vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
PROTEGGERE GLI OPERATORI DAL’AFFATICAMENTO EMPATICO O TRAUMATIZZAZIONE
VICARIA→ Anche agli operatori più esperti, se non hanno avuto l'opportunità di avere una
formazione specifica rispetto alla cura del trauma, può accadere di sentirsi improvvisamente
incompetenti, inadeguati e profondamente sfiduciati nelle proprie capacità professionali.
L'esposizione a traumi ripetuti può infatti causare nel tempo degli effetti cumulativi, che corrodono
il senso di autoefficacia professionale. Il termine ”compassion fatigue” indica l'effetto specifico che
la relazione con il soggetto gravemente traumatizzato può avere sull'operatore. I sintomi che
quest'ultimo può sviluppare sono molteplici e sovrapponibili a quelli che il DSM ascrive al quadro
del DPTS. Sono due i fattori che possono intervenire su questo rischio per ridurlo o ampliarlo: si
tratta della capacità dell'operatore di distanziarsi emotivamente dalla sofferenza del soggetto e di
provare soddisfazione per la qualità del suo lavoro. La possibile interazione tra lo stress residuo e
i seguenti tre fattori:
La condizione di esposizione prolungata alla sofferenza traumatica;
- Pregresse memorie e reazioni traumatiche dell'operatore;
- Improvvisi cambiamenti negativi nelle abitudini di vita dell'operatore
-
esita nella traumatizzazione vicaria. Sono stati definiti protocolli di intervento che utilizzano le
tecniche del pronto soccorso psicologico, del defusing e debriefing, o batterie di questionari, per
evitare queste conseguenze.
PROMUOVERE LA COSTRUZIONE DI LEGAMI DI ATTACCAMENTO SICURI IN COMUNITA’ 10
Una particolare attenzione è stata rivolta ai disturbi nella costruzione dei legami di attaccamento.
L’analisi delle caratteristiche dei modelli di attaccamento manifestati dai bambini cresciuti in
comunità ha evidenziato diversi aspetti disfunzionali. Per quanto riguarda la qualità, sono stati
riscontrati dei modelli di tipo disorganizzato. Il permanere di tali modelli mette in luce due aspetti
diversi, ma complementari delle esperienze relazionali di questi ragazzi: da un lato i modelli di
attaccamento insicuri riflettono l’inadeguatezza delle cure ricevute nella famiglia d’origine o sono
un effetto della separazione da essi. Dall’altro, però, mettono in luce come la vita in comunità non
sia riuscita a modificare i modelli disfunzionali. L’educatore in qualità di nuova figura
d’attaccamento, porta nella relazione un proprio bagaglio di esperienze, speranze, aspettative,
fantasie e vulnerabilità. Il successo o l’insuccesso nella costruzione della nuova relazione tra
educatore e bambino dipenderà dall’incontro tra ciò che ciascun partner porterà nella relazione,
oltre che dalla presenza e dalla qualità del supporto disponibile all’interno della comunità stessa. È
possibile usufruire di alcuni programmi di intervento basati sull’attaccamento, che mirano alla
costruzione di una buona organizzazione affettiva orientata verso un maggiore senso di sicurezza;
inoltre, offrono l’opportunità di promuovere un cambiamento sulle rappresentazioni dell’educatore,
offrendogli una riflessione sulle esperienze passate e presenti.
Il Videofeedback to promote Positive Parenting (il Protocollo VIPP) → questo intervento
prevede l’uso della tecnica del videofeedback, grazie alla quale si propongono al caregiver delle
sequenze videoregistrate dell’interazione con il bambino: partendo da queste, vengono forniti ai
caregiver dei feedback relativi alla qualità del suo comportamento interattivo. L’intervento è
costituito da 5-7 incontri o sessioni, intervallati da 2-3 settimane l’uno dall’altro; ogni incontro
prevede la trattazione di tematiche predefinite e l’utilizzo di tecniche specifiche; la strutturazione
dell’intervento serve a garantire la sua replicabilità. Pima dell’intervento vengono effettuate delle
valutazioni basate su delle videoriprese dell’interazione libera tra adulto e bambino, sulla base
delle quali si costruisce un profilo che identifica gli aspetti problematici della diade. Sono state
proposte due varianti: la VIPP-R prevede anche la discussione sulle rappresentazioni mentali del
caragiver relative alle proprie esperienze passate di attaccamento; l’altra, la VIPP-SD (sensitive
discipline), associa ai feedback sul comportamento interattivo del caregiver l’utilizzo, da parte
dell’adulto, di alcune tecniche di disciplina sensibile, intesa come la capacità di percepire
adeguatamente i segnali del bambino, nonché di rispondervi in maniera adeguata e contingente.
Questo è il principale antecedente della sicurezza infantile.
