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MANIERISMO IN VENETO

La penetrazione e la diffusione del gusto manierista in ambito lagunare coinvolse anche artisti che, presero

parte alla trasformazione della cultura pittorica veneta. Tra di essi si distingue PARIS BORDON che aderì a

quell’orientamento colto e raffinato che la maniera aveva introdotto negli ambienti di corte, adottando

nelle sue opere ampi e suggestivi scenari architettonici, riccamente ornati con motivi decorativi.

La “Consegna dell’anello al doge” (1545) [pag.550] mostra come il Bordon utilizzasse gli schemi della

prospettiva teatrale, per ampliare lo scenario architettonico in funzione di una maggiore articolazione della

scena, che si sviluppa in profondità secondo una complessa progressione di piani.

- Tra le personalità artistiche più sensibili al gusto manieristico, che influirono sul rinnovamento della

pittura veneta, ANDREA SCHIAVONE, pittore e incisore, diede un contributo determinante alla diffusione

dell’eleganza formale e dei ritmi lineari propri della maniera emiliana, in particolar modo del Parmigianino.

Nell’”Adorazione dei Magi” (1547) [pag.548] , Schiavone riuscì a fondere l’eleganza decorativa dei ritmi e

delle torsioni tipiche di Parmigianino con preziose soluzioni cromatiche di ascendenza veneta in una

composizione che, incentrata sulla sinuosa colonna tortile, si addensa in superficie annullando qualsiasi

effetto di profondità e di plasticità.

Tintoretto

Jacopo Robusti, figlio di un tintore di panni, da cui derivò il soprannome, durante la sua formazione a

Venezia seppe cogliere le novità delle problematiche del plasticismo tosco-romano introdotto da

Pordenone e coltivare lo studio dell’opera di Michelangelo, e degli scritti teorici di Sebastiano Serlio specie

per l’elemento scenico e teatrale, che divenne uno dei dati più caratteristici della produzione di Tintoretto.

Altra componente fu la fluidità di stile di Andrea Schiavone.

-“Miracolo di San Marco” (1548): [pag.532] qui vengono assimilati tutti questi elementi formali, egli riuscì a

rielaborarli in modo assolutamente originale nella rappresentazione dell’opera rivoluzionaria per la sua

novità, che suscitò fortissima impressione imponendo l’artista sulla scena veneziana. Vi si narra l’episodio di

un servo che, recatosi a venerare le reliquie di San Marco, venne condannato dal padrone all’accecamento

e alla frattura delle gambe, ma restò illeso per l’intervento del Santo. Gli orientali con turbanti

rappresentano i Turchi, tradizionali nemici dei Veneziani, simbolo dei barbari infedeli. L’azione si svolge in

uno spazio a palcoscenico, ristretto fra due edifici collegati in alto da un pergolato, sul quale la disposizione

dei personaggi secondo due diagonali individua in primo piano un cuneo, dove giace il corpo riverso dello

schiavo liberato. L’aguzzino in piedi volto verso lo stupefatto giudice, gli mostra gli strumenti della tortura

miracolosamente frantumati. Alla figura dello schiavo si contrappone scenograficamente quella fortemente

scorciata di San Marco, che precipita sulla folla dall’alto, sopraggiungendo dallo spazio dello spettatore.

L’artificio della diversa illuminazione dello sfondo rispetto a quella della scena in primo piano, colpita da un

fascio di luce che proviene da destra, contribuisce a determinare un effetto drammatico, teso a comunicare

allo spettatore il senso del miracolo che si sta compiendo. Tutto si placa invece nello sfondo, dove un vasto

spiazzo vuoto e luminoso è chiuso da un’architettura classicheggiante, al di là della quale si intravede, sotto

il cielo azzurro appena percorso da nubi, il verde sereno di un giardino.

- “Ritrovamento del corpo di San Marco” (1562-66): [pag.534] dipinto per la Scuola Grande di San Marco.

Vi si narra il momento in cui, secondo la legenda lo stesso Santo appare miracolosamente ai mercanti

veneziani, che ne cercavano il corpo in un sepolcreto per trafugarlo e trasportarlo a Venezia, indicando loro

la sua spoglia e impedendo così l’inutile profanazione di altre tombe. L’episodio è collocato in un’ampia

cripta in prospettiva, il Santo è in piedi, a sinistra accanto al proprio corpo sdraiato su un tappeto orientale

che ne fa risaltare, per differenza di colore, le possenti strutture anatomiche, mentre ferma, con la mano

sinistra gli uomini che stanno calando un cadavere da una delle numerose arche, stranamente addossate

alla parete, come una sorta di pulpiti. Protagonista è la luce, non luce diurna razionale, ma notturna,

mobile, irreale, lasciando in ombra il corpo sulla destra dell’indemoniato, perché ancora posseduto dalle

forze oscure del male, qui ritratto perché si usava condurre a contatto con le reliquie dei santi coloro che si

ritenevano posseduti dal demonio, per liberarli.

- Decorazione della Scuola di San Rocco (1583-87): [pag.536]la grandiosa decorazione assunse per

dimensioni e qualità un ruolo di primaria importanza nel percorso artistico di Tintoretto. I 50 teleri non

rispondono a un programma iconografico prestabilito, bensì ampliato in fasi successive; sono suddivisi nei

tre cicli della Sala dell’Albergo, della Sala Grande e della Sala Inferiore. Tintoretto articolò le scene in uno

spazio sviluppato in superficie e in profondità secondo direttrici multiple. Il complesso e dinamico sistema

spaziale dell’immensa Crocifissione viene costruito sovrapponendo due composizioni l’una convergente

all’orizzonte, l’altra in senso opposto verso lo spettatore, aventi come fulcro il Cristo crocifisso, dalla cui

croce si dipartono fasci di luce a ventaglio che frantumano ulteriormente lo spazio della rappresentazione.

