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Secondo Berkowiz, il gruppo di Yale ha utilizzato il concetto di frustrazione in
modo non rigoroso: bisogno distinguere tra la semplice deprivazione e la
frustrazione vera e propria che avviene quando una sequenza comportamentale
finalizzata viene interrotta da un evento esterno ostile. Per Berkowiz assumono
una grande importanza le esperienze precedenti: è convinto che esistono delle
abitudini aggressive apprese e suscettibili di manifestarsi alla presenza di stimoli
adatti non necessariamente frustranti e ciò per Berkowiz è una conferma che la
frustrazione non è la sola causa del comportamento aggressivo. Egli determina
quei casi in cui la frustrazione non genera un comportamento aggressivo:
• si è in presenza di una forte inibizione che induce il soggetto ad evitare un
comportamento aggressivo manifesto
• l'individuo ha appreso ad attuare una reazione non aggressiva in quel tipo di
situazione
• l'obiettivo, il raggiungimento è stato frustrato, non assume per il soggetto
un'importanza tale da motivare il comportamento aggressivo
Per Berkowiz, nell'effettiva messa in atto del comportamento aggressivo, giocano
un ruolo di primaria importanza gli indicatori o segnali-stimolo presenti nella
realtà che circonda l'individuo. L'autore ritiene che l'uomo è geneticamente
programmato a reagire con manifestazioni aggressive all'esperienza del dolore e
della frustrazione, ma in realtà sottolinea l'importanza dell'esperienza e dei fattori
esterni che mediano, insieme allo stato emotivo, lo scatenamento effettivo della
condotta aggressiva = la rabbia può spingere l'aggressione alla superfice, ma al
di là della semplice rabbia, è necessaria la presenza di altri stimoli affinchè
l'aggressione avvenga.
La frustrazione può essere una delle cause che concorre a generare uno stato di
malessere che può essere a sua volta influenzato da tantissimi altri fattori.
Questo malessere genera delle primitive tendenze all'azione che possono essere
di attaco o di fuga, ma una di queste sarà dominante e si esprimerà in
rudimentali sentimenti di rabbia e di paura che si esprimeranno attraverso
reazioni espressivo-motorie.
• l'individuo può anche valutare se la rabbia che prova sia un'emozione
appropriata oppure no alla situazione, questo può aumentare o diminuire il
livello di rabbia, o generare altri tipi di esperienze emotive. Secondo l'autore
queste valutazioni cognitive non causano direttamente l'aggressività, ma si
limitano ad accompagnare il sentimento di rabbia.
• il cooling effect, dà la possibilità all'individuo di darsi delle giustificazioni,
grazie alle quali può mitigare la risposta, ma solo se riesce a giustificare la
situazione prima o nel momento stesso in cui sperimenta la frustrazione.
Bandura partendo dal postulato delle teorie dell'apprendimento afferma che
condotte anche complesse possono essere apprese semplicemnte attraverso
l'osservazione-imitazione del comportamento altrui. Egli precisa che
nell'apprendimento osservativo ci può essere apprendimento nonostante il
comportamento del modello non sia mai stato riprodotto e il modello rinforzato.
• il comportamento aggressivo, al pari degli altri comportamenti, rappresenta
una classe di risposte che l'individuo apprende nel corso della propria
esistenza, attraverso un processo di imitazione del comportamento di figure
di riferimento. Le risposte aggressive vengono acquisite, immagazzinate e
quindi trasformate in abitudini di comportamento nel momento in cui
ottengono una valutazione positiva dal gruppo socio-culturale di
appartenenza.
• l'aggressività può essere intesa come prodotto della frustrazione, che appare
come risposta dominante solo se nel corso dell'esperienza è stata appresa
come risposta tipica e dominante all'aumentare della tensione. In definitiva, il
comportamento che verrà messo in atto dipenderà da come gli individui, nel
corso della loro esperienza, hanno imparato a far fronte a situzioni stressanti.
La frustrazione rappresenta una condizione che facilita la messa in atto del
comportamento aggressivo.
• l'individuo è influenzato dalle esperienze che fa inoltre l'ambiente influenza le
azioni in maniera cognitiva nel momento in cui l'individuo è in grado di
rappresentarsi simbolicamente la relazione esistente tra la situazione, il suo
comportamento e il risultato.
Per Bandura tutte le teorie sull'aggressività si possono raggruppare in 3 filoni:
teorie istintiviste secondo le quali l'uomo è per natura aggressivo: si ipotizza
5. l'esistenza di un meccanismo biologico innato che produce un
comportamento aggressivo. Secondo l'autore queste interpretazioni non
trovano alcun riscontro positivo nei dati di ricerca.
si base sulla teoria di Dollard, sul nesso frustrazione-aggressività. Per
6. Bandura relativi riscontri sperimentali sono molto dubbi. La stessa nozione di
frustrazione, risulta inadeguata. Bandura non nega che la frustrazione possa
favorire la comparsa di risposte aggressive, tuttavia per comprendere
l'aggressività non è possibile limitarsi ad ipotizzare un meccanismo di causa-
effetto, ma si deve spiegare come si creano i modelli di comportamento
aggressivo
per Bandura l'unica prospettiva che permette di comprendere realisticamente
7. i comportamenti aggressivi è quella propria delle teorie di apprendimento
sociale. Gli uomini non nascono con un potenziale innato di violenza, ma
apprendono attraverso l'esperienza il comportamento aggressivo.
