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Il sé e l’altro vengono concettualizzati come strutture emergenti di origine innata, quali sono le
predisposizioni percettive, le tendenze sensomotorie e le abilità cognitive che il bambino deve
possedere per essere in grado di raggiungere il più presto possibile, sulla base della propria
natura e di quella del mondo esterno, una distinzione ed una differenziazione tra il sé e l’altro.
Perché ciò sia possibile sono essenziali le seguenti operazioni o strutture emergenti di natura
innata:
Il bambino deve avere una qualche maniera di stabilire che la verità di stimoli differenti che
1)
risultano dal suo comportamento o da quello di un altro individuo, provengono in effetti da un’unica
sorgente e che gli stimoli separati fanno parte di un tutto organizzato e hanno delle strutture in
comune, piuttosto che esistere come eventi disorganizzati separati provenienti da una molteplicità
di fonti diverse.
Il bambino deve avere una qualche maniera di mantenere l’identità della percezione della
2)
struttura degli stimoli che provengono da una persona anche di fronte a un’interferenza da parte di
stimoli che provengono dall’altra persona della diade.
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Il bambino deve avere una qualche maniera di mantenere l’identità del sé o dell’altro anche
3)
quando la percezione che ne ha si modifica a causa di cambiamenti di posizione e di espressione
(cambiamenti interni e le interferenze esterne).
Il bambino deve essere in grado di riconoscere le relazioni causali che intercorrono tra i
4)
comportamenti strutturati e separati dei due partecipanti.
Uno degli assunti sui quali è basata la concezione tradizionale della differenziazione graduale sé-
altro riguarda la presunta incapacità da parte del bambino di stabilire la costanza dell’oggetto
prima della comparsa, attorno all’ottavo mese di vita, della reazione alla separazione.
Quest’assunto presenta due problemi: l’interpretazione che viene data della reazione alla
separazione; la credenza che il bambino non abbia prima degli otto-nove mesi le capacità
mnemonica sufficienti a formare schemi interni stabili. Secondo la concezione tradizionale
l’angoscia di separazione è possibile solo grazie alla maturazione dei processi mnemonici e
permettono la formazione di una rappresentazione interna della madre. Al momento del distacco
da questa il suo ricordo può essere rievocato e confrontato alla condizione presente della sua
assenza. Secondo un’interpretazione alternativa delle angosce di separazione la reazione alla
separazione diviene possibile con il compiersi di due processi di maturazione: il primo, condizione
necessaria ma non sufficiente, è lo sviluppo da parte del bambino della capacità di recuperare e
mantenere lo schema dell’esperienza passata (ossia di rievocare una rappresentazione interna
dell’altro); il secondo processo di sviluppo che si compie è la “capacità di generare
rappresentazioni di eventi futuri possibili”, Cioè la disposizione a tentare di prevedere eventi futuri
e generare risposte al fine di affrontare situazioni difficili. Può rivelarsi utile dividere questi due
processi necessari al prodursi della reazione di separazione in tre elementi distinti: una memoria
di recupero (evocativa) ben sviluppate, una capacità di generare rappresentazioni di eventi futuri
possibili e la capacità di generare risposte comunicativa o strumentali per affrontare l’incertezza di
disagio causati dalle incongruità di eventi presenti e rappresentazioni di eventi futuri.
Il quarto assunto sul quale è basata la concezione della differenziazione graduale sé-altro è
estremamente vicino al nucleo della formulazione psicoanalitica. I primi tre assunti riguardano
principalmente le capacità percettive e cognitive del bambino. Il quarto assunto è di natura
motivazionale e postula ché se anche il bambino fosse in grado di distinguere il se dall’altro non lo
farebbe lo stesso, e questo per ragioni difensive, ossia per evitare l’ansia o lo stress. Le teorie di
Melanie Klein rappresentano una parziale eccezione, in quanto è implicito in esse che il bambino
è sì in grado di distinguere sé dall’altro ma, in mancanza di mezzi di protezione utilizza delle
manovre difensive, come la proiezione, per distorcere una percezione del sé e dell’altro comunque
basata sulla realtà.
Da ciò emerge che sono stati raccolti sufficienti elementi per sostenere che a partire dalla nascita
il bambino comincia a differenziare efficacemente il sè dall’altro sia dal punto di vista percettivo
che da quello cognitivo. Il bambino sembra possedere una predisposizione che gli evita, grazie a
delle organizzazioni percettive cognitive, di dover apprendere lentamente e faticosamente da zero
categorie naturali fondamentali come quelle del sé e dell’altro. Al contrario, queste appaiono come
entità emergenti ristrutturate che risultano dall’interazione tra un organismo percettive cognitivo
ristrutturato e dagli eventi naturali che appartengono a un mondo esterno prevedibile.