Tintoretto in San Rocco illustra complessi contenuti dottrinali, presentando al fedele la storia della

Redenzione. Immediatamente accessibile nella sua essenza grazie a una struttura espressiva che coinvolge

sotto il profilo emozionale e che, si pone all’avanguardia nel rinnovamento dell’iconografia sacra. Essi si

ritrovano nelle assorte ambientazioni notturne delle Marie penitenti della sala inferiore di San Rocco,

dominate da un luminismo atmosferico assolutamente nuovo. Il punto di vista è fortemente rialzato e il

colore si annulla in funzione dell’assoluto predominio della luce, ormai espressione dell’accesa spiritualità

di Tintoretto.

Paolo Veronese

Paolo Caliari, si formò nella sua città d’origine, Verona. Con Veronese si abbandona lo scenario del dramma

religioso, per entrare nel fasto di una società laica per la quale passato e presente, sacro e profano si

confondono in una sintesi fantastica, dove la natura è un dato sempre presente e tangibile.

Nel soffitto della Chiesa di San Sebastiano (VE), le tele con le “Storie di Ester” (1556), dimostrano quanto

Veronese avesse assimilato dagli esempi di Giulio Romano a Mantova, per il robusto plasticismo delle

figure, che si stagliano in primo piano, e gli arditissimi scorci. L’autonomia rispetto ai modelli si esprime, nel

particolarissimo uso del colore, caratterizzato dall’assenza di chiaroscuro e dall’accostamento di tinte di

straordinaria luminosità. Ciò contribuisce a diminuire la profondità, con una conseguente dilatazione degli

elementi architettonici e dei fondali del cielo.

- Il superamento delle premesse manieristiche della formazione di Veronese, avvenne a Maser nella

decorazione della residenza (1560-62) [pag.545] dei fratelli Barbaro, la c.d. Villa Barbaro, progettata da

Andrea Palladio e ornata da statue e stucchi di Alessandro Vittoria, il ciclo pittorico di Veronese è in

perfetta sintonia con l’architettura dell’edificio, improntata su ritmi spaziali aperti, che si pongono in

rapporto con l’ambiente circostante. L’artista sfonda illusionisticamente le pareti, caratterizzate da finte

strutture architettoniche, con paesaggi, in cui appaiono elementi di fantasia e ruderi classici, con luminosi

cieli aperti e con simulate apparizioni di personaggi reali raffigurati in corrispondenza dei vani delle porte.

L’illusione offre continue sorprese e moltiplica gli spazi in un gioco visivo, frutto della cultura manieristica,

superata dai ritmi classici che restituiscono una visione unitaria e armonica dello spazio, con una ricchezza e

luminosità di colori.

- L’identificazione della pittura di Veronese con gli ideali e il mondo dell’aristocrazia veneta può essere

individuata come una costante del suo percorso artistico, sia nei temi profani sia in soggetti di carattere

sacro. È questo il caso delle famose cene degli anni ‘60, che traggono spunto da episodi evangelici ma

vengono trasformate in fastose e spettacolari rappresentazioni di occasioni di intrattenimento della nobiltà

veneziana, ambientate in scenari di grande suggestione sugli esempi del Palladio. Questa libera e laica

interpretazione dei temi religiosi causò l’intervento di censura dell’Inquisizione, culminato in un processo a

carico dell’artista per la realizzazione dell’ “Ultima cena” eseguita per il convento veneziano dei Santi

Giovanni e Paolo; il Veronese decide poi di mutare il titolo dell’opera in “Cena in casa di Levi” (1573).

- “Cena in casa Levi” (1573): [pag.539]si trova nella Chiesa di San Sebastiano a Venezia. Tutti i personaggi

sono inseriti in un rettangolo. Gli archi dividono la scena in 3 parti. Edificio, colonne, capitelli ispirati a

Palladio. Scale e balaustre accentuano la simmetria e la prospettiva. Cristo è circondato dagli Apostoli, di

fronte ha Giuda e Levi. Sotto l’arco sx vediamo camerieri e inservienti, sotto l’arco di dx servitori, Apostoli,

soldati, paggi. I personaggi si incastrano tra loro tramite sguardi e gesti. Trasforma lo spazio inserendo 50

personaggi e lo presenta come un grande banchetto veneziano con protagonisti riccamente vestiti.

Veronese verrà convocato dal Tribunale dell’Inquisizione per sapere come mai avesse aggiunto altri

personaggi. Il personaggio tra l’arcata sx e quella centrale è forse lo stesso Veronese, dipinto nel suo colore

particolare, il verde veronese. Il pappagallo allude alla Redenzione e allude al Peccato Originale. I colori

caldi sono accostati ai freddi, non utilizza il nero, riporta gli schizzi preparatori sulla tela utilizzando la

quadrettatura. Si dice che durante un incendio fu tagliato in tre parti e buttato dalla finestra; venne poi

riunito (si vedono ancora oggi i tagli).

L’episodio non influì negativamente sulla carriera dell’artista, che negli ultimi decenni della sua attività

ottenne prestigiosi incarichi, tra questi la celebre Decorazione della Sala del Collegio in Palazzo Ducale

(1575-77). Nel ciclo di carattere allegorico celebrativo, egli riconfermò la propria autorità nel campo della

grande decorazione di soffitti, riuscendo a superare la di

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A.A. 2009-2010
106 pagine
9 download
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-ART/02 Storia dell'arte moderna

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Poggiogufo di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia dell'arte moderna e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Roma La Sapienza o del prof Rossi Sergio.