Durante le prime sessioni il focus dell’attenzione è rivolto ai segnali di esplorazione e di
attaccamento del bambino. Per sensibilizzare l’adulto alla comprensione del significato di questi
comportamenti, si usa la tecnica dello speaking for the baby, che consiste nel verbalizzare,
utilizzando eventualmente la prima persona, il comportamento infantile e le emozioni associate ad
esso. Questa tecnica potrebbe rivelarsi particolarmente utile con bambini chiusi e riluttanti. In
seguito il focus si sposta alla diade adulto-bambino. Vengono identificate le cosiddette sensitivity
chains, ossia le sequenze interattive caratterizzate da un segnale del bambino, seguite da una
risposta dell’adulto e a sua volta seguita da una reazione dell’adulto. Focalizzando l’attenzione sul
terzo anello della catena si procede a rinforzare sia le sequenze interattive armoniose, sia a
stimolare la riflessione sui possibili comportamenti alternativi a quello adottato. L’intervento
prevede anche l’illustrazione all’educatore di nuove strategie per promuovere la disciplina: tra
queste, particolare risalto è dato all’induzione, che consiste nell’accompagnare l’imposizione di
una regola o di un divieto con una spiegazione al bambino che ne evidenzi l’utilità. L’educatore è
invitato a fornire spiegazioni anche quando il bambino è ancora piccolo, in modo tale che questa
strategia possa diventare un’abitudine stabile che si rivelerà utile quando aumenterà il livello di
comprensione. Questa modalità stimolerà l’educatore a riflettere accuratamente sulle regole che
decide di imporre, insistendo solo su quelle in cui crede veramente e abbandonando pretese e
aspettative troppo elevate o irrealistiche per l’età o le capacità del bambino. Choose your battles
(scegli le tue battaglie), deve diventare il motto per l’educatore. Altre tecniche riguardano la
distrazione (rendere attraente l’alternativa comportamentale proposta); il differimento della
gratificazione (“se ti comporti bene, dopo potrai giocarci”); l’uso dei complimenti; ricorso alla
11
contrattazione quando sembra difficile imporre una regola (il bambino non vuole dormire, allora gli
si affida il compito di contare fino a 10), infine, l’uso dei time out per interrompere i cicli negativi tra
bambino e caregiver (al bambino viene imposta una pausa di riflessione, che durerà tanti minuti
quanti sono i suoi anni, che consenta a entrambi i partner di recuperare la calma, di regolare le
emozioni negative e di riprendere l’interazione con propositi positivi.
GLI ADOLESCENTO DEPRIVATI E LE COMUNITA’ EDUCATIVE→ Per molti anni in Italia, gli
adolescenti disturbati sono stati definiti genericamente psicopatici. Ormai è noto, da un punto di
vista scientifico, che gli adolescenti strutturalmente depressi possono cercare di curare la loro
sofferenza attraverso modalità di difesa tipicamente maniacali, cioè comportamenti violenti e
arroganti. Possiamo individuare un tipo di violenza nevrotica, strettamente connessa alle
vicissitudini separative nell'adolescenza; un tipo di violenza che è una reazione drammatica a
un’angoscia di frammentazione di tipo psicotico; e un tipo di violenza legata a una carente
strutturazione dell'Io e a uno squilibrato rapporto fra le strutture mentali e la realtà. Sono
soprattutto questi ultimi che vediamo accolti nelle comunità di tipo educativo. Quello che tuttora
non è adeguatamente messo fuoco è che molti di questi ragazzi sono “malati”, soffrono cioè di
una specifica patologia che deve essere riconosciuta e adeguatamente trattata con strumenti non
solo educativi o rieducativi.
Cosa si intende per deprivazione → Dopo i pionieristici lavori di Spitz e Bowlby, secondo Racamier
la deprivazione è lo stato mentale conseguente alla grave trascuratezza o al cattivo trattamento
del bambino piccolo, 0-3 anni, da parte di figure genitoriali, soprattutto da parte della figura
materna, intesa come una funzione e non come una persona specifica. L’essenza di questo tipo di
abuso non risiede tanto in ciò che viene fatto, quanto in ciò che viene tolto, cioè l'esperienza
negata. La deprivazione è generata da esperienze continuate di misconoscimento e di grave
incuria dei bisogni primari del bambino, che porta a un blocco dello sviluppo psico-emotivo e
cognitivo, o a una dissociazione tra l'esperienza emotiva e l'esperienza cognitiva, che non
possono più nutrirsi l'una dell'altra. Bion suggerisce che “trampolino di lancio” di uno sviluppo
normale sia l'esperienza di una persona, spesso la madre o un suo sostituto, che sia capace di
accogliere in sé, e restituire elaborato, l'input caotico di sensazioni e di emozioni, soprattutto
dolorose, che sperimenta il piccolo bambino, attraverso un processo che si svolge all'inizio solo
nella mente della madre (reverie), in quanto contenitore, e in seguito nella loro interazione.
Gradualmente, il bambino introietta questa esperienza di avere uno spazio nella mente di un altro
e di essere capito, che gli permette di sviluppare una propria capacità di pensare e di strutturare a
sua volta uno spazio nella propria mente. Tale spazio non esiste fin dalla nascita, ma nasce e si
sviluppa all'interno di una significativa relazione con un altro. Se il bambino non ha potuto fare
questa esperienza o l'ha fatta in maniera insufficiente o inadeguata, l'intensità della frustrazione ed
esperienze ripetute di perdita e di cambiamento delle figure di accudimento possono provocare
l'intollerabilità, per il bambino deprivato, di tenere vivi nella mente molti “oggetti” assenti nella sua
vita: essi vengono attaccati o dimenticati. Lo spazio vuoto di oggetti rassicuranti si riempie gli
oggetti o di parte gli oggetti minacciosi e persecutori. Essi possono essere percepiti come mostri
interni e questo può aiutarci a capire l'intensità dell'angoscia dei ragazzi dei privati. La psicoanalisi
ha come