4. Il social skill deficit model
L'interesse per l'aspetto cognitivo del comportamento aggressivo è ben
evidenziato negli studi di Dodge. L'autore rivolge il proprio
interesse alle modalità attraverso la quale il bambino aggressivo elabora
l'informazione sociale. Dodge individua e descrive le diverse fasi in cui si articola
il processo di elaborazione delle informazioni attraverso il modello teorico del
social skill deficit model, secondo cui i bambini aggressivi presentano uno o più
deficit a livello delle abilità che presiedono all'elaborazione dell'informazione.
fase uno, la codifica. il bambino prende in considerazione ed assimila quello
8. che sta avvenendo nell'ambiente. I bambini aggressivi, rispetto a quelli non
aggressivi, cercano minori informazioni come fonte di aiuto nel determinare le
intenzioni degli altri con chiarezza.
fase due, l'interpretazione. il bambino sulla base del significato che ha
9. attribuito a ciò che ha visto, deve prendere una decisione. Il bambino
aggressivo ha maggiori probabilità di percepire come minaccioso e ostile
l'intenzione dell'altro
fase tre, la classificazione degli scopi. A partire dall'interpretazione della
10. situazione, i bambini selezionano uno scopo che desiderano raggiungere. Il
bambino individua uno scopo cui orientare l'azione sociale ed elabora delle
motivaizoni e delle ipotesi su quelle implicazioni che derivano dal
raggiungimento dell'obiettivo.
fase quattro, la ricerca di risposte. il bambino deve mettre in atto possibili
11. risposte in relazione a quanto avviene nella realtà sociale. Il soggetto deve
scegliere, tra le possibili risposte comportamentali quella che ritiene più
adatta alla situazione. I bambini aggressivi ritengono che la risposta
aggressiva sia l'unica.
fase cinque, la decisione sulla risposta. viene messo in atto un processo
12. attraverso cui individuare la risposta più adatta
fase sei, la messa in atto. si concretizza la risposta selezionata dal bambino. I
13. bambini aggressivi mancano delle abilità necessarie per portare a termine i
loro obiettivi in modo pacifico e prosociale.
Alcuni autori hanno aggiunto una 7° fase ovvero la valutazione che fa riferimento
alle considerazioni che il bambino fa sulle possibili conseguenze della risposta
comportamentale che ha deciso di attuare. Sembrerebbe che i bambini
aggressivi prestino meno attenzione alle conseguenze negative del loro
comportamento.
Il modello di Dodge offre la possibilità di isolare le diverse fasi dell'elaborazione
dell'informazione in modo da poter studiare più facilmente il modo in cui i bambini
aggressivi operano durante il processo.
Capitolo 3 - L'aggressività nell'uomo
1.3 Definizione
Con il termine aggressività umana si fa riferimento ad un qualsiasi
comportamento diretto verso un altro individuo, effettuato con l'intenzione di
causare un danno. E' importante definire correttamente il termine in quanto la
sua eterogeneità rischia di causare confusione. (un danno accidentale non è da
considerarsi un comportamento aggressivo). Del resto, la violenza è aggressiva
a livelli estremi, ma molti eventi aggressivi non sono da intendersi come violenti.
La maggior parte delle teorie contemporanee definisce l'aggressività come un
costrutto multidimensionale. Uno studio di Little e collaboratori esamina e
distingue 4 principali dimensioni del comportamento aggressivo:
aggressività aperta - diretta
14. aggressività relazionale - indiretta
15. aggressività proattiva - offensiva
16. aggressività reattiva - difensiva
17.
Queste 4 dimensioni fanno riferimento a due concetti base: il "what" (forme) che
comprende comportamenti come l'aggressività diretta, fisica, aperta, verbale vs
aggressività indiretta, relazionale, sociale e strumentale; e il "way" (funzioni) che
invece si riferisce all'aggressività proattiva, offensiva vs aggressività reattiva e
difensiva. Molte di queste dimensioni si sovrappongono notevolmente.
Nonostante ciò è possibie evidenziare le due forme ultime del comportamento
aggressivo:
• aggressività aperta - definita da comportamenti fisici e verbali diretti verso
una persona con l'intento di danneggiarla; si tratta di un comportamento che
si esplica faccia a faccia
• aggressività relazionale - definita come un insieme di atti premeditati che
hanno lo scopo di danneggiare in maniera significativa le amicizie o i
sentimenti di inclusione nel gruppo dei pari; si tratta di una forma più nascosta
e indiretta
3.2 Le funzioni dell'aggressività
Pulkkinen distingue tra due funzioni (way) principali di aggressività: quella
offensiva e quella difensiva.
• aggressività offensiva - o proattiva, definita anche aggressività strumentale, è
concepita come un comportamento premeditato per ottenere degli scopi oltre
che per danneggiare il bersaglio.
• in un'analisi recen