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Il concetto di setting
La prima cosa che è stata fatta è quella di definire il concetto di setting, di origine psicodinamica; infatti Dazzi e De Coro affermano che con il termine setting ci si riferisce:
- All'impostazione del trattamento terapeutico e alle sue regole tecniche;
- Al dispositivo a partire da e dentro il quale avviene lo scambio clinico;
- Alle condizioni del contratto psicoterapeutico che assumono un valore fondamentale per lo svolgimento del processo stesso.
Questa definizione del termine setting si riferisce ai confini del campo in cui si svolgeranno le successive interazioni fra paziente e terapeuta.
Ma quali sono questi confini, o forse è meglio dire quali sono queste condizioni del campo in cui si svolgerà la relazione terapeutica?
Il tema della definizione delle condizioni dello scambio clinico e delle sue regole ha infatti ricevuto molta attenzione all'interno della tradizione psicoanalitica (psicoanalisi prima forma di trattamento).
psicologico-clinico): a partire dai consigli tecnici di Freud ed agli iniziali tentativi di definizione di parametri fino alle formulazioni più recenti sull'impostazione del trattamento. Il primo a usare il termine setting in senso tecnico è stato Winnicott in una comunicazione dal titolo The observation of infants in a set situation (1941). Winnicott distingue tra fenomeni che costituiscono un processo, che è quanto si analizza, e un setting formato dalle costanti nel cui ambito il processo si svolge. In altri termini, una distinzione tra ciò che è fisso e costante in una situazione e ciò che cambia e avviene all'interno di quelle costanti (esempio di Winnicott). L'attenzione al setting consente di studiare un processo in relazione alle costanti di un fenomeno, di un metodo o di una tecnica, per poi fare dei confronti. In questa comunicazione compaiono inoltre per la prima volta i termini set e setting usati alternativamente senzadistinzione concettuale e definisce cosa comprende il set/setting: il ruolo dell'operatore, le sue teorie di riferimento, la sua professionalità e l'insieme dei fattori spazio-temporali che discendono dal contratto di lavoro verbale o scritto che definisce anche le questioni di tempo e denaro. Questa attenzione agli elementi del setting, consentiva di accertare il mantenimento o meno di orari, intervalli, presenze che diventavano variabili di processo, e quindi verificare cosa cambiava nella relazione se cambiavano alcune condizioni che dovevano essere mantenute stabili. Con Winnicott comincia a essere tematizzata l'importanza di un'attenzione agli aspetti processuali e strutturali della situazione terapeutica. Storicamente la riflessione sul setting si è fermata a volte: sulle condizioni materiali, contrattuali che creano lo spazio-tempo delle sedute terapeutiche, le circostanze di realtà in cui si stipula il contratto e le decisioni relative.Al tempo e al denaro, i fattori contrattuali e le regole interne, cioè tutti quei fattori pratici che servono a delimitare la terapia e a esplicitarne i limiti: periodicità delle sedute, presenza di un divano o di sedie, presenza di uno o più pazienti, orari, luogo, tipo di terapia.
D'altra parte sono stati messi in evidenza anche il ruolo e la funzione del terapeuta e degli specifici processi che si attivano nel setting, infatti Casement sottolinea come con spazio analitico non si intende riferirsi solo alle condizioni materiali, ma anche a quello spazio interno che l'analista riserva nella propriamente al paziente e che dovrebbe manifestarsi, nel corso del lavoro, come capacità di sospendere il giudizio e mantenere costantemente aperta la riflessione sul materiale offerto dal paziente. Oppure ancora la definizione di Gabbard che definisce la cornice analitica come un contenitore all'interno del quale avviene il trattamento, ma sebbene il
Il termine "cornice" evoca la cornice di un quadro, ma il concetto non è assolutamente rigido; piuttosto è un insieme dinamico e flessibile di condizioni che riflettono i continui sforzi dell'analista di rispondere al paziente e di creare un ambiente ottimale per il lavoro analitico, per l'emergere della psicopatologia del paziente. O ancora, Gill sottolinea come la frequenza e la durata delle sedute, l'uso del divano o della poltrona, la lunghezza del trattamento e le modalità di regolare il pagamento, costituiscono una sorta di imprinting alla matrice relazionale che si attiverà nel corso della terapia. Per esempio, la ricerca empirica in psicoterapia, di cui Gill fa parte, evidenzia come l'uso del lettino, quindi il paziente che si sdraia su di esso e il terapeuta che si trova alle spalle, favoriscono i processi di regressione, di immersione in una condizione onirica che consente l'emergere di ricordi e di sogni, comunque di una facilitazione a un guardarsi dentro.
