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L’ESSERE NELLE STORIE
5. Introduzione
1)
I racconti “ontologici” hanno natura “ultima”, non ulteriormente riconducibile a qualcosa
d’altro di più originale e sostanziale. Il senso di identità deriva proprio dal proprio essere
iscritto nel grappolo di storie che si è stati e si è: un “Essere nelle storie”, appunto.
L’identità come problema
2)
L’attribuzione di una natura ontologica alle storie autobiografiche è una delle risposte
attualmente più convincenti al problema del soggetto e dell’identità. Il termine “identità” ha
una radice che rimanda a un’idea di stabilità nel tempo, mentre uno degli snodi
problematici dell’umanità a partire dal secolo scorso è stato proprio la “scoperta” della sua
natura molteplice e in costante evoluzione.
L’elevata complessità delle società moderne si configura proprio come differenziazione e
moltiplicazione dei territori e delle sfere di significazione. Il sé della modernità si configura
come “un progetto riflessivo al quale l’individuo costantemente lavora”.
Aspirare a un’identità individuale “sufficientemente stabile e coerente” è privilegio di una
porzione ristretta della popolazione mondiale.
L’ipotesi di pensare il sé come “molteplice” trova la propria origine moderna nel
riconoscimento compiuto da James riguardo alla natura sintetica dell’identità risultante dai
tre livelli di declinazione del sé: quello materiale, quello sociale e quello spirituale.
Il sé materiale è il sé relativo alla dimensione “fisica” del soggetto.
Il sé sociale è invece dato dall’insieme delle immagini che gli altri restituiscono all’individuo
in conseguenza delle sue appartenenze, dei ruoli sociali e del suo relazionarsi.
Il sé spirituale corrisponde, infine, alla dimensione più privata e interiore dell’identità che il
soggetto può cogliere attraverso l’atteggiamento autoriflessivo e introspettivo.
La prospettiva temporale immagina il sé come segmento tra un passato, un presente e un
futuro; la prospettiva che si basa su una metafora “spaziale” riconosce invece parti del sé
centrali e autentiche, distinte da altre più periferiche e meno profonde (McAdams).
È all’inizio di questo scenario che, a partire dalla metà degli anni ’80, si è sviluppata la
proposta riconducibile al paradigma narrativo. Il pensiero narrativo, oltre che una forma di
organizzazione dell’esperienza e della conoscenza, è anche la modalità attraverso cui gli
esseri umani danno coerenza alla propria vita e alla propria identità.
Eventi, episodi, situazioni e declinazioni del sé acquistano significato solo in quanto
elementi della trama complessa su cui si dispiega l’autobiografia del soggetto. Secondo
questa prospettiva, il sé va concettualizzato come “… un progetto simbolico che l’individuo
costruisce attivamente sulla base dei materiali simbolici a sua disposizione.” (Thompson).
La forma narrativa è dunque “l’atto privilegiato di generazione del significato per mezzo del
quale gli esseri umani scolpiscono la propria identità” (Sclater).
Un’ulteriore qualità che può essere riconosciuta alla proposta narrativa è la possibilità di
pensare al soggetto come un individuo situato all’interno di un contesto sociale e culturale
che gli fornisce le risorse simboliche e narrative per interpretare la realtà e sé stesso.
L’identità narrativa
3) 11
Il sé proposto dalla prospettiva narrativa è un sé dinamico, che emerge nel corso del
tempo come risultato di un’attività organizzatrice di tipo narrativo, attuata sulle
innumerevoli esperienze di vita. La sua permanenza nel tempo è una permanenza
dinamica.
Ricoeur tematizza tutto questo distinguendo tra identità Idem e identità Ipse. Come
esempio di “ipseità”, Ricoeur cita la promessa, attraverso cui ci si assume l’onere di
mantenere la parola data “nonostante tutto”. Questo considera la possibilità che possa
passare molto tempo e possano intervenire molti cambiamenti. Ciò che rende il sé che ha
promesso simile al sé che mantiene la promessa, è un’identità “di mantenimento”.
Ricoeur distingue dunque tra ciò che rimane sempre identico a sé stesso (identità Idem) e
ciò che invece si mantiene nel tempo attraverso la propria mutabilità (identità Ipse).
L’identità idem corrisponde alla descrizione dell’identità come “sostanza”. L’identità ipse è
invece quella che emerge, ricreandosi continuamente, dal processo costruttivo e
ricostruttivo.
Il baricentro non ha massa, non ha colore, né altra proprietà fisica. Il baricentro non
corrisponde ad alcun luogo o punto fisico. Allo stesso modo, suggerisce Dennet, il sé non
è rintracciabile nel cervello né nelle proprietà specializzate di un gruppo di cellule. Il sé
sarebbe dunque una sorta di “personaggio finzionale” con l’attività organizzatrice della
mente costruisce come un’emergenza narrativa.
