25. 3. La scelta degli indicatori

Gli indicatori corrispondono a quelle dimensioni

che vengono ritenute importanti per misurare un

determinato fenomeno.

Es.: l’esperienza suggerisce alcuni tratti che

esprimono la “prudenza” di un individuo. Ma la

tecnica di misurazione della prudenza consiste

nell’utilizzare il maggior numero possibile di

indicatori, perché essa opera in termini di

probabilità e non di certezza.

26. 4. La formazione degli indici

In questa ultima fase va costruita una misura unica

sulla base delle informazioni elementari.

Es.: la variabile adorniana di “autoritarismo” come

sindrome costituita da 9 dimensioni (v. p. 48);

la variabile “individualismo/egoismo” nel lavoro di

Durkheim sul suicidio;

la variabile “demoralizzazione individuale” in

Thomas e Znaniecki.

27. Le misure in sociologia

• Il loro grado di validità non è lo stesso che nelle

scienze naturali: la scelta degli indicatori,

infatti,può essere sempre diversa e più ampia.

• Quale la soluzione? Bisogna rassegnarsi ad una

sorta di arbitrarietà? O piuttosto, non esagerare

questo inconveniente?

• La risposta è nell’esempio tratto da Lazarsfeld,

incentrato sulla struttura delle relazioni tra

variabili (v. pp. 52-53).

28. La spiegazione sociologica.

• Le correlazioni sono il punto di partenza

dell’analisi sociologica.

• Prima di Durkheim, la prassi era quella di

identificare una relazione statistica tra variabili

con una relazione causale (es.: i positivisti

italiani Lombroso e Ferri).

• Durkheim: come interpretare il rapporto tra

suicidio e temperatura? (v. grafico p. 55).

29. Non semplice relazione

statistica, ma modello causale.

• L’esempio di Durkheim dimostra come la

spiegazione risiede in un sistema di relazioni,

non in una relazione diretta di causa-effetto.

• Altro esempio da tener presente quello di A.

Girard (La réussite sociale, 1965). La relazione

tra reddito familiare e successo scolastico non è

diretta, ma richiede la variabile “istruzione del

padre” per costruire un sistema di relazioni

sufficientemente esplicativo.

30. L’analisi multivariata.

• Quali situazioni si possono configurare quando

si introduce un’altra variabile nella relazione tra

due variabili?

• Es.: Lazarsfeld analizza il rapporto tra età dei

soggetti (giovani e vecchi) e tre tipi di

trasmissioni radiofoniche (religione, politica,

musica classica). Il ricorso a una variabile “test”

(livello d’istruzione) permette di elaborare una

struttura causale complessa (effetti di

interazione), che si allontana dall’intuizione

iniziale (v. schemi pp. 58-61).

31. La logica dell’analisi

multivariata.

• L’analisi multivariata si estende naturalmente a

4, 5 o più variabili: lo suggerisce la stessa

struttura causale a 3 variabili.

• Es.: indagine sulla scelta del futuro

professionale da parte di un campione di

studenti. Dinanzi al fatto che alcuni hanno

un’idea precisa, altri no, il sociologo ipotizza una

pluralità di fattori. Il problema logico è quello di

definire la struttura causale che è sottesa alle

variabili ipotizzate.

32. Il modello ipotetico-deduttivo.

• È uno strumento più potente

dell’analisi multivariata.

• Si parte dalla formalizzazione dei fatti

e dei comportamenti e

successivamente, per via deduttiva,

se ne calcolano le conseguenze

statistiche (es.: Boudon, Istruzione e

mobilità sociale, 1979).

33. Procedure matematiche per la

costruzione degli indici.

• Come effettuare una classificazione dello status

delle famiglie?

• Tenendo conto di vari indicatori (reddito,

professione del capofamiglia, abitazione etc.).

• Come assicurare la validità degli indicatori?

• La risposta sta nell’analisi delle classi latenti di

Lazarsfeld.

34. L’esempio delle classi latenti

• Si suppone che esistano due classi (ipotetiche,

quindi inosservabili, perciò latenti): una bassa e

l’altra elevata e che ciascuno degli individui del

campione appartenga all’una o all’altra.

• A partire da questa premessa, e disponendo di

alcuni indicatori, si perviene a un sistema di

equazioni che permette di misurare la quantità π

(proporzione delle persone classificate

positivamente rispetto all’indicatore) e quindi la

validità degli indicatori.

35. Modelli matematici per l’analisi

delle relazioni tra variabili.

&bul

Dettagli
Publisher
A.A. 2010-2011
47 pagine
1 download
SSD Scienze politiche e sociali SPS/07 Sociologia generale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher marilunica di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Metodologia della ricerca sociale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Salerno o del prof Selvaggio Maria Antonietta.