che è più protetta dal guardarsi intorno. Oltre alle condizioni materiali che indirizzano il processo in un certo modo, anche il contributo del terapeuta è importante perché può favorire o meno la possibilità di analizzare ciò che sta accadendo nella relazione analitica, oppure può fare deviare l'analisi e creare confusione nella comprensione analitica. Da questa riflessione, da questo lungo dibattito si è arrivati alla conclusione che lo scambio clinico (la relazione terapeutica) sembra essere legata a condizioni materiali e regole, alla figura del terapeuta e a ciò che si sviluppa nel corso del processo terapeutico. Comunque procedendo nella riflessione sulla relazione psicoterapeutica, sulle sue caratteristiche e sui fattori che contribuiscono a fondarla, si è andata ponendo la necessità di una definizione più precisa delle variabili osservabili. In questo dibattito sulle condizioni dello scambio clinico,è stato fondamentale il contributo di Menarini e Pontalti (gruppoanalisti e terapeuti con approccio sistemico) che hanno proposto di distinguere con il termine set i fattori in qualche modo esterni e sociali della relazione terapeutica (in altri termini fattori più contrattuali) e con il termine setting il campo mentale costruito inizialmente dal terapista e via via successivamente dallo strutturarsi della relazione duole o gruppale con il/i pazienti. Relazioni che in termini gruppoanalitici si chiama matrice o campo, la matrice infatti si sviluppa nella relazione terapeuta-paziente o tra pazienti all'interno di un gruppo. Quindi la situazione terapeutica (termine usato da Foulkes) è cioè leggibile nei termini del set, inteso come insieme di variabili organizzativo-strutturali, del setting inteso come pensiero del terapista e come campo mentale condiviso, o matrice. Si è specificata ulteriormente cioè la necessità di attenzione sul modo incui la relazione terapeutica viene concepita, pensata, progettata, messa in atto e su ciò che in essa avviene, sulle variabili strutturali e di processo che la costituiscono e che possono essere osservate e misurate. Sostanzialmente definire e strutturare un setting, vuol dire creare e delimitare una situazione, una configurazione, un assetto, un campo entro cui un lavoro può essere svolto. Tale configurazione ha a che fare con la qualità del lavoro stesso (efficace o no, raggiunge gli obiettivi o no), con le particolari modalità di svolgimento del processo e con gli esiti che ciascun setting contribuisce a costruire. Nell'inevitabile confronto con le prospettive teoriche a cui il lavoro terapeutico si riferisce, occuparsi del setting equivale a occuparsi del modo in cui la relazione terapeutica funziona, nella concretezza della pratica clinica e ciò ha una ricaduta sull'aumento della sua efficacia. In particolare, ci si riferisce agli aspetti.operazionalidella relazione terapeutica, cioè quegli aspetti definiti e osservati in modo tecnico.
QUALCHE DEFINIZIONE DI RELAZIONE TERAPEUTICA.
Passiamo alla definizione di relazione terapeutica, tenendo conto del fatto che ladefinizione di cosa sia la psicoterapia e del modo in cui funziona è uno dei temi piùdifficili e più dibattuti nel mondo della ricerca clinica e teorica. Questo perché quandocerchiamo di definirla dobbiamo dare risposta ad alcuni interrogativi di fondo:
- A quali fenomeni è riconducibile il funzionamento psichico? Si riconduce afenomeni che riguardano l'infanzia oppure all'aspetto biologico-genetico.
- Che cosa determina il cambiamento terapeutico?
- quali strategie e tecniche possono essere più efficaci nel produrre latrasformazione di ciò che sta alla base della sofferenza psichica?
Si tratta di temi di un incredibile vastità e complessità rispetto ai quali la possibilità
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ditrovare delle risposte rimanda alla ricerca e alla riflessione psicologica intesa nel sensopiù ampio. Per cui il panorama di definizioni cliniche a cui è possibile fare riferimento èvario: infatti così come i differenti modelli teorici sul funzionamento della menteoffrono differenti sistemi di spiegazione sui processi di nascita, sviluppo e articolazionedella vita psichica; allo stesso modo i modelli della relazione terapeutica possonoessere considerati come focalizzazioni diverse sulla complessità dell’organizzazionementale umana. A tale proposito Mitchell ne offre una rassegna nel suo libro“L’esperienza della psicoanalisi”: i modelli di relazione terapeutica sono tentativi dicomprendere e descrivere una parte dell’esperienza umana, un aspetto delfunzionamento della mente. Ogni formulazione fa riferimento alle persone reali, al loromodo di organizzare l’esperienza, alle loro difficoltà di vita, alla loro
lotta per plasmare e mantenere il proprio Sé personale nella relazione con gli altri. In ogni caso, una definizione ampiamente accettata e trasversale ai vari modelli è quella che descrive la psicoterapia come processo interpersonale, progettato per produrre una modificazione di quei sentimenti, cognizioni, atteggiamenti e comportamenti, rivelatisi problematici per il soggetto, che cerca di farsi aiutare da un professionista con una specifica formazione. Questa definizione mette in rilievo tre caratteristiche della psicoterapia: - il fatto di averla definita come processo interpersonale evidenzia la presenza di una relazione tra paziente e terapeuta. - il contesto interpersonale della terapia. - l'assunto che le psicoterapie sono condotte secondo un modello che guida le azioni del terapeuta. In questa definizione trova espressione quanto si va disegnando nel panorama della ricerca internazionale nel quale è possibile rintracciare una sempre più ampia convergenza tradano la psicologia cognitiva sono spesso in disaccordo sulle teorie e le pratiche terapeutiche. Mentre i clinici di estrazione psicoanalitica si concentrano sull'importanza dell'inconscio e delle dinamiche interne, i sostenitori della psicologia cognitiva mettono l'accento sulle cognizioni e sui processi mentali consci. I clinici psicoanalitici credono che i problemi psicologici siano il risultato di conflitti inconsci e che la terapia debba concentrarsi sull'analisi di questi conflitti e sulla loro risoluzione. Utilizzano spesso tecniche come l'interpretazione dei sogni, l'analisi dei lapsus e la libera associazione per accedere all'inconscio del paziente. D'altra parte, i sostenitori della psicologia cognitiva sostengono che i problemi psicologici siano il risultato di distorsioni cognitive e di schemi di pensiero negativi. La terapia cognitiva si concentra sulla modifica di queste distorsioni e sulla promozione di pensieri più realistici e funzionali. Utilizzano spesso tecniche come l'identificazione e la modifica dei pensieri automatici, l'esposizione graduale e la ristrutturazione cognitiva. Nonostante le differenze teoriche e pratiche, entrambe le approcci terapeutici hanno dimostrato di essere efficaci nel trattamento di una varietà di disturbi psicologici. La scelta tra psicoanalisi e terapia cognitiva dipende spesso dalle preferenze del paziente e dalle caratteristiche specifiche del problema da trattare.