Bruner la definisce come un’attività di ricerca metacognitiva attraverso cui il sé viene
costantemente costruito e ricostruito “retrospettivamente”.
Damasio afferma che il sé non è rintracciabile in un unico sito cerebrale. Una prospettiva
unitaria e coerente è il risultati di “… uno stato biologico relativamente stabile […] Sorgenti
della stabilità sono la struttura e il funzionamento dell’organismo e gli elementi in
evoluzione dei dati autobiografici”. Il materiale presente nella memoria autobiografica del
soggetto si integra incessantemente con quello associato alla “memoria” del possibile
futuro e alle esperienze che viviamo. La soggettività (la capacità dell’organismo di
possedere stati intenzionali di ordine superiore) emerge in modo simile secondo Damasio
“… quando il cervello produce non solo immagini di un oggetto, non solo immagini delle
risposte dell’organismo all’oggetto, ma immagini di un organismo nell’atto di percepire un
oggetto e di rispondervi”.
Clewett rivede la proposta di Dennett proponendo di far corrispondere i baricentri, non ai
diversi sé, ma a configurazioni identitarie più ricche e complesse (“sub-personalità”
associate sia con i ruoli e i contesti sociali, sia con i ricordi autobiografici).
Mancuso e Sarbin propongono di declinare la distinzione tra Io e Me all’interno della
prospettiva narrativa, riconoscendo così nell’attività organizzativa dell’Io la voce del
soggetto narrante (autore) e nel Me l’agente di una sequenza narrata (protagonista).
McAdams afferma che il selfing è un processo metacognitivo in grado di sintetizzare,
unificare e integrare tutti i diversi “materiali” percettivi.
Le diverse teorie sull’identità sostanzialmente convergono nel riconoscere nell’Io le
funzioni organizzatrici connesse con i processi cognitivi. Esso può essere inteso come “…
l’insieme dei processi cognitivi di tipo razionale che trasformano la varietà, l’oscillazione e
il flusso costantemente modificato degli stimoli in un’esperienza organizzata e coerente”
(Siri). Tra le attività principalmente svolte dall’Io vi sarebbe in particolare la “funzione
sintetica”.
Meno unanimemente definito e più controverso è invece il concetto di sé a cui Siri
riconosce sostanzialmente due dimensioni integrate, aventi rispettivamente natura
soggettiva e oggettiva. Il sé soggettivo comprende l’insieme dei tratti e di
autorappresentazioni che si generano nel moment in cui l’individuo rivolge la propria
attenzione a sé stesso (immagini di sé). Il sé oggettivo sarebbe invece associato ad un
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insieme di dinamiche e processi specifici di tipo prevalentemente affettivo ed emozionale.
È soprattutto un sé relazionale.
Se l’Io è un processo costruttivo di tipo prevalentemente narrativo, il sé è il prodotto di
questo processo ed è costituito da tutti quegli attributi affettivi, materiali, sociali o spirituali
che l’individuo riconosce come propri. La molteplicità delle appartenenze, delle sfere
sociali e delle situazioni, ha come effetto la grande moltiplicazione dei sé possibili.
Il Sé (unitario) è probabilmente la più notevole opera d’arte che noi produciamo,
sicuramente la più complessa.
Dimensioni e processi dell’identità narrativa
4)
L’identità è dunque il risultato di un’attività metacognitiva attraverso cui i diversi sé in cui si
declina l’esperienza vengono costantemente integrati in un “tutto” narrativo.
Le principali dimensioni su cui si dispiega la molteplicità dei soggetti sono quella
“diacronica” del tempo, e quella “sintonica-situazionale”.
Alla prima dimensione appartengono i molti sé che siamo stati, concretizzati negli infiniti
episodi.
Afferisce invece alla dimensione “situazionale”, l’insieme dei sé prodotti dalle
appartenenze sociali e relazionali entro cui siamo effettivamente o potenzialmente
impegnati.
Infinite sono le combinazioni che potremmo dare agli episodi della nostra vita qualora si
presenti l’occasione e uno stesso episodio potrebbe trovare collocazione e assumere
significati diversi a seconda del tema della storia. Ogni attività narrativa attualizza e
trasforma in oggetto simbolico reale ciò che prima era solo una traccia mnemonica.
Il sé attuale decide, seleziona e riorganizza i ricordi relativi a ciò che è stato, in un
processo ricostruttivo e costruttivo di natura prevalentemente riflessiva.
All’interno di questo processo, tuttavia, non tutte le storie che siamo stati sono ugualmente
disponibili e utilizzabili. Esistono molte storie della vita che pur essendo iniziate molto
tempo fa, sembrano tuttora in corso di sviluppo. Trzebinski parla a questo proposito di
trame narrative “chiuse” e “aperte”.
Ogni sé attuale è dunque immaginabile come il punto di convergenza o come il baricentro
di un insieme estremamente vasto di storie collocabile nel qui e ora dell’esperienza. Il
numero