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CLASSIFICAZIONE DELLE FORME DI GOVERNO
Esistono una pluralità di classificazioni di forme di governo, alcune più obsolete
mentre altre più moderne. Alcune forme di governo infatti non appaiono in grado di
operare una valida distinzione tra quelle vigenti nello Stato contemporaneo; così è per
il criterio relativo al modo con cui viene scelto il titolare del potere sovrano, in
base al quale le forme di governo si distinguono in dirette o rappresentative, a
seconda che il titolare del potere non derivi oppure derivi la propria investitura dalla
volontà di altri soggetti (quali il popolo), ma anche per il criterio del numero dei
soggetti sovrani, che porta alla classificazione delle forme di governo in pure o
miste, a seconda che vi sia un unico organo al vertice del potere o questo sia ripartito
tra più organi.
Criterio certamente più importante e attualmente utilizzato è quello relativo al grado
di separazione esistente tra i poteri di vertice, e che quindi distingue la forma di
governo in “presidenziale”, ossia a separazione rigida dove tra esecutivo e
legislativo, entrambi legittimati dal voto popolare, non esiste un rapporto di fiducia
ma bensì un sistema di controllo reciproco (check and balances), che coinvolge anche
il terzo potere giurisdizionale, che permette di limitare un possibile ed eccessivo
accentramento di poteri nelle mani di un unico organo; in forma di governo
“parlamentare”, ossia a separazione flessibile in quanto basata sulla collaborazione
tra i poteri e nella quale il Governo deriva dal Parlamento ed è legato a questo da un
rapporto di fiducia. E infine in forma di governo “direttoriale” o a collaborazione
iniziale, in quanto il Governo si configura come organo eletto direttamente dal
Parlamento, ma poi è svincolato da qualsiasi rapporto di soggezione nel corso del
mandato.
Altro criterio ampiamente utilizzato è quello che si basa sull’individuazione
dell’organo titolare dell’indirizzo politico, cioè l’attività volta all’individuazione e
al perseguimento di determinati fini politici posti, i quali condizionano l’attività di
tutti gli organi istituzionali. Si distinguono la forma di governo “costituzionale
pura”, all’interno della quale la titolarità dell’indirizzo politico viene attribuita al
Capo dello Stato (monarchia o presidenziale), in forma di governo “costituzionale
parlamentare” (monarchica o repubblicana) nella quale titolarità dell’indirizzo
politico viene affidata al raccordo tra Governo e Parlamento e quella “costituzionale
direttoriale” (repubblicana) all’interno della quale titolare dell’indirizzo politico è un
organo collegiale che svolge congiuntamente le funzioni di Governo e di Capo dello
Stato. A tale classificazione possono però essere rivolte due diverse critiche: in primo
luogo che essa inserisca nella stessa categoria esperienze diverse, come la monarchia
costituzionale e il presidenzialismo, ma la critica più rilevante è quella relativa al
fatto che tale criterio sia di incerta applicazione, in quanto l’attività di indirizzo
politico si configura come un’attività complessa, il cui artefice principale nelle forme
di governo contemporanee è l’organo di vertice dell’esecutivo, ma alla quale
partecipano in varia misura anche altri organi, a cominciare da quello legislativo. Non
è un caso perciò che, tale criterio, sia stato riproposto ma in combinazione con altri.
Una distinzione che sicuramente ha avuto più fortuna è quella relativa alle forme di
governo monistiche o dualistiche. Tuttavia tale distinzione è anche forte di
incertezza in quanto vari sono i criteri che ne vengono posti a fondamento; una parte
della dottrina utilizza il criterio della composizione del potere esecutivo e
distingue, a seconda che al suo vertice sia posto un unico organo (il Governo o il
Capo dello Stato) o vi siano entrambi gli organi, tra forme di governo ad “Esecutivo
monista” (presidenziale, parlamentare e direttoriale) e ad “Esecutivo dualista”
(parlamentare, semi parlamentare e semipresidenziale). Da notare che la forma
parlamentare è inserita in entrambe le tipologie di forma di governo, in quanto la
figura del Capo dello Stato (in Italia incarnata dal Re prima e dal Presidente della
Repubblica poi) è solo formalmente titolare del potere esecutivo, di cui può avvalersi
soltanto nelle situazioni di crisi del sistema politico ed istituzionale mentre
normalmente funzioni di rappresentanza dello Stato, di garanzia e di controllo. Il
criterio di distinzione tra monismo e dualismo più convincente però è quello relativo
alla legittimazione degli organi posti al vertice del potere esecutivo e di quello
legislativo. Pertanto risultano monistiche le forme di governo nelle quali solo il
Parlamento è direttamente legittimato e quindi espressione diretta del corpo elettorale
e dalla quale deriva a sua volta il Governo (che è quindi legittimato indirettamente) e
l’elezione del Capo dello Stato se non coincide con il Governo stesso, come avviene
in Italia, mentre risultano dualistiche quelle forme di governo nelle quali i due organi
di vertice dell’esecutivo e del legislativo hanno una distinta legittimazione, come
negli Stati Uniti. Tra le prime rientrano esperienze come quella direttoriale e
parlamentare, mentre nelle seconde esperienze come quella presidenziale,
semipresidenziale e semi parlamentare. Alle forme di governo dualistiche viene
attribuita la capacità di garantire l’equilibrio tra organo legislativo ed esecutivo;
tuttavia molto spesso forme di governo quali quella presidenziale vigente negli Stati
Uniti, vengono accusate di essere caratterizzate per uno squilibrio a vantaggio del
Presidente, anche se talvolta con eccezioni.