Quest’immagine del bambino mette profondamente in questione la nozione di una fase iniziale, o
addirittura, protratta per nove mesi, di indifferenziazione sé-altro, e la sostituzione con quella di un
bambino che, almeno su basi percettive cognitive, inizia a strutturare dei rapporti con nozioni
separate e distinte del sé e dell’altro. È importante tornare a precisare che stiamo parlando di
schemi sensomotori e non di rappresentazioni passibili di trasformazione simbolica.
Schemi di esperienza affettiva del sé-con-l’altro
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Il bambino considerato da un punto di vista cognitivo e quasi certamente in grado di sapere che il
sé e l’altro sono delle entità oggetti del tutto separati, niente affatto confusi o fusi. Le teorie
psicoanalitiche hanno sempre dato per scontato che sono gli affetti e le motivazioni ad
organizzare l’esperienza, e che la percezione e la conoscenza del sé e dell’altro si strutturano
sulla base dell’esperienza affettiva occasionata dall’altro. È possibile distinguere tre maniere
generali di “essere con” un altro in base agli aspetti affettivi e cognitivi che possono essere
schematizzati all’interno di una tale esperienza. Un problema fondamentale nella
concettualizzazione degli schemi di essere con un altro riguarda la natura della memoria umana,
uno schema di essere con richiede il ricordo di una qualche serie dinamica degli eventi, questo
implica una qualche forma di conoscenza degli eventi. Un altro problema di una certa importanza
nasce dal fatto che uno degli eventi più importanti negli schemi di essere con un altro è
l’emozione; finora il lavoro svolto non ha considerato l’emozione come uno degli attributi rilevanti
dell’evento ricordato. I tre tipi di essere con un altro sono descritti come azioni, questo perché
l’assunto di Stern è che l’esperienza di essere con qualcuno e gli schemi di rappresentazioni di
tale esperienza consistono di eventi dinamici, non di entità statiche. Nel primo tipo, la
complementarietà sé- altro, ciascuno dei due membri compiono azioni differenti, necessari al
completamento o soddisfacimento dell’esperienza interpersonale. La relazione tra il sé e l’oggetto,
e il comportamento eseguito con l’altro, è esso stesso l’obiettivo della relazione. Nella
condivisione di stati mentali e nella sintonizzazione di Stati il sé o l’altro inducono nel membro
opposto uno stato di esperienza simile al proprio. Nel corso della condivisione di Stati il nucleo
centrale della relazione tra il sé e l’altro è la similitudine dell’esperienza. Nella trasformazione di
Stati si verifica un importante cambiamento dello Stato fisiologico e nello stato di coscienza,
causato dall’azione di un altro. Non è sempre possibile distinguere i tre tipi di esperienza in base
al comportamento manifesto. In qualsiasi esperienza data, il centro di gravità dell’incontro può di
volta in volta cambiare dalla complementarità sè-altro alla condivisione di Stati e viceversa, dalla
trasformazione di Stato alla condivisione, e così via.
La complementarità se-altro possiede quattro caratteristiche essenziali:
Ciascun membro dell’azione è complementare rispetto all’altro, un partner compie l’azione,
1)
l’altro lo subisce,
dal momento che ciascun partner agisce in modo differente dall’altra, l’integrità del sé e
2)
dell’altro si mantiene inalterata; gli indizi percettivi del fatto che l’altro sta vivendo
un’organizzazione separata dal punto di vista temporale e di profilo di intensità, e che si trova
all’interno di una relazione causale non sono interrotti dall’attività complementare,
l’obiettivo dell’attività e di avere un’esperienza diretta dell’altro,
3) l’esperienza del sé coinvolge una parte affettiva, sensomotoria, e cognitiva del sé che non
4)
può essere sperimentata al di fuori dell’esperienza comportamentale dell’altro né può esserlo in
isolamento.
L’esperienza del sé non può mai svincolarsi dall’esperienza e dall’aspetto complementare
dell’altro. L’esperienza del sé e l’esperienza dell’altro sono due cose irrevocabilmente legate. Non
c’è un modo di avere una qualche esperienza del genere senza un altro, reale e/o immaginario.
Perché la complementarità sia possibile deve già esiste una distinzione tra il sé e l’altro, sia il sé e
l’altro devono già essere presenti, mentalmente se non in senso letterale, altrimenti il fenomeno
non potrà prodursi. Le esperienze e gli schemi di complementarità si sviluppano come parti
normali e durature della nostra psicobiologia. Molti episodi di complementarità sono tali da rendere
possibile, con lo sviluppo, l’esperienza del sé anche senza l’esperienza dell’altro.
Nella condivisione e sintonizzazione di stati mentali sono due le caratteristiche essenziali:
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Le attività dei due partner sono sufficientemente simili, in quanto isomorfe, simultanee e
1)
con lo stesso profilo di intensità; in questo modo gli indizi percettivi che permettono al bambino di
distinguere tra il sé e l’altro sono in gran parte annullati, mentre rimane ovviamente presente la
componente propriocettiva,
Esiste un qualche senso di comunanza d’esperienza o di condivisione esperienze interne o
2)
esterne simili. L’espress