A tale criterio di classificazione di forme di governo, possiamo affiancare quello che
prevede una distinzione e un criterio basato sulla derivazione popolare o meno del
Governo, che come già visto permette di distinguere le forme di governo in: a
legittimazione diretta (democrazie immediate) e a legittimazione indiretta
(democrazie mediate). Nelle prime il Governo proviene direttamente dal voto del
corpo elettorale (come con i Gran collegi degli Stati Uniti), con il quale si instaura un
rapporto di fiducia che si sovrappone a quello con il Parlamento, configurandosi
quindi come un effettivo “potere governante”. Nelle seconde invece il Governo
deriva dal Parlamento (come in Italia), e quindi dagli accordi tra i partiti, e per questa
ragione risulta debole e privo di un’adeguata guida. Di queste, solo le forme di
governo a legittimazione diretta dell’esecutivo danno piena attuazione al principio
della “sovranità popolare”, in quanto attribuiscono al popolo la scelta politica
fondamentale, mentre nelle altre il potere del popolo viene ad essere semplicemente
delegato ai partiti. Ne deriva che tra la forma di governo presidenziale fondata sulla
legittimazione diretta dell’esecutivo e quella parlamentare la distanza si accorcia
notevolmente, in quanto quest’ultime si configurano quasi come forme di governo
obsolete ed estranee all’autentico spirito di un sistema democratico.
Il criterio della derivazione popolare o no del governo ci permette di descrivere
un’apia gamma di esperienze di forme di governo. Ma per avere un quadro completo
di ciò che ci circonda, bisogna aggiungere a tale criterio un altro metodo di
classificazione di forma di governo, che si basa sulla nozione giuridica di “rapporto
fiduciario” tra Governo e Parlamento; tale strumento serve infatti come controllo
permanente del Parlamento sul Governo, che trova la sua sanzione nella mozione di
sfiducia e nell’obbligo di dimissioni di quest’ultimo, ma anche al Governo per capire
durante il proprio mandato se può ancora contare sull’appoggio del Parlamento,
attraverso lo strumento della questione di fiducia. Tale distinzione ci permette infatti
di operare un’altra classica bipartizione tra forma di governo parlamentare, nel quale
tale strumento è ampiamente previsto per il pieno svolgimento dei poteri esecutivi, e
forma di governo presidenziale, priva di tale strumento di controllo preventivo.
Combinando il criterio di natura del rapporto tra Parlamento e Governo e il criterio
della derivazione del Governo è possibile classificare le forme di governo in sei
categorie: monarchia costituzionale, governo parlamentare, governo presidenziale,
governo direttoriale, governo semipresidenziale e governo semi parlamentare. Nella
monarchia costituzionale naturalmente, non vi è alcun rapporto fiduciario tra
Parlamento e Governo e i ministri sono responsabili nei confronti del Capo dello
Stato monarchico, che è titolare del potere esecutivo e dell’indirizzo politico. La
forma di governo parlamentare è invece caratterizzata da un voto di fiducia, nel senso
che il Governo deriva dal Parlamento ed è politicamente responsabile nei suoi
confronti, e il Capo dello Stato è un monarca o un Presidente eletto da un organo di
tipo parlamentare, che non partecipa alla determinazione dell’indirizzo politico. La
forma di governo presidenziale invece, non prevede il rapporto di fiducia e ne il
potere di scioglimento del Parlamento e il Presidente, investito nella carica del
popolo, è titolare dell’indirizzo politico. La forma di governo direttoriale prevede
invece che il Governo venga eletto dal Parlamento, ma non può essere sfiduciato da
quest’ultimo durante il corso del mandato, e svolge anche le funzioni del Capo dello
Stato. La forma di governo semipresidenziale suppone che il Governo venga invece
nominato dal Presidente eletto a suffragio universale (nella V Repubblica francese dal
Presidente della Repubblica), ma che tale Governo allo stesso tempo sia
politicamente responsabile nei confronti del Parlamento. Infine la forma di governo
semi parlamentare, prevede che vi sia un rapporto di fiducia, ma il primo ministro
viene eletto dal popolo, separatamente dal Parlamento e vige la regola per cui il
ricorso al voto di sfiducia o allo scioglimento anticipato del Parlamento comportano
la rielezione dei due organi. Di queste sei forma di governo, la prima ricopre solo
valenza storica, mentre le altre cinque si sono manifestate nello Stato democratico
contemporaneo, ma di queste le prime tre sono nate nello Stato liberale.
1) La monarchia
La monarchia costituzionale (anche denominata “monarchia limitata” in quanto
esiste una Carta costituzionale che rappresenta un limite per il monarca) è la forma di
governo che caratterizza il passaggio dallo Stato assoluto allo Stato liberale. Si
afferma dapprima, come già accennato, in Inghilterra a